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03 mar 2006LIBIA Gheddafi cerca nuovi pretesti e alza il tiro sulla vicenda delle compensazioni

ROMA, 3 MAR - (Italia Estera) - Dopo la sommossa anti-italiana di Bengasi il dittatore libico Muammar Gheddafi cerca nuovi pretesti e alza il tiro sulla vicenda delle compensazioni per il passato coloniale. il leader libico nel discorso pronunciato ieri sera a Sirte in occasione del 29/o anniversario della creazione del Congresso del popolo, ha rivelato che i libici che hanno manifestato contro il consolato d'Italia a Bengasi il 17 febbraio volevano uccidere il console. Ed ha poi affermato che il progetto colonialista è "maledetto e ha fallito, e per essere certi che non si ripeta bisogna che i colonialisti versino indennizzi ai popoli".
L'Italia - ha aggiunto - se vuole che "le sue compagnie, consolati, ambasciate e cittadini residenti in Libia vivano in pace, deve pagare il prezzo". Nel testo del discorso pubblicato dall'agenzia ufficiale libica Jana, Gheddafi invita ad approfittare dell'amicizia e degli interessi comuni per regolare i problemi del passato, "e perché non si ripeta la catastrofe del consolato italiano a Bengasi, che è avvenuta a causa del mancato risarcimento per il crimine dell'occupazione della Libia nel 1911". "Ci rammarichiamo per questo incidente contro il consolato italiano a Bengasi e contro l'ufficio libico a Tobruk, che, come ho detto ai responsabili italiani per telefono, è stato dovuto ad un accumulo (di risentimento) del popolo libico dal 1911, che ad ogni occasione esplode perché il nostro popolo è stato oggetto di ingiustizia e distruzione e ha conosciuto migliaia di morti senza alcuna ragione, crimini che non sono stati indennizzati", ha proseguito il colonnello, secondo il quale "il popolo libico grida sempre vendetta". "Si sono diretti al consolato d'Italia perché detestano l' Italia e non la Danimarca, non nutrono odio per la Danimarca e non conoscono quello stupido che fa disegni stupidi quanto lui; ma il popolo libico detesta l'Italia, ha ostilità nei suoi confronti, ecco perché conduciamo una campagna di risarcimento per i popoli di Libia, Algeria, India, Iraq o Vietnam, per indennizzare le popolazioni sottoposte a occupazione". L'Italia, secondo Gheddafi, "deve risarcire i libici per garantire che non occuperà la Libia una seconda volta, non dico l'Italia di oggi di Berlusconi o Prodi, nostri amici, ma l' Italia tra 50 o 100 anni. E' nell'interesse dell'Italia non essere un giorno governata da un cattivo come Mussolini, Graziani... L'Italia deve pagare il prezzo della sua occupazione della Libia perché a nessuno venga in mente di ricominciare dopo anni questo progetto fallito di occupazione". "Devono versare indennizzi e scusarsi perché questo problema mondiale è all'origine della catastrofe del consolato italiano a Bengasi, perché questo atto non si ripeta occorre che l'Italia versi il prezzo affinché le sue compagnie, consolati e ambasciate, e i suoi cittadini residenti in Libia vivano in pace; bisogna che il popolo libico non sia dominato dal sentimento della vendetta", ha insistito Gheddafi, affermando che "i libici erano decisi ad uccidere il console italiano e i suoi familiari". "Hanno detto che gli italiani avevano ucciso 700mila libici, e perciò si sono chiesti dov'era il problema se la famiglia del console veniva uccisa", ha aggiunto il colonnello, notando che "bisogna capire che la mentalità della strada non è quella dei diplomatici". L'Italia "é oggi un paese amico e non colonialista, e quando insultiamo l'Italia ci riferiamo a quella di Mussolini, l'Italia di oggi non è quella del passato e non sarà quella del futuro, è amica, ragion per cui approfittiamo di questa situazione di amicizia e comprensione, del buon vicinato del Mediterraneo, del dialogo 5+5, e speriamo di arrivare al 6+6 con l'Egitto e la Grecia, per regolare i problemi del passato, affinché il problema del consolato non si ripeta, perché bisogna capire che nessuno può amare il suo occupante".
 
Le parole del leader libico Muammar Gheddafi, secondo cui dopo l'assalto al consolato italiano di Bengasi potrebbero esserci altri attacchi se Roma non risarcirà il popolo libico per il periodo coloniale, "non devono impressionare più di tanto" perché sono una "arringa comiziale".
Lo ha detto oggi in un nota il ministro degli Esteri Gianfranco Fini, commentando le dichiarazioni fatte ieri dal leader di Tripoli. 
Quanto ai rapporti italo-libici - prosegue il vicepremier e ministro degli Esteri Gianfranco Fini - la posizione dell' Italia rimane quella enunciata in Parlamento e chiaramente indicata nella Dichiarazione approvata dal Consiglio dei Ministri del 23 febbraio, nella quale veniva testualmente data priorità assoluta alla duplice esigenza di: "1) chiudere definitivamente il capitolo storico del passato coloniale, anche con misure altamente significative, oltre a quelle già eseguite o in corso di esecuzione, da concordare con la parte libica, che diano il segno dell' amicizia tra i due popoli, rinnovando nel contempo l' invito alle Autorità libiche a dare seguito completo agli impegni sottoscritti, in particolare ai fini della concessione senza discriminazioni dei visti ai profughi italiani; 2) continuare a ricercare con la parte libica una soluzione accettabile del contenzioso economico sui crediti che vantano le aziende italiane, rappresentando nel contempo la necessità che si ponga termine alle limitazioni tuttora vigenti sul piano normativo e pratico in Libia a danno delle aziende italiane". Su questa strada il Governo intende proseguire, ma è di tutta evidenza - conclude Fini - che l' impegno deve essere reciproco e che nessun aiuto  viene in questa direzione dalle ultime parole del Colonnello Gheddafi.
La dichiarazione di Gheddafi non sembra aver colpito neanche il ministro delle Attività Produttive Claudio Scajola, secondo cui non porterà "particolari preoccupazioni nei nostri rapporti economici". 
"Siamo abituati ad un linguaggio colorito in molti luoghi, come quello di Gheddafi - ha detto Scajola, a margine della registrazione di un dibattito tv - Ma è altrettanto vero che in Libia i contratti sono stati sempre rispettati anche nei momenti di maggiori difficoltà". 
"So che gli investimenti italiani in Libia sono molto bene accetti - ha proseguito il ministro - So altresì che la Libia ha bisogno di aprirsi al mercato, quindi non credo che questo possa portare particolari preoccupazioni nei nostri rapporti economici".
"Non è credibile che sia il popolo libico a nutrire sentimenti di vendetta contro gli italiani di oggi per le 'colpe' dell'Italia di un secolo fa", afferma Giovanna Ortu presidente dell' Associazione italiani rimpatriati Libia (Airl) in una nota  nel commentare il discorso del leader libico Muammar Gheddafi che, ieri da Sirte, in diretta televisiva nazionale, ha detto tra l'altro che i libici "odiano l'Italia" per le sofferenze inflitte loro durante la colonizzazione. "I rimpatriati dalla Libia - osserva ancora Ortu - sono increduli e sgomenti: sembra di essere tornati indietro al 1970 quando Gheddafi, dopo le iniziali rassicurazioni dell'anno precedente, con un veemente discorso pronunciato a Misuata il 9 luglio anticipò i provvedimenti che avrebbe preso solo qualche settimana dopo contro la collettività italiana. Ossia la confisca di tutti i beni il 21 luglio, seguita il 7 ottobre dall'espulsione accompagnata da vessazioni di ogni genere. I libici che ci aiutarono allora in ogni modo offrendoci ospitalità, cibo e denaro, sono rimasti in contatto con noi per tutti questi anni e ci hanno accolto fraternamente l'anno passato sia a livello di popolazione che di autorità ". "Gheddafi, dalla posizione di debolezza del regime oggi,- prosegue la presidente dell'Airl - lancia le sue invettive contro un Paese che ha avuto l'unica colpa di blandirlo senza mai prendere una posizione ferma, chiara e definitiva, né quando si trattava di protestare né quando era il caso di fare delle concessioni anche generose per ritrovare normali rapporti di collaborazione ed interscambio. "Accanto alle grandi criticità del rapporto bilaterale - ricorda la Ortu - c'é da sempre il nostro contenzioso sottovalutato e volutamente dimenticato da tutti i governi avvicendatisi in Italia che hanno preferito, spesso purtroppo senza esito, anteporre i grandi interessi nazionali alla difesa della dignità e dei diritti sia dei rimpatriati che dei titolari di commesse non onorate". Tutti i rimpatriati insistono, infine, affinché la Casa delle Libertà e l'Unione non sfruttino a fini elettorali una situazione delicata e difficile, ma trovino il modo di condannare insieme le offensive espressioni del Colonnello in nome dei principi di libertà e democrazia che accomunano gli italiani tutti
La nipote del Duce Alessandra Mussolini nel criticare l'ultimo attacco di Gheddafi all'Italia e al passato coloniale, non ha peli sulla lingua. "Se non era per mio nonno stavano ancora sui cammelli col turbante in testa! Sono loro che ci devono risarcire perché fu un colonialismo positivo, il fascismo esportò la democrazia e strade, case, scuole". "Ci vuole un colpo di reni dell'Italia - afferma il leader di Alternativa Sociale - perché, prendendo spunto dalle parole del Papa, ci vuole reciprocità anche dal punto di vista economico". Per Alessandra Mussolini, è ora che l'Italia cerchi una sua indipendenza economica dalla Libia. "Non possiamo dipendere - attacca - dal loro petrolio che sta macchiando le nostre coscienze. Con questa dipendenza non possiamo difendere il nostro Stato, la nostra religione. Basta con queste genuflessioni continue". E per dire basta alla sudditanza dalla Libia nel settore dell'energia, Mussolini indica una via: "E' ora di pensare al nucleare".
Le dichiarazioni di oggi sono inaccettabili e gravissime". Lo ha detto il leader della Margherita Francesco Rutelli, oggi a Venezia per partecipare ad un meeting a porte chiuse sullo stato sociale in Europa, riferendosi alle dichiarazioni del leader libico Gheddafi. "Gheddafi è stato nel tempo - ha aggiunto Rutelli - un leader non molto stabile nei giudizi, sembrava che negli ultimi anni avesse avuto un comportamento più responsabile, le dichiarazioni di oggi sono invece inaccettabili e gravissime". Per Rutelli, comunque, a fronte dell'accaduto l'ex ministro Calderoli "non è scagionato, perché ha commesso un gesto folle e insopportabile e ha dimostrato di non essere all'altezza di un governo". "Ciò non significa - ha proseguito Rutelli - scagionare i criminali, i violenti e i fondamentalisti, ma significa imporre a chi fa parte di un governo di una grande nazione, di agire i un modo serio e non in un modo scioccamente provocatorio". "La provocazione - ha aggiunto - può suscitare risultati negativi a Tripoli, a Bengasi o in un'altra capitale del mondo islamico". "Quindi non cambia la responsabilità di Calderoli - ha proseguito - che è stato giustamente sanzionato con l'uscita dal governo". "Sui risarcimenti alla Libia - ha rilevato Rutelli - il problema è stato aggravato dal fatto che Berlusconi ha preso una serie di impegni con il colonnello Gheddafi, con la costruzione di opere pubbliche che poi non ha realizzato". "Questa del promettere è una caratteristica di Berlusconi - ha aggiunto - che noi in Italia conosciamo, ma che non diventa una buona ragione per repliche tanto gravi e irresponsabili. Il governo di centrosinistra - ha concluso Rutelli, ipotizzando la vittoria dell'Unione alle prossime elezioni politiche - dovrà riproporre il confronto con la Libia ma solo dopo che saranno state ritirate minacce intollerabili".
La radicale Emma Bonino, invece, intervistata dal Corriere della Sera ha detto che il "rammarico" di Gheddafi per la strage di Bengasi "suona un pochino in malafede, per non parlare della sospensione del ministro degli Interni", "A Bengasi, come è successo per altro in Iran e Siria, non si muove foglia che il regime non voglia". E Tripoli, aggiunge, "ha soffiato sul fuoco da subito". "Attratti dal gas e dal petrolio libici - sostiene - abbiamo pensato agli affari e non ai diritti negati. Mai una volta noi italiani abbiamo sollevato interrogativi sulle 'stranezze' del regime", conclude Bonino.
Ed il Senatore Andreotti dice: "Ricordatevi, è nemico di Bin Laden". "Il Rais va sostenuto e Calderoli la smetta, alla sua età, di fare il goliardo". "Fini ha fatto bene, ma ora vada in Libia a ricucire".
MA COSA E' LA LIBIA OGGI?
 
La Grande Jamahiriya Araba Socialista del Popolo Libico o Libia (in Arabo: áíÈíÇ) è uno stato dell'Africa settentrionale confinante con il Mar Mediterraneo compreso tra l'Egitto ad est, il Sudan a sudest, il Ciad e la Nigeria a sud e l'Algeria la Tunisia ad ovest. La sua capitale è Tripoli.
 
Nel 1969 un colpo di stato contro il Re Idris, ordito da giovani ufficiali, ha successo: il governo provvisorio è presieduto da Muammar Gheddafi che resterà a capo del paese da quel momento in poi fino ad oggi; il nuovo governo nazionalizza tutte le imprese di estrazione petrolifera, nonché tutti i possedimenti italiani in Libia.
 
Nel luglio 1970, 20000 italiani, per lo più proprietari di aziende e case, furono espulsi dal Paese nel quale erano nati e vivevano dal nuovo regime di Gheddafi appena salito al potere. Il pagamento dei crediti alle imprese italiane è bloccato dagli anni ’80, col rifiuto non solo di riconoscere gli interessi (come previsto nelle sentenze delle stesse Corti libiche) ma anche di pagare la sorta capitale.
 
I rapporti economici e politici con l'Italia, riavviati dal goveno D'Alema nel 1999, si sono concretizzati dal 2001 con accordi per la progettazione e realizzazione di grandi infrastrutture in Libia da parte di imprese italiane.
Nel 2003, rivoluzionando la politica estera, Gheddafi ha ottenuto la trasformazione del giudizio del suo paese da "stato canaglia, sostenitore del terrorismo internazionale" in "nazione amica dell'occidente". Dopo aver accettato di risarcire i danni prodotti dagli attentati aerei compiuti dai libici nel 1988-89, il govenro si è impegnato a bloccare tutti i programmi di produzioni armi chimiche e nucleari, accettando le ispezioni internazionali sul suo territorio l’Italia si è adoperata a livello internazionale perché alla Libia fosse tolto l’embargo, come avvenuto.
L’Italia ha anche proseguito i lavori per il gasdotto, con investimenti di oltre 2500 miliardi di vecchie lire, e lo stesso è stato inaugurato da Gheddafi e Berlusconi il 7 ottobre 2004.
Sono stati sbloccati i fondi libici presso le banche americane, con il riconoscimento degli interessi composti per tutti gli anni del blocco (da 400 milioni di dollari depositati, i libici ne hanno incassati oltre un miliardo di dollari).
I libici, pur avendo firmato accordi con l’Italia, non hanno però tenuto fede agli accordi. Infatti, nel preferire le aziende italiane per forniture e lavori in Libia, è stata creata l’Azienda Libica Italiana (ALI) che ha fatto sparire nel nulla i soldi degli associati.
 
Concludendo, la Libia non si può definire una democrazia compiuta, perché non sono ancora concesse tutte le libertà politiche (per esempio il multipartitismo) e perché vige ancora il culto della personalità di Gheddafi.
 
1.759.540 kmq
Popolazione:
5,765,563 abitanti; gruppi etnici: libici
Capitale:
Tripoli; 1.269.700 abitanti; 2.357.800 nell'area metropolitana
Lingua:
Arabo
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