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26 feb 2011LIBIA: Si stringe il cerchio attorno al regime

Obama ha firmato le sanzioni; si attendono quelle dell’ONU per oggi - I giacimenti petroliferi sono sotto il controllo del popolo.
 
di Beppe Nisa
 
ROMA, 26 FEB 2011 -  (Italia Estera) -  Si stringe il cerchio attorno al regime di Muammar Gheddafi. Gli ufficiali della base aerea militare Gamal Abdel Nasser, a sud di Tobruk nel nord-est del Paese, sono passati dalla parte dei rivoltosi e secondo alcune fonti il rais controllerebbe solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia.
La situazione a Tripoli è relativamente calma dopo i violenti scontri di ieri e la manifestazione a sostegno di Gheddafi il quale, secondo Silvio Berlusconi, non controllerebbe più la situazione nel Paese. Se tutti siamo d'accordo possiamo mettere fine la bagno di sangue e sostenere il popolo libico. Sta cambiando lo scenario geopolitico e l'Italia ne è coinvolta. Nessuno ha potuto prevedere quello che è successo in Libia e quello che è accaduto qualche settimana prima in Tunisia e in Egitto, e nessuno potrà prevedere cosa avverrà». Il premier ha anche attaccato le «desolanti le polemiche provinciali delle opposizioni in Italia sulla Libia e i piccoli tentativi di attaccare il governo su politiche che sono state sempre fatte da molti decenni».
Per oggi si attende una decisione del consiglio di sicurezza dell'Onu sulle sanzioni da imporre alla Libia, dopo che il colonnello è riapparso ieri pronunciando un altro rabbioso discorso dalla piazza Verde, incitando a reprimere gli oppositori. Sebbene procedano le operazioni di evacuazione e rimpatrio, migliaia di stranieri rimangono però all'aeroporto di Tripoli. Il flusso è invece continuo alla frontiera con la Tunisia dove a migliaia di tunisini ed egiziani continuano a superare il confine.
Sul fronte internazionale il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni del rais e dei suoi familiari depositati negli Stati Uniti. L'ordine esecutivo entra in vigore immediatamente e colpisce, oltre al colonnello, almeno quattro suoi congiunti: Ayesha, generale dell'esercito nato nel 1976 o 1977; Khamis, nato nel 1980; Mutassim, consigliere per la sicurezza nazionale, nato intorno al 1975, e Saif Al-Islam, nato il 5 giugno 1972.

Venerdì il leader libico ha invitato i suoi sostenitori a prendere le armi contro i manifestanti in un Paese messo a ferro e fuoco, dove le vittime sarebbero già molte migliaia. Proteggete la Libia e i suoi giacimenti di petrolio - ha affermato alzando i pugni in cielo per incoraggiare la folla - lotteremo e vinceremo. Sconfiggeremo i rivoltosi come abbiamo sconfitto gli italiani durante la colonizzazione". "Lotteremo per riconquistare ogni angolo della Libia - ha poi aggiunto Gheddafi -. I depositi di armi sono aperti per armare il popolo, e insieme combatteremo, sconfiggeremo e uccideremo chi protesta". "Su il morale - ha concluso - guardate sono tra voi, ballate e siate felici".  Saif al-Islam, figlio del rais, ha però aperto uno spiraglio al dialogo: ha proposto agli oppositori di sospendere gli attacchi e intavolare dei negoziati.
Secondo Seif, i leader dei rivoltosi sono ormai «alla disperazione», ma, se si arriverà a un accordo, a nessuno sarà fatto del male. «Noi crediamo che in questo paese ci sia bisogno di riforme, molte riforme, siamo forti, siamo uniti, stiamo tutti lottando per il nostro paese, siamo tutti uniti contro le forze oscure, c'è un grande complotto contro il nostro paese, ci sono altri paesi dietro questa campagna. Nell'est del paese, vogliono introdurre il modello afghano in Libia, non è certo un segreto, Al Qaeda ha diffuso una dichiarazione di appoggio a questi gruppi. Abbiamo a che fare con dei terroristi, l'esercito ha deciso di non attaccarli e di dar loro l'opportunità di negoziare. Speriamo di poterlo fare in modo pacifico e lo faremo a partire da domani». Il giovane Gheddafi ha poi negato la presenza di mercenari africani e assicurato che «lo Stato riprenderà il controllo delle città nella parte orientale del Paese». Secondo Saif al Islam, a Bengasi e in altre città orientali il controllo sarebbe stato assunto dagl islamisti e la gente si lamenta del deterioramento delle condizioni di vita. «Alle ragazze viene impedito di girare per le strade - ha affermato - le scuole sono chiuse e tutto è bloccato dagli islamisti che hanno preso il controllo con la forza».

Tra le motivazioni citate dal presidente Usa per giustificare le sanzioni c'e il fatto che Gheddafi, il suo governo e i suoi stretti collaboratori hanno «preso misure estreme contro il popolo libico, tra cui l'uso di armi da guerra e mercenari per commettere violenza contro civili inermi». In una dichiarazione diffusa dal suo portavoce, Obama scrive che «il governo ha violato le norme internazionali, la decenza comune e deve essere considerato responsabile. Per tali ragioni queste sanzioni lo colpiscono, mentre proteggono gli asset che appartengono al popolo libico».
 Venerdì anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha trovato un'intesa e sabato alle 17 (ora italiana) si riunirà per votare un documento contro il regime del colonnello. Una bozza di risoluzione che circola fra i quindici Paesi membri valuta sanzioni tra cui un embargo sulle armi, sui viaggi del rais e sul blocco dei suoi asset. Il Consiglio deve prendere «misure decisive» in tal senso, ha spiegato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon: «La violenza deve cessare, chi versa con brutalità sangue di innocenti deve essere punito. Una perdita di tempo significa una perdita di vite umane». La bozza di risoluzione avverte inoltre Gheddafi che le violenze potrebbero essere considerate come crimini contro l'umanità. Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu chiede la sospensione della Libia dai suoi ranghi e un'indagine indipendente sulle violenze, mentre l'Unione europea potrebbe decretare un embargo sulle armi, il congelamento dei beni e il divieto dei visti nei confronti di Gheddafi e del suo entourage.
Il  colonnello si è attivato per tempo nella speranza di salvare il suo immenso patrimonio. Secondo il Times sarebbe riuscito a nascondere 3 miliardi di sterline in un fondo di investimenti privati a Mayfair (quartiere chic di Londra), grazie a un intermediario basato in Svizzera che prima aveva avvicinato una nota casa di investimenti della City con l'obiettivo di depositare lì i fondi ma era stato bloccato.
Il Tesoro britannico ha sguinzagliato i suoi segugi per identificare i capitali libici nascosti nel Paese: miliardi di sterline in conti bancari, oltre a una villa a Hampstead valutata 10 milioni. Dalla Gran Bretagna, e in particolare dal quotidiano Guardian, arriva anche un'altra notizia, secondo cui le autorità inglesi starebbero contattando figure di spicco del regime libico per persuaderle ad abbandonare Gheddafi ed evitare così il processo per crimini contro l'umanità.
Sarebbero stati messi a punto piani di emergenza per sgomberare l'ambasciata del Regno Unito a Tripoli, ma il Foreign Office ha smentito una chiusura della sede nel fine settimana.
L'ex ministro dell'Interno libico Abdel Fattah Yunis, in un'intervista concessa alla tv Al Arabiya, ha invitato l'esercito a unirsi subito alla rivolta del popolo, perché «ci sono le condizioni per vincere questa battaglia». E come hanno fatto altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha chiesto che Gheddafi lasci il potere: «Darà un segno di coraggio, il popolo è in grado di guidare il Paese».
Sabato mattina la capitale libica si è svegliata in una situazione di calma relativa, ma un giornalista ha detto ad Al Jazeera che un gruppo di attivisti e intellettuali che ha partecipato alle proteste sta creando un coordinamento di oppositori per operare in stretto contatto con i gruppi che controllano Bengasi e la Cirenaica, in modo da portare avanti una lotta organizzata.
 Ci sono nuovi scontri ad Al Zawiyah, 30 chilometri a ovest di Tripoli: le forze di sicurezza hanno attaccato gli insorti aprendo il fuoco. Sono 50mila le persone che hanno attraversato il confine con la Tunisia per trovare rifugio: in gran parte sono tunisini tornati in patria attraversando via terra il confine. Molti anche gli egiziani, circa 6.500. Secondo il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Co-mai), Foad Aodi, Gheddafi sarebbe ormai circondato: «In base alle informazioni che raccogliamo dalle nostre fonti a Tripoli, controlla ormai solo la zona intorno alla sua residenza-caserma di Bab Al-Azizia. Ci sono ancora segnalazioni di spari in città da parte delle milizie vicine al colonnello».
Dopo le defezioni di un gran numero di diplomatici e militari, anche l'infermiera personale del colonnello, l'ucraina Galyna Kolotnytska, sarebbe in partenza da Tripoli per tornare in patria. La moglie di Gheddafi, Ayesh, e la figlia Aisha sarebbero già partite da Tripoli alla volta di Vienna: lo ha affermato un oppositore in esilio del regime contattato da Al Arabiya. La notizia non trova però conferme ufficiali. Intervistato da Channel 4, il figlio di Muammar Gheddafi Saif ha detto che suo padre è di «buon umore» e a una domanda sul rischio di guerra civile ha risposto: «non più, non più». «Il morale è molto alto», ha detto Saif all'emittente britannica. Il popolo libico si è svegliato e ha capito il pericolo. Ora siamo ottimisti». Saif ha detto che Bengasi «è parte della Libia. Siamo fratelli. Viviamo assieme e moriamo assieme».
Infine, proseguono con qualche difficoltà i rimpatri dei connazionali che ne hanno fatto richiesta. Venerdì sera sono state completate le operazioni di imbarco a bordo della nave San Giorgio della Marina militare, che dal porto di Misurata ha sgomberato 245 persone, 130 delle quali italiane. Quindi ha fatto rotta verso Catania, dove dovrebbe arrivare domenica mattina. In Libia sono rimasti 25 dipendenti della società Bonatti nell'area a sud di Bengasi controllata dai rivoltosi. A largo della costa c'è il cacciatorpediniere Mimbelli, pronto a raccogliere i connazionali se riuscirà a ottenere i permessi di attracco. Restano in piedi le ipotesi di un nuovo tentativo con un C130 dell'aeronautica militare e il trasporto via terra fino al confine con l'Egitto.
L'aeroporto internazionale di Maatiqa, a Tripoli, e' caduto nelle mani dei manifestanti. Le forze di sicurezza fedeli a Gheddafi hanno sparato sui manifestanti in diverse zone di Tripoli. Il bilancio, secondo quanto riferito da al-Jazeera, sarebbe di decine di morti.
 
Nella capitale la tensione  resta altissima anche oggi sabato. Ieri migliaia di persone che protestavano contro il governo nel quartiere di Tajura, a Tripoli, si sono diretti  verso il centro della citta', ed in particolare in piazza Verde, per partecipare ad una manifestazione dei sostenitori del regime. Secondo un testimone, contattato dalla tv araba 'al-Jazeera', gli agenti della polizia libica di Tajura sono passati dalla parte dei manifestanti.
 
In mano ai rivoltosi sarebbe caduta anche la città di Gharian, secondo quanto riferito dal portavoce dei manifestanti, Sadiq al-Gharian mentre 'al-Arabiya' ha annunciato che i manifestanti hanno assunto il controllo della citta' petrolifera di Barca, in Cirenaica. Gli insorti hanno preso il controllo di quasi tutti i giacimenti petroliferi a est del terminal di Ras Lanuf.
 
 "Quasi tutti i giacimenti petroliferi a est di Ras Lanuf adesso sono sotto il controllo del popolo", ha detto Abdessalam Najib, ingegnere petrolifero della compagnia libica Agico e membro della coalizione del 17 febbraio, secondo quanto riporta la stampa araba. Nijiab ha detto che gli impianti stanno lavorando con una capacita' del 25%.
 
Intanto Bengasi è in festa: nella seconda città della Libia i manifestanti pro-democrazia sono felici di aver preso  il controllo dell'amministrazione locale. Bengasi è attualmente governata da un comitato di giudici e di avvocati, che hanno rivolto un appello urgente agli abitanti affinché ritornino al lavoro. "Manterremo gli impegni presi dalla Libia con le compagnie petrolifere e per il funzionamento dei terminal petroliferi" ha reso noto questo comitato di giudici e di avvocati che controllano Bengasi.
 
Questo comitato si è detto inoltre contrario alla possibilità di un intervento di militari stranieri nel paese, anche solo per motivi umanitari. Il consiglio si è pronunciato contro ogni tipo di interferenza straniera nella crisi in corso in Libia.
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Attualmente è in corso in Libia un tentativo di dare una nuova direzione politica al paese, che possa sostituire il regime. Secondo quanto riferisce 'al-Jazeera', personalità politiche della Cirenaica e della Tripolitania, tra cui anche i membri del governo libico passati con i manifestanti, stanno trattando in queste ore con i capi tribù e i leader della rivolta per formare una nuova direzione politica del paese.
 
 La famiglia Gheddafi intende continuare a "vivere e morire in Libia". Lo ha detto Seifulislam Gheddafi, figlio e delfino del colonnello Muammar Gheddafi, in un'intervista al canale CnnTurk.
Secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche occidentali, diversi paesi africani avrebbero offerto rifugio a Gheddafi e alla sua famiglia, ma finora il colonnello avrebbe declinato ogni invito.
 
Le stesse fonti sottolineano che prende forma l'idea di processare il leader libico per violazioni della legge internazionale. I paesi che si offrono di ospitare Gheddafi lo farebbero con l'obiettivo di salvare vite in Libia, nella convinzione che le violenze cesseranno prima se il leader libico lascerà il paese. Ma, concludono le fonti, se i paesi occidentali dovessero chiedere l'estradizione di Gheddafi per processarlo davanti al Tribunale penale internazionale dell'Aia, la questione diventerebbe molto più complicata.
Assediato a Tripoli, nel suo bunker sotterraneo costruito da italiani, Gheddafi giovedì in una telefonata trasmessa in tv ha tuonato contro al Qaida: c'è Bin Laden dietro i disordini.

La tv di Stato ha annunciato anche aumento di stipendi e sussidi per il cibo. Secondo un ex ministro libico: il raìs  sarebbe disposto a usare armi chimiche. "Non distruggeremo mai i pozzi" di petrolio in Libia, ha detto Seif al-Islam, il figlio di Gheddafi alla CNN turca.

Testimoni riferiscono che le forze dell'ordine libiche hanno sparato su manifestanti in diversi quartieri della capitale al termine della preghiera del venerdì causando delle vittime.

Intanto i ribelli, almeno secondo le frammentarie informazioni che giungono dal terreno, avanzano su Tripoli da est ma anche da ovest. Sono state segnalate la caduta nelle mani dei ribelli delle città di Zuara, 110 chilometri a ovest di Tripoli, e di Misurata, 210 chilometri a est della capitale. Ci sarebbero stati inoltre scontri "fra manifestanti che si avvicinano alla capitale e milizie pro-regime" nella zona fra la capitale libica e il confine tunisino.
La rappresentanza diplomatica libica presso l'Onu a Ginevra "servirà il popolo libico" e non più il regime di Muammar Gheddafi. Lo ha annunciato oggi l'incaricato d'affari libico al Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite. Stessa dichiarazione per la rappresentanza presso la Lega Araba.
Gli Stati Uniti hanno chiuso l'ambasciata nella capitale libica dopo aver evacuato il personale. Le attivita' dell'ambasciata - hanno spiegato alcuni rappresentanti americani all'Ap - sono state sospese in seguito al deterioramento della sicurezza.
Beppe Nisa/Italia Estera
aggiornato il 26 feb.2011 alle ore 19,58



 
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