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10 gen 2006Repubblica:QUEGLI ITALIANI CHE SOGNANO MONTECITORIO


ROMA, 11 genn. (Italia Estera) - Questo il testo integrale dell'articolo che Guido Rampolli sul quotidiano italiano Repubblica ha scritto dall'Argentina dove é stato inviato in occasione della firma dell’accordo tra la Fondazione Cassamarca e la Dante Alighieri per i corsi di italiano ai giovani argentini.
"A giudicare da questo teatro Coliseum gremito di emigranti, avremo difficoltà ad intenderci con l'Italia un po' straniera che in aprile entrerà nel nostro parlamento con dodici deputati e sei senatori, gli eletti nelle circoscrizioni estere. Non tanto per una questione di lingua, anche se certamente a Montecitorio e a Palazzo Chigi risuoneranno idiomi ostici alle nostre orecchie. Nella circoscrizione America latina, per esempio, un deputato sicuro come Riccardo Merlo parla un buon itagnòl, quell'italiano ibridato con l'espanol che si può comprendere facilmente. Ma altri, neppure l'itagnòl.
Graziella Laino, probabile candidata d'una lista Tremaglia, ha provato a seguire un corso d'italiano però niente, non le entra in testa: la sua seconda lingua resta il calabrese di Sant'Agata d'Esaro, il dialetto in cui la crebbe sua nonna.
Del resto l'italiano non serve per intercettare voti nel circuito delle associazioni regionali. E neanche a convincere elettori perplessi come Sebastian Pombaro (Per chi voterà? 'Io pe'mmo' nunn 'o saccio'). Ma se l'intoppo della lingua potrebbe essere risolto facilmente dotando il parlamento di traduttori simultanei dalle lingue più parlate nelle quattro circoscrizioni estere (Europa, America del nord, America del sud, Oceania) oppure di interpreti calabrofoni, siculofoni, venetofoni, questi ultimi utili anche alla Lega, altre differenze non sono facilmente risolvibili. Quelli che consideriamo "italiani all'estero" in realtà sono un'altra cosa.
Comunque diversi da come li immaginavano tredici anni fa, quando fu approvata la legge che autorizza gli stranieri di origine italiana ad ottenere nazionalità e passaporto senza i limiti nella discendenza posti da altre legislazioni europee. La norma rispecchiava non solo calcoli elettorali di partiti, ma anche l'aspirazione ad una politica estera più ambiziosa, di cui l'emigrazione sarebbe stata uno strumento.
Inoltre si supponeva che una parte di quei nuovi italiani avrebbe profittato del passaporto per cercare lavoro in Italia, e saturando il mercato avrebbe dirottato altrove l'immigrazione nordafricana. Le cose sono andate diversamente. Innanzitutto la legge ha prodotto il solito enorme groviglio burocratico. Il ministero degli Esteri attraverso i consolati, il ministero dell’Interno attraverso i Comuni, hanno preparato liste parallele di aspiranti italiani che differiscono per centinaia di migliaia di posizioni, iscritte in un elenco ma non nell'altro. E s'è formato un gigantesco deposito di anime morte nell'Anagrafe del Comune di Roma, dove confluiscono le posizioni di emigranti di cui s'è persa traccia. Già questo potrebbe suggerire che uno Stato con un'amministrazione pubblica così inetta non ha alcuna speranza di giocare nel girone delle piccole grandi potenze. Quanto ai risultati pratici, sono stati deludenti. Ottenuta nazionalità e passaporto, alcuni nuovi italiani d'Argentina sono effettivamente tornati nella patria dei loro avi: ma per andare in Spagna e cercare lavoro dove non hanno problemi di lingua. L'influenza che dovevamo esercitare attraverso gli emigrati non s'è materializzata.
Quando il premier Kirchner ci dà degli ingrati, perché non vogliamo chiudere il contenzioso sui tango-bonds, le associazioni italiani non protestano: ma trent'anni fa raccolsero un milione 700mila firme per ottenere che Roma ponesse il veto, all'interno della Cee, alle sanzioni contro la giunta militare argentina dopo l'invasione delle Falklands. È dubbio che la legge finora abbia prodotto risultati migliori in altri continenti. E adesso quei 18 parlamentari d'oltremare, quanti oggi ne hanno i socialisti di Boselli. In caso d'un pareggio tra Berlusconi e Prodi, le sorti del governo potrebbero essere decise da un elettorato che non paga tasse, parla a stento l'italiano, sa poco dell'Europa ed è stato formato dalle vicissitudini d'un altro continente. Curioso Paese, il nostro. Allora affrettiamoci a prendere confidenza con questi neo-connazionali che affollano il teatro Coliseum. Se ci fidassimo delle apparenze li scambieremmo per italiani d'altri tempi, più ingenui o più autentici, comunque sfalsati di alcune decadi. Sono convenuti in questo teatro, e già questo è sorprendente, per assistere alla firma d'un accordo: "Evento importantissimo, trascendentale, direi quasi inedito! ", nelle parole del presentatore. La Fondazione Cassamarca pagherà all'Istituto Dante Alighieri mille corsi d'italiano offerti ad italo-argentini maggiorenni. La munificienza della Cassamarca, legata all'omonima banca di Treviso, aiuterà la campagna elettorale dell'imprenditore sul palco: Luigi Pallaro, figura storica dell'associazionismo
italiano in Argentina. Sarà per i canti che si levano spontanei in platea ("con gli occhi d'assassina la bella romanina") o per gli spezzoni di film in bianco e nero che aprono la serata (Sordi, Totò, la Mangano) ma sembra quasi ovvio che questa regressione nel tempo ci riporti all'Italia democristiana: più esattamente a quel fattivo operare, a quel sapiente esercizio del potere, che fu la Dc veneta nel dopoguerra. Da quella storia provengono i tre sul palco: l'ex
senatore De Poli, presidente della fondazione; il futuro senatore Pallaro, imprenditore di successo; e il futuro deputato Riccardo Merlo, anch'egli un dc della diaspora ma d'ultima generazione. Se l'elezione di Pallaro e Merlo è considerata certa, meno scontato è dove siederanno in parlamento. Centrosinistra o centrodestra, non dipenderà da loro ma dal risultato delle elezioni in Italia. "Non potremo permetterci il lusso di stare con l'opposizione", spiega Pallaro. "Vedrà, questa sarà la posizione di tutti. Il gioco si gioca così". Se è esatta questa previsione, nel caso d'una vittoria del centrosinistra tutti i diciotto parlamentari eletti all'estero staranno con Prodi; alcuni gli voteranno la fiducia, altri no: ma all'occorrenza gli presteranno i voti in cambio d'un'attenzione particolare per gli italiani all'estero.
Così non sorprende che non ci sia verso di far dire a Riccardo Merlo se oggi siederebbe con il Polo o l'Ulivo. O che Graziella Laino, la più votata nelle elezioni dei Comitati per gli italiani all'estero, confidi all'Eco d'Italia "io di politica non so nulla, ancor meno della politica italiana" e allo stesso tempo si dichiari disponibile per Montecitorio ("Mi arrivano proposte da tutti
i partiti"). Per molti elettori, e per molti candidati, i cinque o sei parlamentari che saranno espressi dall'America latina a Roma non dovranno "fare politica" ma cercare di strappare vantaggi concreti per le associazioni, i patronati, gli emigranti o i loro discendenti ("Se divenissi deputata mi batterei per l'assegno sociale", annuncia la Laino). Che poi si alleino con Prodi o con Berlusconi potrebbe essere meno rilevante. Lo si può chiamare opportunismo ma sottrarsi alla politica a scopo pratico non è per l'emigrazione una scelta nuova. Nel 1962 la prima riunione d'italiani organizzata da Pallaro durò cinque minuti. Gli antifascisti non volevano ritrovarsi tra i piedi i fascisti, e un Biasutti veneto andava dicendo: sono un imprenditore, con quello non mi siedo, un falegname!, e pure comunista!
Pallaro si attribuisce il merito d'aver convinto le due parti a condividere un programma minimo, e d'esservi riuscito "facendo il democristiano", cioè "il compagno con gli uni e il commilitone (il camerata) con gli altri". In realtà la convivenza fu obbligata dalla comune condizione del migrante e dalla necessità di unirsi per costruire una minima rete di protezione. Forse per questo nel migliaio di associazioni italiane in Argentina raramente si discute di questioni che possono dividere. Non si parla neppure dello sterminio occorso durante la dittatura militare, conferma Marijo' Cerutti, giornalista de L’eco. Eppure è una storia anche italiana, avendo origini italiane sia tanti assassinati (incluso il nonno di Marijo', Victorio, rapito nel 1977) sia tanti assassini, a cominciare dal generale Gualtieri. Perciò è probabile che di quei 18 parlamentari alcuni porteranno a Roma le loro idee, ma i più soprattutto la loro appartenenza ad una comunità speciale. Molto patriottica, direbbe chi vedesse questo teatro applaudire l'inno d'Italia. Anche i volenterosi finiscono per ammutolire quando Iddio crea la schiava di Roma, però l'applauso finale è un'ovazione. E se non bastasse l'applauso, ecco la strabiliante percentuale di votanti nel referendum sulla fecondazione assistita: in Argentina ha votato il 37% degli aventi diritto, ben oltre la media italiana. Stiamo parlando d'una questione che non aveva la minima ricaduta quaggiù. Non è forse la prova d'uno straordinario attaccamento alla patria? Il problema è che la maggioranza degli "italiani all'estero" ha due patrie (e due passaporti). E l'Italia in genere viene per seconda.
Soprattutto per chi è nato qui l'Argentina è la lingua, il paesaggio, la scuola, gli amici, le proprietà, gli interessi, l'avvenire, insomma la patria concreta.
L'Italia è una patria di riserva: infatti le richieste di passaporto aumentano vertiginosamente ogni qualvolta l'Argentina attraversa una crisi grave, e altrettanto rapidamente precipitano verso la zero quando torna la calma.
Oppure è una patria simbolica, psicologica. Due psicanalisti lacaniani, Alberto Marchilli e Rinty D'Angelo, hanno elaborato una teoria: mentre la seconda generazione degli emigranti si vergogna dei padri e non vuole saperne dell'Italia perché deve assimilarsi, dalla terza poi ciò che era stato represso torna a galla nella forma d'un desiderio intenso di ritrovare le origini e ricostruire una genealogia. Ottenere il passaporto italiano risponde anche a questa esigenza. Questo non toglie che la prima patria resti l'Argentina, com'è evidente da un test che non mente: se giocano le due nazionali, gli emigranti tifano Argentina.
Così anche Marchilli, argentino con passaporto italiano ma nessuna intenzione di votare nelle elezioni d'aprile: "Sarebbe ridicolo: che ne sappiamo della vostra politica?". Certamente voterà l'associazionismo. Ma i parlamentari dell'America latina saranno comunque espressione non tanto d'una "comunità italiana", quanto soprattutto d'una comunità argentina che ha legami con l'Italia. Che non paga tasse in Italia (ma ha motivo di sentirsi in credito: "Le tasse le abbiamo già pagate con le nostre rimesse, finanziando la ricostruzione dell'Italia", dice Pallaro). Che ha i suoi interessi concreti all'estero, e dunque è condizionabile dagli Stati di residenza. Tutto molto bizzarro. Però la classe politica italiana sarà stimolata a sprovincializzarsi. E in parlamento entreranno culture politiche nuove. Forse non tutte nuovissime, a giudicare da quei dc della diaspora, numerosi tra i probabili eletti, che voteranno per il governo, per qualsiasi governo, però presidiando quell'estremo centro dove sperano rinasca ciò che nell'oltremare mai è morto".

                              Guido Rampolli
NELLE FOTO DALL'ALTO IN BASSO: Pallaro, Merlo e l'interno del Teatro Coliseum



 
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