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23 ago 2008Silvio Berlusconi si è scelto Giovanni Falcone come testimonial per la sua riforma della giustizia

L'arte del Premier  di farsi aiutare dal Magistrato ucciso dalla mafia a Capaci: da un quarto di secolo, le sue parole vengono impunemente utilizzate dai custodi del sepolcro. Il Cavaliere è innocente o quasi…
 
Di Salvatore Parlagreco
 
 
ROMA, 22 AGO   Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è scelto il testimonial per la sua riforma della giustizia. E chi se non Giovani Falcone (NELLA FOTO CON LA MOGLIE), icona della giustizia giusta, vittima della mafia e magistrato laico e di buon senso? Ha fatto bene o male?
 
Il magistrato siciliano voleva la separazione delle carriere, indirizzare l'azione penale e inserire nelle carriere dei giudici criteri meritocratici, ha ricordato il Premier. Tutto vero, non c'è alcun dubbio. E allora perché la citazione non è piaciuta a un sacco di gente?
 
E' stato rimproverato a Berlusconi di non essere la persona giusta per ricordare il magistrato siciliano, non può permetterselo di usare le sue opinioni, visto ciò che dice e pensa della magistratura italiana. Intollerabile, poi, che metta in bocca a Falcone parole che non gli appartengono.
 
E' stata una specie di insurrezione.
 
Che Berlusconi abbia tirato per la giacca il magistrato defunto e voglia servirsene per accreditare presso l'opinione pubblica una giustizia giusta da realizzare attraverso la sua riforma non c'è alcun dubbio, che si sia sottratto ad un processo accusando i giudici di un tribunale di volere preparare un golpe per abbattere il governo scelto dagli italiani è un fatto incontrovertibile, che sia difficilmente credibile il suo amore per la giustizia può essere comprensibile, ma che gli venga rimproverata una corretta citazione delle opinioni di Giovanni Falcone in materia giudiziaria è sorprendente e sospetto.
 
Per quale ragioni sospetto?
 
La reazione è apparsa spropositata, tale da lasciare pensare che a fare incavolare questa gente sia piuttosto stata l'invasione di campo del Premier, quasi che Berlusconi fosse entrato in un club privato.
 
Gli insorti, infatti, in larga maggioranza, da un quarto di secolo a questa parte tirano per la giacca Giovanni Falcone, lo fanno in modo talvolta impudente, un giorno sì ed uno no, e ogni qualvolta per sostenere qualcosa che loro aggrada. Falcone mi ha detto, Giovanni mi ha fatto sapere, mi ha confessato, mi ha fatto capire eccetera… : potremmo realizzare un'enciclopedia di citazioni a sproposito, addebitabili ad amici, conoscenti, colleghi, uomini politici, parenti.
 
Dopo la tragica fine, Giovanni Falcone dall'aldilà ha scoperto di avere avuto nella sua vita terrena un sacco di amici, di cui non conosceva l'esistenza, di essere stato circondato da persone che hanno trascritto ogni parola da lui pronunciata. Ha scoperto anche che fra i suoi estimatori ci sono uomini che diffidarono di lui, lo contraddissero (assai spesso) e gli resero la vita difficile.
 
Giovanni Falcone è stato strumentalizzato post mortem da tanta gente, "posseduto" e cinicamente adottato, indecentemente citato a destra e a manca senza che alcuno avesse nulla da dire. Ma per Berlusconi il trattamento è stato diverso, nonostante si sia limitato a citare giudizi e opinioni risapute ed incontestabili.
 
I rimproveri, l'indignazione, il livore insurrezionale provocato dalla corretta citazione del Presidente del Consiglio, costituiscono una testimonianza indecente di cinismo, che merita di restare nella storia dell'ipocrisia nazionale.
 
Se Berlusconi adotterà i suggerimenti di Falcone lo sapremo presto, se le sue parole saranno solo un tentativo di strumentalizzare persone e fatti lo sapremo altrettanto presto. Ma non abbiamo bisogno di aspettare nemmeno un istante per prendere coscienza della strumentalità di molti dissensi. A cominciare da quello espresso da Antonio di Pietro, paladino della giustizia togata (e non quella giusta): alla vigilia dell'attentato di Capaci, Di Pietro si comportò in modo da far pensare che diffidasse di Giovanni Falcone, la cui unica colpa era di fare un lavoro presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Bastava questo, allora, a rendere sospettoso Di Pietro (e non solo lui). O si sta mani e piedi dentro la nicchia togata o non si ha diritto alla fiducia, insomma. I fondamentalisti che tutelano la casta e stanno isolando la magistratura italiana facevano danno anche allora, impedendo a servitori dello Stato preparati, come Falcone, di assumere funzioni dirigenti.
 
Potremmo fare il nome di amici (che amici non furono) i quali devono la loro carriera politica alla presunta frequentazione di Falcone.
 
Mi sono chiesto tante volte con quale animo e fino a che punto si possa utilizzare un uomo coraggioso vittima del crimine: non sono riuscito a farmi un'idea convincente, perché le persone che mi hanno indignato hanno conservato una rispettabilità indubbia.
 
I confini dell'ipocrisia e del cinismo sono smisurati, abitano anche le praterie della rispettabilità.
 
Un fatto è certo: sono troppe le carriere di uomini e donne che devono alle vittime di mafia la loro esistenza in vita; sono diventati personaggi senza averne merito.
 
Sono i custodi del sepolcro, quelli che guadagnano una notorietà immeritata, partecipano al dibattito politico e giudiziario senza averne titolo, competenza, ruolo, semplicemente per ragioni amicali, parentali o altro.
 
Non sono state solo le ambizioni personali, più o meno legittime, né solo il cinismo a creare i custodi del sepolcro, la politica ha fatto la sua parte, specie a sinistra. Dalla sinistra è venuta la strumentalizzazione più netta e incontrovertibile. Le candidature di parenti delle vittime non si contano proprio in questo schieramento politico. Si tratta di un fenomeno che non ha uguali in altra parte del mondo.
 
E qui occorre aprire una parentesi, non si può fare certo di tutta l'erba un fascio. Sarebbe ignobile.
 
Rita Borsellino non è una custode del sepolcro, ma un personaggio che si danna l'anima per portare avanti le sue idee, condivisibili o meno che siano. E gli Impastato conducono una battaglia culturale e politica di grande rispetto. Potrei fare altri nomi, ma i casi citati servono a stabilire una discriminante fra i custodi del sepolcro e chi ha fegato, competenza e passione per proseguire l'azione di coloro che hanno sacrificato la vita per farci vivere in una società libera dalle mafie e dalla violenza.
 
L'informazione ha fatto anch'essa la sua parte perché la sagra dell'ipocrisia e del cinismo fosse imperante: ogni qualvolta succede qualcosa d'importante, si cerca il conforto dei custodi del sepolcro, così il titolo è assicurato e non si rimane a mani vuote.
 
Non è una scelta di campo, c'è pigrizia, tirare a campare, problemi contingenti a consigliare una telefonata al "custode", con la conseguenza, nefanda, che invece di incoraggiare un dibattito sul merito, si finisce con l'ospitare un confronto su ciò che ha detto Falcone o Borsellino. Si discute, così, de relato, dell'organizzazione della giustizia, affidandosi ai ricordi, veri o presunti, di personaggi che non hanno competenza né esperienza adatte per affrontare gli argomenti proposti.
 
La polemica sorta dopo le dichiarazioni del Premier è una testimonianza di questa stortura: invece che approfondire i temi sul tappeto – la separazione delle carriere, l'obbligatorietà dell'azione penale, i criteri meritocratici, i ritardi del processo civile e penale – ci si scontra sul buon diritto di Silvio Berlusconi a ricordare Giovanni Falcone. Ridicolo e profondamente ingiusto.
 
Sarebbe ora di finirla e di rispettare quelli che ci hanno regalato un po' di sicurezza senza pacchetti, sputando sangue giorno dopo giorno.
 
Come?
 
Non tirandoli più per la giacca, lasciandoli in pace. Se poi si vuole onorarli allora si deve fare di più: professione di onestà, accettazione delle regole della convivenza civile e delle leggi. Questo non può valere certo solo per il Presidente del Consiglio, vale anche per i custodi del sepolcro.
Salvatore Parlagreco



 
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