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ROMA - DEL primo, e più titolato, si dice che sarebbe un «buon papà» per la diplomazia italiana. Del secondo, e più chiacchierato, che sarebbe il «manager ideale» per la Farnesina. Del terzo, il più «gabinettista» come dire ministeriale in gergo, che sarebbe un ritorno all´ancien régime. Il totoministri impazza, nella Farnesina arrivata alla soglia della riforma che metterà fine all´interim di Silvio Berlusconi e riporterà gli Esteri alla dignità del tempo pieno (la nomina è attesa per il 24 luglio, in occasione della Conferenza degli ambasciatori): se davvero il nuovo capo della diplomazia italiana non sarà un politico ma un tecnico, come lascia intendere il presidente del Consiglio, la rosa delle probabilità affianca in pole position tre ambasciatori di ottimo rango e grande ma dissimile professionalità, oltre che di collocazione moderata. Nell´ordine: Boris Biancheri, 72 anni, già rappresentante italiano a Londra e a Washington ed ex Segretario Generale del ministero degli Esteri; Umberto Vattani, 64 anni, attuale rappresentante presso l´Unione europea, ex ambasciatore a Bonn ed ex Segretario Generale; e Luigi Guidobono Cavalchini, 68 anni, ex ambasciatore italiano all´Ocse e all´Ue, capo di gabinetto alla Farnesina durante il ministero di Lamberto Dini e in precedenza di Andreotti, che seguì poi a Palazzo Chigi. Con la premessa che - fino all´ultimo - il Presidente del Consiglio potrebbe spiazzare scommettitori ed esegeti, l´identikit della migliore chance affiora con una singolare convergenza di profezie e di analisi, nei corridoi orfani di un ministro a tempo pieno dal 5 di gennaio, quando Renato Ruggiero si dimise. I tre candidati che, sulla carta almeno, hanno le possibilità migliori di cancellare l´interim vantano ciascuno un proprio «mondo di riferimento», sostenitori e oppositori annidati in modo trasversale un po´ dovunque, nel palazzo meno convenzionale e meno organico della Roma repubblicana: ma le caratteristiche personali, caratteriali e professionali servono a colmare più di un vuoto nel grande puzzle in corso di completamento al Foro Italico. Chi - dentro la macchina della diplomazia italiana - vota Biancheri ne esalta le qualità ma sottolinea prima di tutto le presunte inadeguatezze di Vattani: di quest´ultimo si ricordano le asperità caratteriali che accentuerebbero le spaccature interne al ministero. Senza dimenticare l´esito controverso della «riforma» della diplomazia che porta il suo nome ma che «è stata sconfessata implicitamente dalla nuova riforma Berlusconi», come nota un diplomatico di provata esperienza che considera «appannata la sua vernice di apparente modernizzatore». Per non parlare dei «legami famigliari» che potrebbero impicciarlo, una volta installato al vertice: al ministero, con lui, ci sono suo fratello Alessandro e i figli Mario ed Enrico. Per tutto questo «ma non solo» - riassume un suo fan - Biancheri «sarebbe digerito meglio dalla carriera», come dire dagli ex colleghi più o meno titolati: l´attuale presidente dell´Agenzia Ansa e dell´Istituto per gli studi di politica internazionale (l´Ispi) porta con sè un prestigioso bagaglio culturale e una significativa «apertura all´esterno», oltre a vincoli meno marcati con la politica: «Istintivamente, in una fase in cui c´è bisogno di molta prudenza per digerire la vecchia riforma e assorbire la nuova, più che di un vulcano come Vattani c´è bisogno di un mediatore come Biancheri», riassume un diplomatico di ottima collocazione. Ma, per l´appunto, l´ex ambasciatore a Bonn porterebbe in dote una professionalità «più frizzante», avvertono i suoi sostenitori: se Biancheri è il rappresentante della «diplomazia tradizionale» e di una «concezione riservata del proprio ruolo» - per molti colleghi qualcosa di molto simile a «un papà» - Vattani è l´esponente di punta dell´«ala moderna della carriera», quella che cerca «proiezioni all´esterno» e insegue «iniziative che fanno immagine» anche a costo di far clamore. Caratteristiche indispensabili per la nuova «gestione manageriale» alla quale si ispira Berlusconi, riassume un vattaniano di ottima visibilità. La caratura di Cavalchini è un´altra, avvertono i corridoi. E´ uomo di romanità e di ministero, e non a caso «ha fatto gabinetto» per tutta la vita: la «carriera» lo considera forse un estraneo perchè «istintivamente ama chi ha fatto qualche passaggio a Roma e ha lavorato soprattutto fuori». Ma proprio questa «fedeltà alla tradizione democristiana» è la sua forza, sottolineano i fan: con lui al vertice si privilegerebbe il lavoro di macchina, qualità in attesa di recupero, «a discapito dell´esposizione». Fin qui le previsioni e le attese. La speranza è che Berlusconi nomini un politico: «La carriera non sceglierebbe mai un tecnico», garantisce un ottimo conoscitore dell´alchimia diplomatica. «Usciamo da un decennio in cui a guidare il ministero non c´era più un esponente del partito di maggioranza che come tale pesasse, anche finanziariamente, a vantaggio della struttura. Se scegliessimo noi, indipendentemente dalle preferenze di partito, porteremmo qui un politico capace di far sentire la sua voce in Consiglio dei ministri, magari alzandola». In fondo, è la domanda che molti si fanno alla Farnesina in queste ore, chi rappresenta un altissimo funzionario all´infuori di se stesso? Nessuno: un politico, al contrario, «rappresenta molto più del proprio passato». Se ne sente il bisogno, in un ministero in attesa di giudizio.