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28 ago 2005Ma quel Pera non fa onore agli italiani all’estero ++di Nino Randazzo++

Editoriale di Nino Randazzo su "Il Globo" di Melbourne e "La Fiamma" di Sydney del 29 agosto 2005
MELBOURNE - (Italia Estera) - Ci mancava anche questo adesso: che la seconda carica dello Stato italiano, il presidente del Senato Marcello Pera, andasse a rivangare l’ideologia della “difesa della razza” degli Anni ’30 per lanciare dal palco del “meeting” di Comunione e Liberazione a Rimini un appello ad una vera e propria “guerra di civiltà”, alla lotta all’immigrazione, al multiculturalismo, alla multietnicità, al pacifismo, al diabolico “relativismo”, responsabili, secondo il filosofo-politico di Forza Italia, di “contaminare” l’Europa, di gettarla in una “crisi morale”, di farle perdere l’identità cristiana (e lo afferma lui, ateo professo) e di avviarla con incroci razziali verso un funesto “meticciato”, un popolo di mezzosangue color cioccolata.

Obiettivo primario della sparata, fin troppo evidente anche se sottinteso, i musulmani. Fortunatamente, contro le intemperanze del presidente del Senato ed a salvare l’onore di quella parte ancora sana della classe politica italiana è intervenuto il suo collega di partito Beppe Pisanu, ministro dell’Interno, che gli ha rinfacciato, dandogli una lezione di storia e di antropologia e ricordandogli in primo luogo che Pietro e Paolo attraversarono il Mediterraneo e “si contaminarono per diffondere il Vangelo”: “La nostra identità cristiana nasce da contaminazioni di altre identità, da meticciamenti molteplici e successivi. Non commettiamo l’errore di confondere fondamentalismo e terrorismo con la cultura islamica, altrimenti alimentiamo lo scontro di civiltà e facciamo il gioco di Bin Laden. Il 95% degli islamici che vengono in Europa non frequenta le moschee, ma è venuto in Europa solo per cercare pane e lavoro”. Contro il “ragionamento a pera” di Pera si sono schierati subito anche Giulio Andreotti, il cardinale Renato Martino e lo stesso leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini.

Ma a quali testi si è potuto abbeverare, ispirare, ha potuto attingere il Pera? Si possono fare solo delle congetture. C’è da pensare che egli tenga a portata di mano nel suo studio la collezione rilegata de “La Difesa della Razza”, la rivista che uscì dal 1938 al 1942 e di cui era redattore capo Giorgio Almirante, futuro fondatore del MSI. Avrà pure meditato su quel fiore all’occhiello del regime fascista che fu il “Manifesto della razza” del 1938, dove in forma di decalogo si prescriveva fra l’altro: al sesto comandamento: “Esiste ormai una pura razza italiana”; al settimo: “E’ tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico”; al decimo: “I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”. Come si vede, concetti di 67 anni fa che collimano impressionantemente col Pera-pensiero di questo 2005.

Bisogna, comunque, dire che non sono mancate le espressioni indignate di autorevoli personaggi e di gente comune echeggiate da un capo all’altro della Penisola. La frase più lapidaria è forse quella del giornalista di “Repubblica” Vittorio Zucconi: “L’unica creatura di razza pura in casa mia è il cane”. Dura l’editorialista della Stampa” Barbara Spinelli, che accusa Pera di “uso perverso e personalizzato” dell’alta carica, della libertà di parola (“radicale e privatizzata autonomia che ignora il senso civico come il senso delle istituzioni e dello Stato”) e dell’impunità connessa, aggiungendo: “Un presidente del Senato che usa parole imprestate da teorie razziali (“meticcio”) deve sapere quel che dice e ricordare che meticcio è variante di métèque, epiteto insultante adoperato in Francia dal fascismo di Charles Maurras”. La madre di uno dei 50 mila bambini sudamericani, africani, asiatici, mediorientali, europeo-orientali adottati in Italia, Barbara Palombelli, moglie di Francesco Rutelli, dice del figlio equadoriano diciassettenne Francisco: “E’ corteggiato da una fila di biondine italiane”. E del carabiniere Ange Caliste Calloni, 19 anni, africano nato in Costa d’Avorio, il padre adottivo si sente di affermare: “Lui è molto più europeo di me”.

Ma basta con le facili, fin troppo facili e naturali, risposte e proteste ai vaneggiamenti della “seconda carica” dello Stato (Chissà cosa ne pensa la “prima carica”, quell’inquilino del Quirinale che a venerandi 85 anni, quantunque ne abbia 23 in più del suo secondo in comando, rimane un campione di lucidità mentale, integrità intellettuale, limpida coscienza di italiano ed europeo). Aggiungiamo, invece, che decine di milioni di italiani attraverso i secoli, inclusi quattro e forse più milioni ancora in vita, sono (siamo) andati per il mondo a “inquinare” altre razze, a “meticciare” altri popoli, e l’hanno fatto, e lo fanno, con gusto, con passione, con interesse vivo, ricavandone, e arrecando, immensa soddisfazione e utilità culturale ed economica. A parte il danno all’immagine dell’Italia nel mondo, il “discorso razziale”, il “discorso a pera”, di Pera disconosce, offende, amareggia, mortifica, non fa onore, né fa fare bella figura, agli italiani all’estero.

                                                               NINO RANDAZZO




 
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