L'Editoriale di Marcello Sorgi: RITORNA IL TRASFORMISMO
TORINO - (Italia Estera) - E’ inutile nascondersi la realtà: l'avvio della riforma elettorale proporzionale, in tempi e modi che possono consentirne l'approvazione per le prossime elezioni, segna da subito un capovolgimento della realtà che ci eravamo abituati a conoscere in questi anni, dai referendum elettorali del '91 e del '93 che affossarono la Prima Repubblica al confuso evolversi della Seconda fin qui, non certo un Eden. Siamo a un cambio di stagione. Ci sono conseguenze politiche immediate: oltre a Follini, che l'ha proposta e se l'è vista precipitare addosso come un boomerang, Prodi rischia di essere il più danneggiato dalla novità. Un candidato premier senza partito, in uno scenario in cui i partiti tornano a strutturarsi, o provvede rapidamente a farsene uno suo, o rischia di trovarsi alla mercè degli altri, né più né meno come i presidenti del Consiglio dell'epoca precedente, logorati da un ruolo di infinita mediazione. Ma anche Berlusconi s'illude se pensa che la leadership di Forza Italia e la campagna che potrà finalmente fare a favore del suo partito (suo di proprietà), per togliere voti agli altri, basterà a fargli recuperare vigore e a fornirgli una solida base per vincere e per continuare. La rissosità degli alleati della sua maggioranza ne uscirà rafforzata, legittimata dalla nuova legge che mette i simboli davanti alla coalizione. In caso di vittoria si aprirà la strada a una contrattazione permanente, destinata ancor più a paralizzare i futuri governi; e in caso di sconfitta a un rompete le righe in tutte le direzioni. Poi c'è il problema dell'alternanza di governo tra schieramenti avversari, finora garantita dal Mattarellum sia pure a costo di un peso eccessivo delle ali estreme delle coalizioni (la Lega da una parte, Bertinotti dall'altra); e da adesso in poi più incerta. La regola infatti tornerà a essere il trasformismo: per far sì che un governo incapace sia battuto e licenziato nelle urne, sarà necessario che, non gli elettori, ma i partiti si spostino di volta in volta da una parte all'altra, in una versione aggiornata e neocentrista della vecchia «teoria dei due forni» di andreottiana memoria. Così in un lasso di tempo non lungo (che un'eventuale sconfitta di Berlusconi potrebbe abbreviare, trasformando la prossima legislatura in un laboratorio), e in una cornice formalmente, ma solo formalmente, bipolare, una «cosa» o un insieme di «cose» simildemocristiane diventeranno determinanti per la vittoria della sinistra o della destra o per impedire all'una e all'altra di proporsi autonomamente come alternative. Alla fin fine i veri vincitori, già oggi, non fosse per il fiuto che hanno dimostrato, sono i transfughi che in questi giorni e a frotte stanno traghettando, a qualsiasi livello, da destra a sinistra, cercando ripari alla frana della maggioranza. Nei loro confronti, le accuse di tradimento (della Casa delle libertà) e le minacce di una sorta di purgatorio (dei prodiani e dell'Unione), fino a ieri erano fondate sullo scoperto, e in qualche caso spudorato, scavalcamento del rigido confine tra i due poli, costretti nel maggioritario a rinforzare i confini e ad affrontarsi nei collegi fino all'ultimo voto. Ma in un regime in cui edifici partitici restaurati riapriranno le porte a vecchi amici, e ognuno potrà ben dire di far ritorno a casa propria, le stesse accuse e le stesse minacce mostreranno la corda o risulteranno meno motivate. Naturalmente non c'è niente di illegittimo in ciò che sta accadendo, anzi tutto avviene a norma di legge. Né c'è nulla di antidemocratico nel ritorno al proporzionale, ci sono molti grandi Paesi (la Germania di Schroeder, la Francia di Mitterrand) che hanno fatto scelte simili. A ben vedere non è neppure un colpo di mano, e non è escluso che dopo i toni alti di oggi in Parlamento, alla presentazione in aula della riforma, dall'opposizione, o dal suo interno, non possa venire qualche segnale diverso dall'ostruzionismo. E tuttavia, nessuno può negarlo, siamo di fronte a una svolta destinata a influire da subito su uomini, programmi e strategie della corsa elettorale, mettendo tutti nella necessità di attrezzarsi. Non si capisce, ad esempio, a cosa potranno servire le primarie di entrambi gli schieramenti e la chiamata della società civile nella scelta dei candidati premier, in un sistema che s'avvia a rivalutare la logica intramontabile dei partiti, delle correnti e dei congressi a tavolino.
MARCELLO SORGI