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06 dic 2007MONONGAH, commemorato il centenario della più grande tragedia mineraria della storia degli Stati Uniti. Perirono 171 emigrati italiani

Dall’inviato Attilio Pisani
 
 
MONONGAH (WEST VIRGINIA), 6 DIC. (Italia Estera) -   I rintocchi della campana inviata dal Molise hanno segnato oggi in questo paesino del West Virginia l'inizio della commemorazione del centenario della più grande tragedia  mineraria della storia degli Stati Uniti , avvenuta il 6 dicembre 1907, che provocò la morte di centinaia di emigrati italiani. Il bilancio ufficiale della strage è di 362 morti, compresi 171 italiani, ma gli storici ritengono che il bilancio reale sia vicino ai mille morti (con almeno 500 italiani).
 
 
La delegazione italiana guidata dal vice-ministro degli esteri Franco Danieli, con la presenza dell'ambasciatore italiano a Washington, Gianni Castellaneta, e dei rappresentanti di numerose comunità italiane giunte dagli Usa, dal Canada e dalle regioni italiane più colpite (Molise, Abruzzo, Calabria e Basilicata) ha partecipato ad una serie di eventi in programma nella cittadina di Monongah per ricordare il centenario della strage.
 
I rintocchi della campana commemorativa inviata dal Molise (come già fece la Regione quando la regalò  negli anni passati a Marcinelle) sono accompagnati dalla lettura da parte dei bambini delle scuole locali dei nomi delle 362  vittime ufficiali. La squilla é stata collocata accanto alla statua in marmo bianco di Carrara della vedova di un minatore. Reca una serie di scritte compresa 'San Nicola interceda per tutti' (é il santo che viene festeggiato il 6 dicembre). Secondo gli storici, i morti furono almeno un migliaio: i minatori venivano pagati sulla base del carbone estratto e molti si portavano dietro giovani aiutanti, spesso minorenni, che non venivano registrati. Il primo nome letto oggi è quello di Carlo Abbate. Per l'occasione è giunto qui anche il governatore Joe Manchin III, di nonni italiani.  "Purtroppo le tragedie minerarie continuano negli Stati Uniti – afferma il governatore - dobbiamo fare tutto il possibile perché non si ripetano. E perché non vengano dimenticate, come accaduto invece per Monongah".
Alla commemorazione è presente anche Phil Colanero, che abita qui. Suo nonno, giunto dal Molise come Donato Colaneri (ma diventato poi negli Usa Dan Colanero), lavorava nella miniera di Monongah. La sera prima della strage, per festeggiare San Nicola, aveva bevuto troppo e la mattina dopo non era nelle condizioni andare a lavorare per via della sbornia. Così si salvò la vita. "Senza quella sbornia io non sarei oggi qui - afferma il nipote - non sarei mai nato. Invece mio nonno continuò a fare il minatore per tutta la vita. Ebbe nove figli, dopo aver incontrato mia nonna Filomena, anche lei di Frosolone.
E’ seguita la celebrazione della messa e la  visita al cimitero con la deposizione di corone di fiori dove sono le lapidi delle vittime, compresi i 171 italiani identificati.
 
Nel piccolo cimitero spiccano le fasce tricolori dei sette sindaci giunti dal Molise, la regione più colpita dalla tragedia del 6 dicembre 1907, provenienti da paesi come Duronia, Frosolone, Torella del Sannio. Gianni Meffe, assessore di Frosolone, è giunto a Monongah con 12 rosari benedetti, che vuole collocare sulle lapidi dei 12 concittadini morti nella strage. Alcuni si chiamavano Meffe, come lui. Ma la ricerca è difficile perché la neve copre tutto.
 
Tra la folla silenziosa spiccano anche i fazzoletti gialli al collo dei 150 molisani giunti da Toronto e da Montreal per rendere omaggio ai protagonisti di una tragedia dimenticata quasi da tutti per un secolo. Hanno viaggiato in auto dal Canada. Tra di loro c'é anche Angelo Di Placido, emigrato nel Nordamerica a 21 anni, nel 1968, che reca in mano tre bandiere: quella italiana (la mia patria), quella canadese (la mia casa) e quella americana (il paese che oggi ci ospita). "Era un dovere per noi essere oggi qui. Gli emigrati che sono morti in questa miniera dopo anni di sacrifici e di lotta contro la povertà sono gli emigrati che ci hanno aperto la strada - afferma commosso Di Placido - senza di loro, senza i loro sacrifici, noi non saremmo quello che siamo oggi, una comunità prospera, che deve a loro tanta riconoscenza".
 
Il monumento che da oggi, esattamente a cento anni dalla strage, ricorda per la prima volta nel cimitero di Monongah, la più grande tragedia mineraria della storia americana, che vide morire 171 emigrati italiani (quelli identificati). Il monumento, dono del Governo italiano e inaugurato oggi dall'ambasciatore d'Italia a Washington, Gianni Castellaneta, si staglia contro lo sfondo immacolato del Monte Calvario, il cimitero della cittadina del West Virginia, dove la neve fresca ha coperto la tomba comune dei minatori italiani sepolti, in bare fatte utilizzando casse di dinamite, ed ha coperto le lapidi che recano tanti nomi italiani: Colanero, Ferrari, Meffe.
 
Le cerimonie erano cominciate ieri a Washington con una Messa ed una conferenza dove è stata ricostruita una tragedia che ha ispirato libri come "Cent'anni d'oblio" e "Monongah 1907 - Una Tragedia Dimenticata". Le ricerche dell'infaticabile storico Tropea hanno portato alla scoperta che quattro minatori italiani sopravvissero alla strage. Tornarono in Italia. Lasciando ad altri il "paradiso" americano.
 
La tragedia avvenne alle dieci del mattino del 6 dicembre 1907, quando una improvvisa esplosione devastò i pozzi numero 6 e 8 della miniera di Monongah nei quali si trovavano un migliaio di persone. Le squadre di soccorso, prive di attrezzature di respirazione, estrassero dai cunicoli solo cadaveri. Sulle origini della esplosione (provocata da un accumulo di grisou o dalla polvere di carbone) esistono ancora oggi diverse teorie. La grande discrepanza tra il bilancio ufficiale è quello reale è dovuto ad una importante circostanza: i minatori venivano pagati sulla base del carbone estratto dalla miniera, che veniva caricato su carrelli e quindi pesato all'uscita. Era normale quindi per i minatori portarsi nelle viscere della terra alcuni collaboratori (spesso ragazzi minorenni o familiari) con cui dividere successivamente il guadagno. La strage di Monongah lasciò centinaia di vedove e di orfani. Le vittime furono soprattutto italiani, polacchi, irlandesi reclutati dalla compagnia Fairmont Coal per soddisfare la grande fame di carbone di un'America in piena esplosione industriale. I minatori vivevano in baracche di legno, ammassati in dieci per stanza, in condizioni di povertà e di disagio estremi. Anche accettando il bilancio ufficiale della strage, 171 morti italiani, si tratta di una strage superiore per l'Italia a quella di Marcinelle, in Belgio, dove nel 1956 perirono 136 minatori italiani.
 
L'inchiesta fu frettolosa. I proprietari della miniera, la Fairmonty Coal Company, promisero un risarcimento ai familiari delle vittime (centinaia di vedove e migliaia di orfani). Ma furono in pochi a ricevere i soldi. "Le vedove all'epoca erano analfabete e indifese. Misero una croce su un documento. Furono ingannate. Una ricevette una mucca invece di soldi", spiega lo storico Joseph Tropea, nipote di una delle vittime, che ha dedicato molti anni della sua vita alla ricostruzione della tragedia. La strage spinse il Congresso americano a rafforzare i controlli sulle attività minerarie. Ma venne ben presto dimenticata. Dalla cronaca e dalla storia. Nel cimitero di Monongah, una cittadina oggi di mille abitanti, restarono così centinaia di lapidi senza nome, comprese quelle dei minatori italiani.
 
Le cose sono cambiate con l'avvicinarsi del centenario della sciagura. Nel 2003 i sindaci dei paesi italiani più colpiti dalla strage sono andati a piantare una croce a Monongah . L'interesse si è riacceso con l'avvicinarsi del centenario della sciagura. Per l'occasione sono usciti diversi libri come 'Monongah 1907, una tragedia dimenticata' di Norberto Lombardi mentre è stato girato anche un documentario.
 
Attilio Pisani/Italia Estera



 
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