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10 mar 2011da Il Riformista:Quella sinistra non garantista con l’alibi del Cavaliere

di Stefano Cappellini

C'è un effetto deprimente nelle dichiarazioni con cui quasi tutti i leader dell’opposizione hanno commentato ieri l’imminente presentazione in Consiglio dei ministri della riforma dell’ordinamento giudiziario.

ROMA, 10 MAR. 2011 - (Il Riformista/Italia Estera) -  C'è un effetto deprimente nelle dichiarazioni con cui quasi tutti i leader dell’opposizione hanno commentato ieri l’imminente presentazione in Consiglio dei ministri della riforma dell’ordinamento giudiziario. «Copre le leggi ad personam», ha spiegato Pier Luigi Bersani. Per Nichi Vendola «serve a blindare il potere di un sovrano modernamente medioevale». Di Pietro è andato sui classici: «Si viola la Costituzione».
I fatti si incaricheranno presto di dire se Bersani ha ragione quando teme che l’iniziativa del governo sulla giustizia sia solo l’ennesimo diversivo o, peggio, il cavallo di Troia col quale provare a inoculare nel sistema qualche altra legge ad personam. Ma anche Bersani avesse ragione - il suo sospetto è più che legittimo, è obbligato - ci sarebbe poco da esultare.


Perché a deprimere non è il giudizio sulla scarsa o nulla credibilità del presidente del Consiglio, specie in materia di giustizia. A deprimere è il fatto che nel Pd - lasciamo stare l’Idv, lì era proprio inutile sperarci - si sono levate pochissime voci che abbiano affrontato il merito delle questioni sospendendo per cinque minuti la valutazione su Berlusconi. A deprimere sono quelle molte voci che invece, si sono sì levate, ma solo per demolire passo passo le anticipazioni sulla riforma uscite in questi giorni. A deprimere è, in definitiva, la conclusione che il principale partito della sinistra, Berlusconi o non Berlusconi, non condivide le proposte che ieri Alfano ha illustrato al Quirinale. Proposte che, a nostro giudizio, dovrebbero essere patrimonio fondante dei democratici italiani.


Lasciamo stare i tanti esponenti Pd che tacciono per mancanza di coraggio e di copertura politica. Se non politicamente, è umanamente comprensibile che nessuno abbia voglia di esporsi se poi l’unico risultato è essere smentiti dai vertici e ritrovarsi additati come collusi col nemico sui fogli di rozza propaganda. Ma che tristezza sentire parlamentari che parlano come fossero portavoce dell’ala ultrà dell’Anm (del resto, la casella di responsabile giustizia dei fu Ds è stata a lungo appannaggio esclusivo di ex magistrati), respingendo la separazione delle carriere tra giudici e pm come fosse una norma punitiva anziché un fondamento del giusto processo previsto dalla Costituzione.

Quanta malafede trasuda da certe interviste dove si nega l’urgenza di nuove regole e organismi disciplinari e dove questi maldestri avvocati difensori dello status quo si guardano bene dall’aggiungere che non intervenire significa solo continuare a delegare le decisioni su punizioni, trasferimenti, promozioni agli equilibri tutti politici tra le correnti togate.


La triste verità è che quello di Berlusconi è un alibi che regge. Ma ancora più triste è sapere che se si volesse togliere l’alibi a questi signori, e si andasse da loro a dirgli «toh, questa è la riforma della giustizia, l’ha scritta Bobbio (o Calamandrei o Einaudi...)», e dentro ci fossero le stesse norme di cui si sta discutendo in questi giorni, direbbero comunque «no grazie». Perché sono proprio contrari. E contro le menzogne di Berlusconi si può combattere. Magari, si può pure vincere. Ma contro la sinistra che non conosce il garantismo, lì sì che la battaglia si fa difficile. Quasi impossibile




 
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