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12 feb 2011Muti, Saltata la stagione di Chicago

di Attilio Pisani
CHICAGO, 12 FEB 2011 (Italia Estera) - - I medici del Northwestern Memorial Hospital hanno stabilito che lo svenimento del maestro Riccardo Muti, con conseguente caduta dal podio, il 3 febbraio scorso, è stato causato da un «comune disturbo del ritmo cardiaco» ed  hanno impiantato al direttore d'orchestra un pacemaker standard, in modo da prevenire in futuro problemi dello stesso tipo. Lo rendono noto gli stessi medici che da alcuni giorni hanno in cura Riccardo Muti. I cardiologi che hanno effettuato l'operazione, Donald Lloyd-Jones e Bradley P. Knight, hanno comunque sottolineato che secondo tutte le analisi mediche Muti «ha ottime funzioni cardiache». «Solo per prevenire eventuali episodi simili di allentamento del battito cardiaco in futuro - si legge nella nota diffusa dai sanitari - abbiamo deciso di impiantare un pacemaker standard». Riccardo Muti, sessantanove anni, è svenuto, cadendo dal podio dell'Orchesta sinfonica di Chicago durante le prove, lo scorso 3 febbraio. Ha riportato fratture multiple al volto e alla mascella ed è stato sottoposto ad un intervento chirurgico a Chicago. La  parola d’ordine della Chicago Symphony Orchestra è tranquillizzare: «Sta meglio e pensa al lavoro», dicono fonti vicine al maestro. Il direttore stava provando il concerto che avrebbe segnato il suo ritorno nella capitale dell’Illinois dopo l’attacco di gastrite che gli aveva fatto cancellare una serie di eventi, a ottobre scorso. Ma anche questa volta è stato costretto a dare forfait.
Muti, che è ricoverato al Northwestern Memorial Hospital, ha una brutta ferita al volto e una frattura alla mandibola. E’ stato effettuato  un intervento chirugico  sempre nel Northwestern Memorial Hospital per ridurre le fratture alla mascella ed al viso che si era provocato nella caduta. Così é saltata  l’intera stagione invernale del maestro alla guida della Chicago Symphony, la grande orchestra americana di cui il musicista napoletano, settant’anni a luglio, è direttore musicale da pochi mesi.
Nel comunicato stampa della Chicago Symphony Orchestra Muti esprime la sua gratitudine per tutto il supporto ricevuto e si dice molto dispiaciuto per non aver potuto dirigere l’orchestra.
«Per un direttore – si legge nel comunicato - il legame con la propria orchestra è come un matrimonio. Insieme siamo una famiglia, uniti nei momenti di gioia e in tempi di sfida. Penso che sia stato il destino a farmi venire a Chicago e penso che quello che mi è accaduto ora sia anch'esso voluto dal destino, perché ora ho capito e mi sento più che mai confortato dall'idea di tornare al mio lavoro».  Il Maestro Riccardo Muti, che da napoletano di adozione,  ha un animo sensibilissimo, ci ha tenuto a far  inserire  nel  comunicato una sua dichiarazione per i componenti dell’orchestra: «durante le prove  stavano suonando come angeli ed io ci tenevo a fare musica con loro».
Un po’ di storia
Muti: ecco che cos`è lo spirito napoletano
Nell`autobiografia gli studi partenopei e i successi mondiali «Arrivai a Milano come Totò col colbacco e la sciarpa»

Quando il giovane Riccardo Muti si trasferì da Napoli a Milano (aveva già lasciato la nativa Molfetta e si era diplomato al Conservatorio di San Pietro a Majella), il suo debutto sotto la «madunnina» non fu molto dissimile dall`esilarante arrivo di Totò e Peppino in cerca della «malafemmena». Lo ricorda lo stesso maestro nell`autobiografia fresca di stampa Prima la musica poi le parole (Rizzoli). Ecco come: «Arrivai il 2 novembre 1962. Le esecrazioni con cui il babbo e la mamma mi avevano preparato al viaggio erano terribili, come Totò nel film di Mastrocinque: "Bada che c`è freddo, a Milano c`è la nebbia, ti prendi la polmonite". Mi comprarono addirittura un cappello Borsalino (...), ci aggiunsero persino una sciarpa di lana. Arrivai da solo, scesi dal treno e pensai immediatamente al colbacco di Totò e De Filippo nel film; ci mancava l`orso bianco, tant`era diverso il mondo da quello di Napoli cui ormai ero avvezzo!». Così, come un fit rouge, lo «spirito napoletano» percorre in controluce tutte le pagine del libro ed esplode sbarazzino in episodi che Muti racconta con disinvolta ironia. Per esempio quando parla dell`incontro con il severissimo Antonino Volto, collaboratore di Toscanini, che di primo acchito lo invitò a dirigere gli altri allievi nell`Ouverture del «Don Giovanni» e, di fronte a qualche sua ingenuità e incomprensione con gli orchestrali, gli tirò via la bacchetta dalle mani dicendo in dialetto: «Parlammo `nu fesso a `a vota!». Non si trattava di malevolenza, ma di aspettativa alta nei confronti del dotatissimo giovane musicista. Il rapporto con Votto divenne poi amicizia, così come con altri grandi musicisti, a partire da Nino Rota che fu tra i primi a indirizzarlo alla carriera musicale, non prevista in una famiglia solidamente borghese.
A Milano Muti incontrò, tra gli altri, Domenico D`Aquino, studente di chitarra che portava in Conservatorio guizzi partenopei. «Era un tipo incredibile», racconta Muti, «pensate che una volta riuscì a far sorridere Votto. Eravamo in portineria, arrivò il maestro e chiese al portiere con la sua voce austera: "Un taxi..." lunga pausa "per favore". "Maestro, teng`a macchina cca fora" fece D`Aquino "ve porto a casa vosta". E Votto: "Prendo solo" pausa poco meno lunga "macchine" ancora una pausa "a pagamento". L`amico prontissimo: "ma pecché, ve credive ca ve purtavo pe senza niente?". E Votto rise. Per l`unica volta! Era un pezzetto di Napoli impiantato nel severo conservatorio lumbard». E ancora D`Aquino di fronte a Muti con il Borsalino in testa: «Una mattina mi incontrò nell`atrio. "Guè, Ricca`, eh` che fatto? mme pare Barièllo"; io non potei fare a meno di chiedergli chi fosse tale Barrièllo e lui soddisfatto: "U cazzo co` cappello". In quel momento me lo tolsi e non me lo sono più rimesso nemmeno quando mi sono trovato a quaranta sotto zero, e fu la fine ingloriosa di tutti i discorsi di mia mamma sul Borsalino, il freddo, la polmonite e l`orso bianco alla Stazione Centrale!». Eppure Napoli non ha solo questo volto scanzonato nell`affascinante vicenda esistenziale di Muti. La Napoli dei suoi anni al Conservatorio è una città colta, raffinata, dove studiare musica significa trovarsi, ad esempio, nella classe del grande Vincenzo Vitale: «Per me è stato fondamentale perché, attraverso il pianoforte, Vitale insegnava non solo lo strumento ma la musica tout court. A lui devo quel senso del fraseggio e dell`agogica di cui si ha già la perfetta cognizione nelle lettere dell`austriaco napoletanizzato Sigismumd Thalberg e nel metodo di Beniamino Cesi o di Giuseppe Martucci». C`è poi un capitolo dedicato al San Carlo: «Come potete facilmente comprendere», scrive Muti, «un teatro con il quale ho da sempre un rapporto speciale». Un aneddoto è legato alla direzione di «Ivan il Terribile»: per il finale discografico Muti aveva utilizzato la registrazione delle campane del Cremlino. A Napoli gli promisero campane vere ma queste non arrivavano e all`ultimo momento il direttore di scena fece a un operaio: «Sient` a me, ce sta na rammera llà ncoppa; vutt` abbascio». Ovvero una lamiera, esempio tipico della napoletana arte di arrangiarsi. E la città natale, con la sua musica settecentesca, ritorna ancora quando Muti parla del «progetto napoletano a Salisburgo». «In Italia era naufragato, in Austria siamo al quarto anno e chi girava nel maggio 2010 per le vie di Salisburgo vedeva dappertutto un manifesto dove a
grandi lettere era scritto: "Napoli, città del ricordo", una straordinaria focalizzazione, ma a Napoli, quella vera, non se ne è mai accorto nessuno». Un modo assai elegante di pungolare le istituzioni napoletane, nei confronti delle quali del resto il maestro ha avuto anche aperto dissenso. Nel godevolissimo libro, che si legge come un romanzo, Muti annuncia anche il finale del progetto che terminerà, nel 2011, con un`opera rara di Mercadante: «Riporteremo sulle scene `Ti due Figaro" di cui abbiamo rintracciato a Madrid la partitura». Chissà se potremo mai ascoltarlo anche sotto il Vesuvio.
(CORRIERE DEL MEZZOGIORNO – 13novembre 2010/ Italia Estera)



 
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