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31 gen 2007Dal “Corriere d’Italia” di Francoforte: Una vergogna di nome Cefalonia

FRANCOFORTE, 31 GEN. (Italia Estera) - Dopo un’attesa di decenni lo scorso settembre è arrivato il primo pronunciamento da parte di un tribunale tedesco sulla strage di Cefalonia (vedi Italia Estera) : l’omicidio di soldati e ufficiali della Divisone Acqui, compiuto dalla Wehrmacht nell’isola greca di Cefalonia nel 1943, nei giorni se-guenti l’Armistizio. Ma l’ordinanza del procuratore bavarese August Stern, che dispone l’archiviazione del caso, non ha reso giustizia alle vittime, anzi ha riaperto vecchie ferite suscitando rabbia, sdegno e vergogna.
Alcuni famigliari delle vittime, guidati da Marcella De Negri (figlia di Francesco De Negri, uno degli ufficiali fucilati a Cefalonia) sono decisi a dare battaglia. Lo scorso 8 dicembre ha avuto luogo un sitin di protesta davanti al palazzo di giustizia di Monaco. È stato presentato ricorso contro l’archiviazione del caso. Si sollecita il governo italiano a riprendere la questione dopo che per decenni ha tenuto un atteggiamento reticente per il timore di turbare i rapporti con la Germania.
Il “Corriere d’Italia” incontra Marcella De Negri, parte civile nel processo di Monaco e in prima fila nella battaglia per far giustizia sull’eccidio del 1943.
 
Sig. ra De Negri, Lei è figlia di Francesco De Negri, uno dei 137 ufficiali fucilati a Cefalonia. Quando ha cominciato ad interessarsi della questione? Per quali ragioni?
Mio padre fu fucilato insieme agli altri ufficiali alla Casetta Rossa, a Cefalonia, il 24 settembre 1943. Da sempre il tema Divisione Acqui e strage di Cefalonia e Corfù è stato parte della mia vita. Mi sono però sempre tenuta lontana da “cerimonie” e “commemorazioni” ritenendole solo un alibi per lo Stato Italiano per non fare ciò che avrebbe dovuto.
Poco meno di 3 anni fa ho letto sui giornali del procedimento aperto a Monaco di Baviera da un Pubblico Ministero, Kostantin Kuchenbauer, contro i possibili responsabili, non della grande strage di Cefalonia, ma della fucilazione del generale Gandin e degli altri ufficiali alla Casetta Rossa. Ho pensato fosse giusto rafforzare il processo con la mia costituzione di parte civile, che è stata, alcuni mesi dopo, accolta. Il mio avvocato italiano si chiama Gilberto Pagani e fa parte di un gruppo di avvocati democratici europei. Anche il mio avvocato te-desco, Michael Hofmann, di Monaco, fa parte di questo gruppo.
La recente ordinanza della procura di Monaco non rende affatto giustizia ai caduti di Cefalonia. Ci può spiegare in sintesi quali sono i contenuti di questa ordinanza e perché essa è tanto scandalosa?
L’ordinanza del Pubblico Ministero August Stern è oltremodo scandalosa poiché, come ha scritto Giordano Bruno Guerri su “Il Giornale” del 22 sett. 2006, essa accoglie le tesi di Hitler. Stern sostiene che gli italiani non potevano essere considerati prigionieri di guerra poichè da alleati si erano trasformati in nemici e quindi, per il gergo militare, in “traditori”, paragonabili quindi ai disertori tedeschi, e dunque passibili di fucilazione. Le argomentazioni di Stern sono assolutamente identiche a quelle dell’avvovato Laternsen che a Norimberga difese il generale Hubert Lanz, imputato anche lui per la sola fucilazione degli ufficiali alla Casetta Rossa, e condannato per questo a 12 anni. Il Pubblico Ministero August Stern sembra anche non conoscere la legge varata dal Bundestag il 23 luglio 2002 che riabilita tutti i disertori tedeschi in quanto la seconda guerra mondiale è stata una guerra di aggressione e sterminio, causata dalla Germania nazista.
Che tipo di azione legale è possibile contro l’ordinanza del Pubblico Ministero Stern? Quali risultati concreti sarà possibile ottenere?
Se non mi fossi costituita parte civile, con l’ordinanza di archiviazione di Stern il procedimento sarebbe finito. Io ho in-vece presentato ricorso. Sarà lo stesso Stern a giudicare del mio ricorso in prima istanza. Se lo rigetterà, potrò ricorrere al Tribunale della Baviera e se anche questa istanza mi fosse avversa, potrò rivolgermi alla Corte d’Appello di Monaco. Non è ancora chiaro al mio avvocato tedesco se sarà possibile ricorrere alla Corte di giustizia europea nel caso tutte le istanze fossero per noi negative. Sono comunque decisa a percorrere tutte le strade possibili.
Come giudica l’atteggiamento delle autorità istituzionali italiane (governi, ambasciata etc.) rispetto alla questio-ne di Cefalonia? Ha pensato di rivolgersi anche a loro?
Le autorità italiane, sino all’uscita di un articolo pubblicato sul settimanale l’Espresso il 22 settembre 2006 erano assolutamente disinformate sul processo di Monaco e sull’ordinanza Stern. Nessuno sapeva nulla. Neppure l’ambasciata e i consolati in Germania. E questo è a pa-rer mio molto grave, perché coinvolge i compiti istituzionali dei nostri rappresentanti nei paesi stranieri.
Quando la notizia è scoppiata sui principali quotidiani italiani, allora c’è stato un certo movimento nelle istituzioni e a parole molte dichiarazioni di “sdegno”.
Io ho scritto a tutti i più importanti rappresentanti delle Istituzioni, dal Quirinale in giù, ho chiesto essenzialmente che il Governo italiano intervenisse affinché il processo di Monaco non fosse più una questione privata tra me ed il PM Stern ma diventasse una questione di Stati tra Italia e Germania. So che il ministro degli Esteri ha avuto contatti con le due colleghe della giustizia in Germania e in in Baviera, attraverso l’ambasciata di Berlino. Pare che entrambe abbiano espresso il loro rincrescimento per il crimine di Cefalonia e che anche Stern abbia dichiarato che non intendeva offendere gli italiani definendoli “traditori”. Ma i sussurri di una diplomazia, per me ottocentesca, non mi interessano. L’ho scritto a tutte le istituzioni a cui mi ero rivolta.
Le autorità tedesche dovrebbero chiedere scusa?
Sì, secondo me il governo italiano dovrebbe esigere da quello tedesco una pubblica dichiarazione di presa di distanza dall’ordinanza Stern. Sarebbe un fatto importante se la cancelliera tedesca lo facesse, visto che mai fino ad ora un cittadino tedesco, inquadrato nella Wehrmacht, è stato condannato dalla magi-stratura tedesca, con sentenza definitiva, per crimini commessi in Italia o su italiani. Inoltre, se veramente il Pubblico Ministero Stern fosse dispiaciuto per ciò che ha scritto («sciattamente», così ha commentato Gerhard Schreiber nel suo bel parere  sull’ordinanza, e molto pessimista sulla capacità e volontà della magistratura tedesca di fare giustizia), non ha che da accogliere il mio ricorso e rinviare a giudizio Muelhauser.
Da chi è stata aiutata nella sua bat-taglia per le vittime?
Un grande aiuto è venuto dall’Aied, l’Associazione Nazionale Ex Deportati, un’organizzazione che riunisce i superstiti dei campi di sterminio e i familiari dei caduti. Ha un’estensione su tutto il paese .Nel mio lavoro per far conoscere l’ordinanza Stern mi ha aiutato la re-sponsabile dell’Aned di Torino, Prima-rosa Pia, una persona straordinaria, fi-glia di Natale Pia, deportato politico a Mauthausen-Gusen, e nipote di Vittorio Benzi, caduto a Gusen a 17 anni. La funzione del’Aned è essenzialmente quella della testimonianza per i giovani, della presenza e delle visite ai campi di sterminio e di deportazione, della formazione di uno spirito di pace, dell’informazione. Quanti sanno in Italia che i deportati razziali dal nostro Paese furono 7.500 e i politici 35.000 ?
Lo scorso 8 dicembre ha avuto luogo un sit-in di protesta davanti alla Procura di Monaco. Chi l’ha organizzato? Come è andata?
È stata un’iniziativa molo bella. C’è stata prima una conferenza stampa con presenti parecchi giornali tedeschi e anche la Rai. Poi si è svolto un sit-in davanti al tribunale. Il tutto era organizzato dal gruppo di lavoro italo-tedesco “contro la tradizione nazista”. Si tratta di un gruppo di giovani storici che da “storici antifascisti” non mandano giù da una parte la protezione eterna accordata da parte della magistratura tedesca ai criminali nazisti e dall’altra il non
risarcimento delle vittime”.
Alla conferenza stampa e alla manife-stazione erano presenti familiari delle vittime e di reduci di Cefalonia, parlamentari italiani, avvocati, giornalisti, amici, rappresentanti dell’Aned, dell’Anpi e di Associazioni antifasciste e antinaziste tedesche. È stata una bellissima giornata, che ha fatto in me rinascere, vedendo tanti giovani che ad altri, più giovani di loro, insegneranno la storia e l’antifascismo, per molti anni a venire, ancora, la speranza in un mondo migliore, di pace.
Su Cefalonia si leggono le più difformi interpretazioni e tra gli storici non c’è consenso neppure sul numero delle vittime. Lei che idea si è fatta?
Sulla strage della Divisione Acqui a Cefalonia e a Corfù (troppo spesso si dimentica Corfù), la ricerca storica non ha ancora raggiunto alcuna certezza. Dipende in gran parte dal fatto che Gandin, prima della resa, ordinò che tutti i documenti della Divisione venissero distrutti. I tedeschi, da parte loro, spesso mentivano nei loro diari di guerra, per celare, almeno in parte, i loro crimini.
Tra i risultati, che io ritengo molto positivi, della mia costituzione di parte ci-vile nel processo di Monaco, qualunque sia il risultato finale del medesimo, c’è la raccolta, recapitata dalla Procura al mio avvocato tedesco e da lui scannerizzata di 20 faldoni (13.000 pagine) di documenti, atti vari, rogatorie fatte in Grecia e in Italia, interrogatori, deposizioni, fotografie. Una massa di atti raccolta dai due PM che si sono occupati del caso. Quando il processo sarà finito io metterò questo materiale a disposizione degli storici che vorranno andare a fondo nello studio di ciò che successe a Cefalonia e a Corfù nel settembre del 1943.
Giudica corretto valutare quell’episodio come il primo atto della Resistenza, secondo la formulazione usata dall’ex presidente Ciampi?
Ritengo non sia scorretto parlare di Cefalonia come del primo atto della Resistenza. Anche in Italia la Resitenza ebbe molti volti. A Cefalonia e a Corfù furono dei soldati, degli ufficiali ancora fedeli al re, fuggiasco e vile, a ribellarsi alla prepotenza tedesca che voleva umi-liarli e disarmarli. I soldati italiani avrebbero probabilmente preferito, potendo scegliere, tornare a casa. Hanno deciso invece, a grande maggioranza, di combattere per non subire l’onta di un disarmo volontario. Hanno deciso di combattere perchè, come già documenti tedeschi di quei giorni sostengono: “i soldati italiani di Cefalonia manifestano sempre più sentimenti antitedeschi ed antifascisti e non hanno espresso alcuna gioia per la liberazione di Mussolini”. Hanno deciso di combattere anche perché era questo l’ordine arrivato dal Comando supremo italiano di Brindisi. Hanno obbedito agli ordini del loro governo legittimo.
Che cosa dovrebbe accadere perché sia resa giustizia alle vittime di Cefalonia?
Beh, non credo sia possibile “rendere giustizia “alle vittime di Cefalonia. Il processo di Monaco si occupa unicamente degli ufficiali fucilati alla Casetta Rossa. E vedremo come si concluderà. Per tutte le altre vittime (2.000, 4.000, 7.500, 9.500, 11.500, questi sono i numeri che alternativamente vengono attribuiti a quella strage) di Cefalonia e Corfù nulla è ormai possibile fare. Se non la memoria e la conoscenza, sempre più approfondita.
 
Il fascicolo 1188, concernente la strage della Divisione Acqui, era tra quelli custoditi nel cosiddetto “armadio della vergogna”, archiviato temporaneamente ed illecitamente per “ragione di stato”. Quando nel 1994 fu “ripescato” insieme agli altri delle Fosse Ardeatine, Marzabotto, Piazzale Loreto, Sant’Anna di Stazzema etc., tutti gli imputati erano ormai morti e la giustizia ormai impossibile. Oggi, per quanto riguarda il processo di Monaco, c’è solo da augurarsi, come scrive Giordano Bruno Guerri “che l’attuale governo italiano, in mancanza di guerra fredda e senza riguardi per la fratellanza europea, prenda posizione – ufficiale e fattiva – contro una sentenza che offende, in quei nostri morti, anche noi, italiani vivi e non disposti a accettare passivamente una versione nazista della nostra storia”.
Gherardo Ugolini, Corriere d’Italia/Italia Estera 
Nella foto scattata a Cefalonia prima dell’eccidio (da sin.) Il gen. Antonio GANDIN, com.te della "Acqui", il cap. Piero GAZZETTI, addetto all'Uff. Assistenza del Comando di Divisione e il ten. col. Ernesto CESSARI, com.te del 17° regg. Fanteria tutti passati per le armi. ( tratta dal libro di Massimo Filippini “La tragedia di Cefalonia”)
 
 



 
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