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22 feb 2008Intervista del Ministro D'Alema:"Guerre per la pace"

di  Gigi Riva, L'Espresso
ROMA, 21 FEB.  (L'Espresso / Italia Estera) - La destra sarà pure in vantaggio ma, per Massimo D'Alema, "la rimonta c'è ed è percepibile". Dipende, tra l'altro, anche dal fatto che Veltroni "è in sintonia col mondo che cambia", mentre il Pdl "prefigura un ritorno al passato reso più arcigno dalla rottura al centro difficilmente digeribile dall'elettorato moderato". Quanto al Partito democratico "esserci separati dalla sinistra radicale ci dà più credibilità come forza di governo". E su Berlusconi: "Si è concluso un ciclo della politica internazionale. È finita la stagione dell'unilateralismo e del pensiero neoconservatore. In questo senso il ritorno alla guida del Paese di un personalità che ha pienamente condiviso quella stagione, a partire dalla guerra in Iraq, sarebbe archeologia politica". D'Alema guarda alle elezioni, come è naturale. Ma il suo lavoro da ministro degli Esteri ancora lo assorbe. Kosovo, Afghanistan, Libano: i luoghi del mondo dove sono impegnati i militari italiani vivono una fase difficile. Il ministro ne parla in questa intervista con 'L'espresso', nella quale traccia anche un bilancio della sua esperienza. Dice di essere contrario a ogni forma di terrorismo e ad atti "extra-giudiziali", compresi l'attentato nel centro di Damasco che ha ucciso il capo militare di Hezbollah Imad Mughniyeh, le azioni dei kamikaze in Israele e gli 'omicidi mirati' degli israeliani a Gaza. A Kabul, per vincere la guerra, vorrebbe che fosse molto rafforzato il contingente internazionale, ma senza ulteriori contributi dell'Italia, e auspica il coinvolgimento della Russia e della Cina in una nuova strategia per l'Afghanistan. Quanto al Kosovo, ritiene che sia ineluttabile il riconoscimento internazionale e per il futuro punta, per Pristina, a una collaborazione con i 'nemici' di Belgrado.
D. D'Alema, il Kosovo è nel suo destino. Quando era a Palazzo Chigi appoggiò l'intervento internazionale, ora deve gestire il riconoscimento.
R. "È naturale che chi fa politica in Italia si occupi dei Balcani. Mi fa piacere che l'Europa abbia deciso all'unanimità l'invio di una missione. È di cruciale importanza".
D. Sul riconoscimento si va in ordine sparso.
R. "L'essenziale è l'impegno europeo nella missione civile su cui c'è stato unanime consenso. Sul riconoscimento c'è l'orientamento di tutti i grandi paesi europei e in sostanza della maggioranza dei paesi membri. Questo è il dato fondamentale con tutto il rispetto per Cipro che si oppone".
D. Anche la Spagna sta tergiversando.
R. "Votano il 9 marzo. La dilazione, del tutto comprensibile, è dovuta alla peculiarità della situazione spagnola".
D. Dunque l'indipendenza era inevitabile.
R. "A questo punto sì. Fosse dipeso solo da noi, forse avremmo deciso una tempistica diversa. C'è stata un'accelerazione dovuta a molti fattori. Ma non dimentichiamo che si tratta di una forma di indipendenza particolare sotto forte supervisione internazionale".
D. Vale a dire?
R. "Il capo della missione europea avrà molti poteri. E poi lì oggi c'è ancora una missione sotto egida Onu. Senza contare i 18 mila soldati di pace. Sarà la comunità internazionale a occuparsi dei diritti delle minoranze, a proteggere i luoghi sacri serbi, a formare la polizia, la magistratura, a esercitare una supervisione sulla gestione delle frontiere. La comunità internazionale ha anche la facoltà di rimozione di pubbliche autorità e di abrogazione di norme. Non è poco".
D. Insomma, il Kosovo sarà ancora sotto tutela.
R. "L'Europa guiderà questa fase di transizione. La cosa fondamentale, per l'effettiva nascita di uno Stato kosovaro, è che si riaprano i canali con Belgrado perché se non c'è un accordo con la Serbia, difficilmente il Kosovo potrà diventare membro delle Nazioni Unite. Quello che si apre è un processo. E la prospettiva potrebbe essere quella indicata dalla Troika che aveva proposto una sorta di patto federativo tra Pristina e Belgrado, comprese istituzioni comuni per risolvere problemi comuni".
D. Difficile che i serbi ci stiano.
R. "Questa è la fase in cui prevalgono le emozioni, se la supereremo, ci si può pensare. Del resto il Kosovo aveva bisogno di una definizione del suo status e non lo si poteva riportare sotto il controllo della Serbia per la buona ragione che i kosovari non lo avrebbero voluto. Avremmo dovuto costringerli con la forza? La Serbia deve avere il coraggio di guardare al futuro. L'attuale leadership non ha colpe, ma quella di vent'anni fa ha prodotto la pulizia etnica. La soluzione finale per i Balcani è l'integrazione nell'Europa. Quando ci sarà un unico mercato, frontiere aperte, libera circolazione delle persone, tutto procederà meglio".
D. Il 90 per cento del Pil del Kosovo è prodotto da traffici illeciti di armi, droga ed esseri umani.
R. "La cifra è esagerata. Comunque, la mancanza di sovranità è la situazione ideale perché crescano poteri di natura criminale. Con un potere responsabile si creano invece i presupposti perché le cose funzionino. C'è l'esperienza del Montenegro: fu a lungo crocevia di traffici, da quando è indipendente la situazione è nettamente migliorata e abbiamo stabilito accordi di collaborazione contro il contrabbando".
D. Lei ha sostenuto che il Kosovo non deve costituire precedente. Ma i serbi di Bosnia annunciano un referendum per separarsi. Altrettanto fanno alcune Repubbliche caucasiche.
R. "Le tentazioni separatiste c'erano, ci sono e ci saranno sempre. Ma nessun altro caso è paragonabile al Kosovo, che dal '99 è in sostanza un protettorato internazionale. E non dimentichiamo che, a differenza di tutti gli altri casi, è stato il Consiglio di sicurezza dell'Onu, due anni e mezzo fa, ad avviare il processo per definirne lo status. No, la storia del Kosovo è del tutto particolare".
D. Il Kosovo segnala anche la nascita di forti tensioni con la Russia.
R. "Questo sì. Ed è un dato preoccupante. La Russia ha vissuto come una umiliazione il periodo post-sovietico. Ora il Paese torna a riaffermarsi come grande potenza per due fattori. Uno politico: il declino del prestigio americano in molte parti del mondo per via della politica unilaterale e dell'invasione dell'Iraq. Uno economico: l'aumento del prezzo del petrolio. Qualche grave errore tattico dell'Occidente, come la gestione della questione dei sistemi antimissile, ha soffiato sul fuoco della rinascita di un nazionalismo assertivo da parte della Russia".
D. Mosca si oppone al riconoscimento del Kosovo.
R. "La preoccupazione dei russi di un precedente che lede la legalità internazionale è una profezia che si autoavvera. Proprio la paralisi del Consiglio di sicurezza ha impedito che la questione fosse trattata in sede Onu anche sotto il profilo del diritto internazionale. E l'Europa non può farsi imporre dal veto russo la sua geografia. Sarebbe un segno di impotenza".
D. Come avere allora un rapporto di buon vicinato?
R. "Dobbiamo creare con la Russia un rapporto di interdipendenza. È vero che l'Europa dipende dal gas russo. Ma a sua volta la Russia dipende per il suo gas dal mercato e dalle tecnologie europee. Si è scritto che Putin porterà il gas a Belgrado, ma nessuno ha notato che di quel gasdotto noi italiani siamo proprietari al 50 per cento. Senza la Saipem non avrebbero potuto far passare i tubi sotto il mar Nero".
D. Afghanistan. La Nato ci chiede più soldati...
R. "Ma no! È un equivoco prodotto da una informazione approssimativa. La Nato chiede più soldati, come è giusto. Siccome noi siamo il quarto contingente, abbiamo lì 2.600 uomini, la Nato che sa far di conto, non li chiede a noi. Il problema posto è semmai quello della mobilitazione delle forze. Vorrei far notare che i famosi caveat, che prescrivono dei limiti per l'impiego dei nostri soldati fuori dalle zone assegnate, sono stati stabiliti dal governo precedente e da noi confermati. Il che non significa che sia proibito impiegarli altrove, ma che serve una procedura particolare. In generale credo che sia necessario rimettere a punto la missione e per questo da due anni proponiamo una conferenza internazionale che ora chiedono molti nostri partner e che i francesi si apprestano a ospitare".
D. Serve una messa a punto perché i talebani oggi sono assai più forti del 2002?
R. "Non solo. Bisogna rilanciare le ragioni politiche e strategiche della missione, altrimenti non c'è più il senso di cosa ci stiamo a fare. C'è la sensazione di una perdita di consenso da parte degli afgani che nasce da ritardi nella crescita economica, dalla corruzione e dall'inefficienza. Dobbiamo ridare un forte impulso alla missione civile. Quanto all'azione militare non può essere affidata solo ai bombardamenti. Se la Nato arriva, colpisce, scompare e magari per colpire un talebano coinvolge civili inermi, è chiaro che questo ci aliena simpatie. C'è bisogno di un maggiore controllo del territorio e di un maggior coinvolgimento della società afgana".
D. È la strategia di Petraeus in Iraq.
R. "L'Afghanistan è un Paese immenso. I generali sovietici erano arrivati ad avere più di 200 mila uomini e ne chiesero 300 mila a Gorbaciov per vincere: lui decise il ritiro. Il contingente internazionale conta 36 mila uomini, questo significa che ha limitati presidi sparsi su aree vastissime".
D. Chi può fornire altri soldati?
R. "La missione è condivisa. Russia e Cina non hanno mai sollevato obiezioni. Si può contribuire in modi diversi. Perché non chiedere aiuti a loro e ai Paesi centro-asiatici?".
D. Mica si immaginerà il ritorno dei russi?
R. "I militari russi naturalmente no. Ma potrebbero contribuire con un maggiore coinvolgimento in progetti di ricostruzione. Non c'è solo l'aspetto militare".
D. A Kabul ci sono due missioni, una Nato e una Usa. Ha un senso mantenerle entrambe?
R. "No. Nelle condizioni attuali mi sbaglierò ma credo che 'Enduring freedom' non abbia più senso. Ci vuole una sola missione con un solo comando. E c'è bisogno di riaprire il dialogo. I britannici sono stati accusati da Karzai di rapporti coi talebani. Dunque il dialogo si fa regolarmente, spesso è necessario se si vogliono risolvere questioni complesse. Io invece fui attaccato a testa bassa quando mi adoperai per salvare un giornalista italiano. Comunque, vanno recuperate quelle forze ora antagoniste che non fanno capo ad Al Qaeda, perché si inneschi un processo politico, naturalmente con la guida e alle condizioni poste dal governo afgano e con il coordinamento della comunità internazionale".
D. Visto che la situazione militare si è deteriorata, i nostri soldati hanno i mezzi necessari?
R. "Le forze armate hanno tutti i mezzi di cui hanno bisogno. Tutto ciò che lo Stato maggiore ha chiesto è stato fornito".
D. Libano. Nasrallah annuncia guerra dopo l'omicidio di Mughniyeh a Damasco.
R. "Un'autobomba nel centro di una città io lo definirei terrorismo".
D. C'è chi dice sia stato il Mossad.
R. "Chiunque lo abbia fatto, è terrorismo. Trovo anche grave che l'uomo fosse in Siria, il che alimenta i sospetti su quel regime".
D. L'autobomba ha ammazzato il responsabile di alcune tra le azioni più nefande avvenute in Medioriente negli ultimi 30 anni.
R. "Sono contro la pena di morte legalmente comminata, si immagini cosa posso pensare di una morte decisa ed eseguita in via extragiudiziaria".
D. Vale anche per gli omicidi mirati di esponenti di Hamas da parte degli israeliani a Gaza?
R. "Vale per tutti gli omicidi. È una pratica inaccettabile. Nel combattere il terrorismo si devono rispettare le regole dello Stato di diritto. Le extraordinary rendition come gli omicidi mirati non hanno rafforzato l'immagine dell'Occidente e hanno offerto alibi ai terroristi".
D. Tornando al Libano, ci sono venti di guerra.
R. "Ci sono segnali preoccupanti e meno male che siamo lì. L'Unifil sta funzionando anche da deterrente contro la possibile esplosione di una guerra civile tra libanesi ed è un fattore essenziale per la sicurezza di Israele".
D. A proposito di Israele. Uno scenario prevede una invasione di Gaza a cui seguirebbe una missione internazionale per mettere in sicurezza l'area.
R. "Gli scenari non si commentano. Penso da tempo che sarebbe utile una forza internazionale, ma come risultato di un accordo tra le parti, non dopo un attacco".
D. In conclusione, può tracciare un bilancio della sua esperienza alla Farnesina.
R. "Siamo stati eletti nel Consiglio di sicurezza col massimo dei voti mai conseguiti. Siamo stati eletti nel Consiglio per i diritti umani. Siamo stati rieletti nel Consiglio esecutivo dell'Unesco. L'ammiraglio Di Paola ha superato il candidato polacco, sostenuto dagli Usa, ed è stato eletto presidente del Comitato militare della Nato. L'attuale ministro dell'Economia è presidente del comitato ministeriale del Fondo monetario internazionale. Abbiamo allargato gli orizzonti andando in missione in Cina e India, dove non c'era più stato nessun esponente di primo piano del governo italiano negli ultimi cinque anni, e in tanti altri paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. Diventeremo uno tra i pochissimi Paesi europei a formalizzare un rapporto di collaborazione politica stabile con la Lega araba, con cui nei prossimi giorni firmeremo un protocollo di intesa. Abbiamo rilanciato il multilateralismo in un quadro di collaborazione con gli Stati Uniti, ma con una maggiore indipendenza di giudizio rispetto al passato. I fatti dicono che è stata un'esperienza positiva".
(Gigi Riva, L'Espresso/Italia Estera).
 



 
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