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22 lug 2008L'ARRESTO DI OTTAVIANO DEL TURCO: Teoremi, manette e superpoteri

Il messaggio di Pescara e' questo? Ha ragione Berlusconi o Di Pietro? O nessuno dei due? I magistrati comunicano poco e male…

di Salvatore Parlagreco
Teoremi, manette e superpoteri. Il messaggio di Pescara è questo? Ha ragione Berlusconi o Di Pietro? O nessuno dei due? I magistrati comunicano poco e male…Intervistato dal telecronista Rai, un signore di mezza età, cittadino di Collelongo, dove è nato e vissuto Ottaviano Del Turco, non ha avuto dubbi, quando gli hanno chiesto che idea si era fatta sul provvedimento della magistratura di arrestare il Presidente della Regione-
“Non c’è dubbio, ha risposto, c’era un magistratura che aveva bisogno di mostrare la sua esistenza…”.
L’editoriale del quotidiano italiano più letto, Il Corriere della Sera, firmato da Angelo Panebianco, nell’edizione di martedì 15 luglio, avanza lo stesso sospetto del cittadino di Collelongo, probabile sodale di Ottaviano del Turco.“A parte l'esigenza di ottenere il massimo impatto mediatico”, scrive Panebianco, “ c'è stata anche qualche altra ragione dietro la decisione (ovviamente molto grave per le sue conseguenze) di procedere all'arresto della massima autorità politico- amministrativa della Regione? Ancorché indubbiamente meno spettacolare, una semplice incriminazione a piede libero non sarebbe ugualmente servita agli scopi dell'inchiesta? Una cosa è certa. Se mai Del Turco, alla fine, dovesse uscire pulito da questo affare giudiziario non ci sarà comunque mai alcuna sede disciplinare nella quale le suddette domande potranno essere poste a quei magistrati”.
Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha adombrato il solito teorema che starebbe alla base di tante cantonate dei magistrati, che cioè il “capo” non può non sapere -, amici e dirigenti politici hanno manifestato la consueta incredulità e qualche irrituale, ma convinto dissenso sul provvedimento e stima verso l’ammanettato.
La Procura della Repubblica di Pescara ha fatto sapere che sul conto di Del Turco e degli altri nove personaggi colpiti da custodia cautelare per tangenti, c’è una caterva di prove, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Tranquilli, dunque: chi è finito in galera, sta scontando una giusta pena preventiva.
La precisazione della Procura, tuttavia, non risponde alla domanda del Corriere: una semplice incriminazione a piede libero non sarebbe ugualmente servita agli scopi dell'inchiesta? Una risposta indiretta a questa domanda è venuta dal severo provvedimento– la custodia cautelare, le manette, l’isolamento di Del Turco - le cui ragioni sono scritte nel provvedimento di carcerazione proposto dal PM ed emesso dal Gip. Perché non viene pubblicato? In quel provvedimento dovrebbero essere indicate le prove e le esigenze cautelari.
E’ giusto farle conoscere. Entro qualche giorno il provvedimento sarà portato all’esame del giudice del riesame, un collegio composto di tre giudici, che deciderà una conferma o una revoca.
Nel frattempo, ogni illazione potrà essere impunemente avanzata.
Le reazioni dell’opinione pubblica
 
Le reazioni dell’opinione pubblica alla decapitazione del governo abbruzzese – si tratta del secondo caso del genere in quella Regione (ed il primo finì con l’assoluzione di tutti gli arrestati) – sono di due segni: il primo, di incredulità e sconcerto; il secondo, del tipo: giustizia è fatta, sono tutti ladri e Del Turco, poi, è socialista. Ma è la prima reazione quella maggioritaria, quella che il Presidente del Consiglio interpreta, sollecitando la riforma della giustizia per eliminare lo strapotere dei giudici. Una affermazione interessata? Sì, è vero, ma coglie l’opinione prevalente.
Non c’è più il consenso di mani pulite attorno alla magistratura, il Paese è cambiato. Alcuni diranno “in peggio”, altri diranno “in meglio”.
Ma il punto è che i sondaggi rivelano un dato inequivocabile: la fiducia dei cittadini nella magistratura è passata dall’80 per cento circa al 36 per cento.
Una ragione ci deve essere. Quella più probabile è anche la più semplice: la comunicazione della magistratura è carente, talvolta scorretta, comunque sbagliata e, bene che vada, monocorde. Eppure i magistrati hanno luoghi privilegiati per comunicare: giornali, televisione, radio, internet.
Purché lo vogliano, possono fare sapere ciò che ritengono al pubblico tutte le volte che lo ritengono.
Hanno porte aperte.
E allora? Non sanno comunicare, salvo qualche eccezione.
 
Il messaggio mediatico più importante
 
Il messaggio mediatico è rappresentato dunque dai provvedimenti che i magistrati emettono.
Nel caso di Ottaviano Del Turco, le manette e l’arresto, con la conseguente decapitazione di un governo regionale. Il feed back emotivo è prevedibile? La magistratura può fare quello che vuole, cancellare anche un governo, se lo vuole. Se non ci fossero state le manette, l’impatto mediatico sarebbe stato più sobrio e i giornali avrebbero raccontato le presunte magagne di Del Turco e gli altri.
Il feed back sarebbe stato altro. Il pericolo di inquinamento delle prove che avrebbe suggerito le manette, è stato pagato con una comunicazione che invia un messaggio negativo sull’operato della magistratura.
E’ solo un esempio. Ci sono decine di episodi, legati, a provvedimenti di magistrati – giusti o sbagliati che fossero – che hanno provocato sconcerto, indignazione dissenso, nei casi in cui persone sospettate di infami delitti sono stati messi in libertà.
La percezione che si usino due pesi e due misure, a prescindere dalla verità dei fatti, è un dato reale con il quale la magistratura dovrà prima o poi confrontarsi. Si sta sviluppando la convinzione che il magistrato persegua fini politici o mediatici attraverso provvedimenti severi nei confronti della politica, e sia invece più indulgente nei confronti della criminalità comune.
Non sta né in cielo né in terra? Certo, è possibile, perché i provvedimenti non vengono emanati da un solo giudice e ce ne sono migliaia che fanno questo mestiere. Nei casi in cui i provvedimenti sono palesemente sbagliati o eccessivi o causa di conseguenze molto gravi per le istituzioni, tuttavia, le associazioni dei magistrati e le toghe provviste di carisma se ne stanno zitti o tentano di giustificare tutto o quasi.
Se il magistrato viene insolentito, aggredito, seppellito dal dissenso, associazioni e toghe carismatiche reagiscono, legittimamente, senza indugio e con estrema determinazione. Che cosa resta? L’opinione che la corporazione protegga se stessa e sia incapace di mettersi in discussione.
Questo comportamento è sempre corretto?
Sicuramente lo è nei casi in cui l’attacco è alla indipendenza dell’ordine, non nei casi di critiche alla scelta del singolo e perciò contenuta nei limiti del singolo caso.
Quando si è affermato, da parte della stessa magistratura, che il giudice deve essere esposto alla critica della opinione pubblica, si intendeva dire che la critica deve essere forma di controllo sociale della attività del giudice, non mezzo di contrasto della indipendenza dell’ordine.
Questo significa che la critica, nel caso Del Turco dovrebbe essere basata sulle indicazioni del provvedimento. Ma questo non può avvenire perché le ragioni del provvedimento sono ignote. Le domande che provocano il dissenso sull’operato della magistratura - quali sono le prove indicate? sono sufficienti indizi di colpevolezza per un provvedimento restrittivo così estremo? vi sono esigenze cautelari?- rimangono, infatti, inevase.

La salvaguardia dell’indipendenza della magistratura.
 
I magistrati comunicano con conferenze stampa che,spiegano i provvedimenti assunti, con frequenti presenze in seminari, convegni, tavole rotonde, che li vedono al centro dell’attenzione.
Ogni volta che intervengono, rivelano una sensibilità alta su una questione: la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura. Ma anche sulla struttura del processo sostanzialmente irto di ostacoli, delle risorse e di quant’altro.
A fare notizia, però, è solo la prima questione. Perché? Ogni intervento del governo – qualunque governo – viene disapprovato ed accusato di attentare alla libertà di giudizio del magistrato.
Sulla divisione delle carriere, per esempio, si è preferito fare barricate invece che aggiustare il tiro sulla dipendenza del PM dal potere politico, il Ministero della Giustizia.
Credo che convenga alla magistratura, invece, esaminare con la dovuta serietà codici e procedure che affidano ai PM il ruolo di poliziotti ed ai poliziotti il ruolo di collaboratori dei PM: la subordinazione dei poliziotti esiste solo negli USA, dove i procuratori, però, si rivolgono alla giudicante, che è “controparte” con deferenza e grande cautela. Lo sono nella convinzione comune perché in realtà il pm è magistrato ma non giudice, non avendo il potere di condannare né di arrestare etc, perché questo spetta solo ai giudici.
Lo strapotere è dunque soprattutto mediatico a causa di una comunicazione sbagliata del magistrato.
Per come stanno le cose, bastano due o tre episodi eclatanti per seppellire il buon lavoro di migliaia di PM. Possibile che la magistratura non abbia modo di parlare alla gente di ciò che il singolo magistrato fa? Ed esprimere una opinione, indulgente, solidale, ma anche di dissenso o fortemente negativa, se occorre? C’è il Consiglio superiore della magistratura, d’accordo, ma è visto come un porto delle nebbie.
Quando un caso arriva al CSM, l’esito appare scontato, anche quando non lo è, a favore del magistrato. In realtà non è sempre così, vedi caso De Magistris, ma quello che la gente pensa è il contrario.
 
La comunicazione della magistratura è fortemente carente
 
La comunicazione della magistratura è fortemente carente anche su un settore vitale, le risorse, le difficoltà che i magistrati hanno di fare il loro lavoro perché mancano strumenti e uomini.
Quando i cittadini non ottengono giustizia – e sono le persone per bene a non riuscire ad ottenerla – scaricano le responsabilità sui magistrati.
E chi li deve difendere, i delinquenti che dalla macchina sfasciata dell’amministrazione riescono ad ottenere vantaggi? Proviamo ad immaginare che il magistrato informi periodicamente la comunità in cui opera, sul suo operato: risorse, strumenti, mezzi.
Una specie di report pubblico di ciò che va e di ciò che non va, chiamando in causa chi avrebbe dovuto elargire risorse, aggiustare leggi sbagliate eccetera.
Proviamo ad immaginare una magistratura che sappia stare vicina ai cittadini, comunicando le cose come stanno:come migliaia di magistrati vivono la loro vita di lavoro. Il magistrato rinuncerebbe ad una porzione del suo carisma, in qualche caso allo status symbol, ma guadagnerebbe consenso, farebbe meglio il suo lavoro e tutelerebbe con maggiore forza la propria indipendenza.
Oggi la magistratura ha lasciato ad Antonio Di Pietro la difesa del “corpo” giudiziario. Di Pietro rappresenta una minoranza e la sua comunicazione incontra favori ,a provoca anche irritazione e forti dissensi.
Sono persuaso che la difesa “globale” dipietrista della magistratura a lungo andare arrechi un gran danno proprio a coloro che l'ex toga difende, perché finisce con il ghettizzare il corpo giudiziario nel territorio assediato di Fort Apache.
Può andare bene a Di Pietro che raccoglie consensi del fondamentalismo di destra e di sinistra, ma non ai magistrati italiani, che hanno bisogno di parlare a tutti e guadagnare la fiducia della gente.
E’ in nome del popolo che giudicano, no?.
Salvatore Parlagreco / Italia Estera




 
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