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05 giu 2008EMIGRAZIONE:Dal 5 giugno ad Avellino, Memorie di un esodo

 
Di Viviana Corigliano
 
AVELLINO, 5 GIU (Italia Estera) - Se si parla di emigrazione italiana, il primo pensiero va alla grande emigrazione tra Ottocento e Novecento, alle navi che portarono milioni di persone dalla penisola nelle Americhe. Nonostante alcune iniziative degli ultimi anni, il ricordo dell’emigrazione dall’Italia del secondo dopoguerra è invece sbiadito, spesso assente. Ciò avviene nonostante i flussi migratori postbellici abbiano raggiunto, in particolare verso le mete europee, livelli altissimi. Forse il ricordo dell’emigrazione più recente risulta poco compatibile con la prosperità economica che l’Italia – nonostante un diffuso malessere politico e sociale – sembra oggi avere raggiunto e che si rispecchia anche nella presenza di milioni di immigrati stranieri. Eppure esistono tuttora stretti legami tra centinaia di migliaia di famiglie italiane – soprattutto nel principale bacino di emigrazione, il Mezzogiorno – e i loro parenti residenti all’estero. Questo convegno vuole contribuire a colmare parte di questo vuoto.
Nel Mezzogiorno l’esodo di massa è stato forse il fenomeno sociale più importante del secondo dopoguerra e coinvolse milioni di persone. Il sostentamento quotidiano di milioni di persone dipendeva dal danaro inviato dai migranti ai propri cari. Le esperienze di italiani emigrati dal Sud Italia in città quali Torino o Milano da un lato, o in centri d’oltralpe come Düsseldorf o Liegi dall’altro, sono state probabilmente più simili di quanto ci si potrebbe aspettare. Si trattava in entrambi casi di flussi migratori provenienti da arretrate zone agricole verso progredite aree industriali. Lo shock culturale dei migranti dipendeva in gran parte dal confronto del paese d’origine con il nuovo ambiente, plasmato dal progresso economico e sociale. Il passaggio quindi non si limitava allo spostamento da piccole località a grandi centri urbani, bensì corrispondeva all’abbandono di una società descrivibile ancora come pre-moderna, ancorata alla tradizione, in favore di  un mondo regolato dai ritmi della produzione e del consumo di massa.
 
Nell' Italia del Nord, come a tutti noto, non sono mancati fenomeni di forte discriminazione verso i nuovi arrivati dal Mezzogiorno, analoghi a quelli che si sono manifestati nei confronti degli italiani all’estero e a quelli che si ripetono oggi nei confronti degli immigrati stranieri in Italia. Gli emigrati italiani oltre confine conobbero tuttavia esperienze in parte diverse di quelle dei migranti interni; ciò in particolare sullo sfondo delle posizioni ideologiche che, prendendo spunto dal nazionalismo, disconoscevano agli stranieri gli stessi diritti sociali, oltre che politici, e li relegavano automaticamente al gradino più basso della società. All’estero le dinamiche di esclusione sono state così più accentuate, si sono protratte più a lungo e sono ancora oggi evidenti. In particolare in Svizzera e in Germania le politiche di immigrazione furono addirittura dominate dall’espresso proposito di impedire l’insediamento a lungo termine degli stranieri, che avrebbero dovuto soltanto prestare un temporaneo contributo allo sviluppo economico per poi rimpatriare.
Per di più, l’emigrazione italiana all’estero fu incoraggiata dallo stato italiano anche quando le condizioni di vita nelle zone di arrivo si profilavano tutt’altro che favorevoli. Per i governi italiani del secondo dopoguerra gli espatri in massa rappresentarono infatti uno dei principali antidoti ai problemi sociali ed economici interni. L’emigrazione riduceva le tensioni sociali derivanti dalla disoccupazione di massa e contribuiva, tramite le rimesse degli emigrati alle famiglie rimaste in patria, a riequilibrare la bilancia dei pagamenti con l’estero, cioè il flusso di denaro in entrata ed uscita (che nel caso italiano si trovava perennemente in deficit). Nonostante le forti critiche sulla condizione sociale degli emigrati espresse dai partiti di sinistra, anche l’opposizione e gli stessi ambienti sindacali riconoscevano l’emigrazione come un male necessario.
I governi italiani non si limitarono ad una generale presa di posizione a favore degli espatri, bensì li promossero tenacemente nell’ambito dei rapporti internazionali e attraverso la rete degli uffici di collocamento. Il controllo dei flussi migratori venne così a costituire un elemento delle trattative economiche internazionali e non è un caso che l’accordo il primo accordo di emigrazione del 1946, tra Italia e Belgio, prevedesse il diritto da parte italiana di acquisire dal Belgio determinati quantitativi di carbone per ogni minatore italiano impiegato nelle miniere. Si trattava di una visione prettamente economica dell’emigrazione, che riduceva i migranti al ruolo esclusivo di forza lavoro.
 
Il convegno si prefigge di mettere in luce la specificità delle migrazioni all’estero, cercando di decostruire e ricostruire le posizioni retoriche che spesso all’emigrazione si associano.
Un primo assunto è che l’emigrazione all’estero fosse – come ho già accennato – in primo luogo un’espressione della riorganizzazione sul mercato del lavoro internazionale, che in particolare divise l’Europa in una zona nord di immigrazione e in una sud di emigrazione. Ciò avvenne al di là dei confini nazionali e in Italia si manifestò con le migrazioni interne verso il triangolo industriale e con le migrazione estere oltralpe. La specificità delle migrazioni all’estero si concretizzò in particolare nel fatto che i movimenti di manodopera costituirono oggetto di scambio nelle trattative economiche internazionali, sia in sede bilaterale, sia nell’ambito della nascita della comunità economica europea.
La prima sezione (giovedì 5 giugno - LO SCENARIO POLITICO ED ECONOMICO) che prosegue al pomeriggio, affronta in questa prospettiva il quadro politico ed economico dei flussi migratori.
Un secondo assunto è che l’espressione “comunità italiane all’estero”, così come si usa riferirsi ai migranti di origine italiana, sia un termine dagli accenti assai problematici. Nonostante lo stato italiano abbia dovuto confrontarsi con la continua critica di fare poco per l’assistenza agli emigrati, molta attenzione è stata posta dalle istituzioni al mantenimento del legame emotivo e politico con gli emigrati; negli ultimi anni ciò è diventato particolarmente evidente nella concessione del diritto di voto agli italiani e all’estero e nel riconoscimento della cittadinanza a persone di origine italiana anche di terza o quarta generazione. L’idea di una comunità italiana in Francia, Svizzera o Argentina spesso corrisponde ad un costrutto politico che non è reale espressione della realtà sociale dei migranti, ma che dipende dalla volontà di affermazione dello stato nazionale e da un gruppo ristretto di associazioni ed organismi.
La seconda sezione (venerdì 6 giugno - DALLE ZONE D’ESODO ALLE AREE D’IMMIGRAZIONE), è preposta a evidenziare che cosa, nel secondo dopoguerra, significasse essere “italiani” come immigrati nei diversi paesi esteri.
In ottica analoga, la terza sezione (IL MEZZOGIORNO TERRA DI EMIGRAZIONE) vuole sottolineare come l’origine nazionale non fosse l’unico orizzonte degli emigranti, ma che anzi le identità locali e regionali fossero fondamentali. In ciò tuttavia va sottolineato il rischio che l’identità regionale venga a costituire un costrutto astratto propagato dalle istituzioni similarmente a quanto spesso avviene con l’identità nazionale.
Un ultimo punto di partenza di questo convegno è che l’emigrazione giochi un ruolo importante nella definizione dell’immagine di sé della società italiana. La memoria, o l’assenza di memoria, sui fenomeni migratori ha una valenza politica e sociale importante, come anche la diffusione dell’italiano, delle pratiche culturali ad esso associati, nonché l’immagine degli italiani all’estero. A questi temi è dedicata la quarta è ultima sezione, sabato 7 giungo – LA MEMORIA E LE IMMAGINI DELL’EMIGRAZIONE, che conclude il nostro incontro.
 
VivianaCorigliano/Italia Estera



 
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