BERNA - Il 24 novembre si terrà la votazione popolare sulla revisione della legge contro la disoccupazione. Una riforma che peggiora i diritti dei disoccupati e regala oltre 300 milioni di franchi ai redditi medio-alti. La posizione del sindacato, secondo Werner Carobbio, presidente dell’Uss-Ticino.
Signor Carobbio, il consigliere federale Couchepin sostiene che la revisione della Legge contro la disoccupazione garantisce una «assicurazione sociale». Che il ministro liberale sia diventato socialista?
Con una battuta direi che di questi tempi i liberali diventano socialisti e i socialisti (ndr Leuenberger) diventano liberali…
La riforma è bocciata dai sindacati soprattutto perché ci sono due misure che penalizzano fortemente i diritti dei disoccupati. Ovvero si vuole ridurre da 520 a 400 giorni la durata di riscossione dell’indennità di disoccupazione e si aumenta da 6 a 12 mesi il periodo di contribuzione che dà diritto all’indennità. Due provvedimenti punitivi…
Infatti, è illogico ridurre la durata dell’indennità di disoccupazione quando la disoccupazione va verso quota 120-130mila. E mi pare un’assurdità che, mentre siamo in piena crisi economica si prendono misure che peggiorano i diritti dei disoccupati, con giustificazioni finanziarie. L’assicurazione oggi è sana e alla fine del 2003 verrà coperto tutto il deficit. Semmai, con la revisione dovrebbe essere ancor più migliorata. Non può funzionare solo quando c’è l’alta congiuntura.
Il Consiglio federale sostiene che questi provvedimenti restrittivi sono necessari soprattutto come risposta all’entrata in vigore dell’accordo Svizzera-UE sulla libera circolazione delle persone, che creerà ogni anno 5mila lavoratori stranieri (stagionali e a tempo determinato) disoccupati e un costo di 150 mio di franchi…
Questi provvedimenti peggiorativi colpiscono i disoccupati che non sono tali per scelta loro, ma per scelte economiche sbagliate. In particolare, la riduzione del periodo di contribuzione da 12 mesi a 6 mesi colpisce i giovani, i dipendenti che hanno una situazione precaria, le donne e le lavoratrici immigrate, che generalmente hanno difficoltà ad avere un contratto di lunga durata.
Un’altra misura stigmatizzata dai sindacati concerne la soppressione del contributo di solidarietà del 2% per i redditi medio-alti…
Infatti, stiamo regalando 300 milioni a gente che non ne ha bisogno. È una provocazione regalare soldi a manager che combinano disastri e ottengono liquidazioni da 20-30 milioni. Oltre ad essere contrario alla soppressione del contributo di solidarietà, io penso sia giusto chiedere qualcosa di più alle aziende, che sono poi responsabili della disoccupazione. Se dobbiamo fare delle riforme per risparmiare non bisogna colpire chi è già vittima di una crisi occupazionale che non ha voluto e che non ha causato.
La riforma prevede però anche alcune misure «sociali»: per i disoccupati di oltre 55 anni è prolungato a 2 anni, 2 anni e mezzo il termine quadro di riscossione; altri correttivi riguardano le donne in gravidanza, gli invalidi, chi ha subito un infortunio professionale, chi educa un figlio minore i 10 anni… Eppure i sindacati parlano di smantellamento sociale. Perché questo giudizio così negativo?
Il problema è che non si possono fare piccoli miglioramenti che riguardano alcune cerchie delimitate di disoccupati e poi far passare peggioramenti sostanziali e generali. È un imbroglio, è fumo negli occhi. Lo stesso discorso vale quando si discute sul personale pubblico, che è privilegiato rispetto al personale privato e quindi sarebbe giusto ridurre - come nel caso delle casse pensioni - le loro prestazioni. Secondo me il ragionamento va rovesciato e cioè va migliorata la condizione degli svantaggiati.
La revisione riduce anche dal 3 al 2% i contributi delle parti sociali…
Questa riduzione sarebbe stata comunque introdotta senza la riforma alla fine del 2003, perché è una misura adottata con un decreto federale urgente del 1994. Insisto però che, oggi, la crisi occupazione è il risultato di errori da parte di manager superpagati - Mühlemann e Corti -, che creano disastri nell’economia e credono di risolvere i problemi licenziando. Ma anche l’esito di una certa politica di attacco ai servizi pubblici: pensiamo alle recenti misure di tagli alla Posta.