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01 mag 2008Giuseppe Mancini (Team Italia): Tanti manager e ricercatori “fuori” d’Italia. Il triste caso di Leonardo

TORONTO, 30 APR.  (Italia Estera) -  Silvio Berlusconi e la sua coalizione di centro destra hanno largamente vinto le elezioni politiche del 13 e14 aprile. Dai primi di maggio vedremo operativa la loro compagine governativa, che avrà come leader lo stesso Berlusconi, presidente del Consiglio per la terza volta in 14 anni: dall’aprile 1994 al gennaio 1995, dal 2001 al 2006 ed ora, dal prossimo maggio, per cinque anni;  in alternanza a Lamberto Dini, Giuliano Amato e Romano Prodi, due volte.  
Durante un serratissima campagna, le due coalizioni si sono scambiate accuse e contro accuse come se non fossero state loro stesse a gestire l’Italia dal 1994, per 6 anni il centro destra e per 8 il centro sinistra. Ora, ci si augura che le parole spese e le promesse fatte diventino fatti: i numeri (forte maggioranza) e il tempo (un’intera legislatura) non dovrebbero mancare di certo al nuovo governo perché sia in grado di realizzare il programma elettorale.
Nel frattempo, e purtroppo da parecchio tempo a questa parte, essere italiani, in Italia e all’estero,  non è facile.  I fatti e misfatti, ben pochi i primi, troppi e drammatici i secondi,  ci turbano alquanto mettendo in forse quotidianità e futuro di giovani e anziani, di imprese e strutture. Non é che ad informarcene sono i media internazionali, come  il New York Times o il Financial Times, a proposito definiti “malevoli”. No: a dircelo è invece proprio la stampa “amica”, i nostri media, scritti e audiotelevisivi, le inchieste e i talk show televisivi, e per informare a dovere gli italiani all’estero, la Rai International (ora Raitalia). Con articoli, resoconti, indagini, opinioni dai toni cupi e irreversibilmente drammatici.   
Per esperienze e conoscenze dirette sappiamo quanto bene, e che cosa, sappiano fare gli imprenditori, i manager, i ricercatori, i lavoratori italiani, in Italia e fuori d’Italia. Tanto che è lecito domandarci: come e perché questa stessa Italia, dalle risorse così oggettivamente ricche, ha perso competitività internazionale fino a diventare un “paese a crescita zero” o quasi ?
Vista attraverso Team Italia, l’associazione delle aziende e dei dirigenti italiani in Canada,  l’Italia appare come un’immagine per niente rassicurante (da non attirare gli investitori stranieri) ed esasperatamente statica (da non spingere la sua economia). Fondato per accogliere le aziende italiane in Canada e favorire i loro dirigenti (qui con qualifica di “espatriati”), nel tessuto sociale ed economico del Paese, Team Italia, vede da tempo solo sporadici arrivi, vendite di imprese e rientri di aziende che lasciano il mercato. E assiste anche a continui tentativi di manager, imprenditori, ricercatori, giovani laureati che dall’ Italia vengono qui in cerca di soluzioni, di speranza, di futuro.
Con il suo modo di fare associazione, meglio dire rete, Team Italia è un punto di riferimento, almeno in Canada, per l’italianità fuori d’Italia. A Team Italia, consci di essere in un sodalizio dalle caratteristiche decisamente “mobili”, ci si è ormai abituati ad un andirivieni di dirigenti e responsabili di istituzioni, organizzazioni e aziende che si danno periodicamente il cambio. Il loro avvicendamento è nell’ordine naturale nello sviluppo associativo tanto che il fatto, fondamentalmente negativo all’amalgama di gruppo, finisce per trasformarsi in ricchezza: gli appena arrivati si aggregano facilmente e prontamente, mentre coloro che partono, rimangono attivamente collegati, da ovunque essi siano.
Differente è invece quando si tratta di vendite di imprese a società straniere o di chiusure di sedi operative e conseguenti rientri in sede. La perdita d’italianità, in questi casi, è totale nella sua concretezza economica e come immagine Paese. In Italia può anche sfuggire, anche se non dovrebbe; in Team Italia, le conseguenze, perché appaiano da vicino e ai livelli personali, appaiono immediate. Irrimediabili. 
Non avevamo, per esempio, ancora assorbito lo choc per la vendita della prestigiosa Banca Commerciale Italiana (divenuta nel frattempo, Banca Intesa) alla inglese HSBC, che  dovemmo seguire le lunghe trattative del Gruppo Fiat impegnatissimo, come azionista di maggioranza, a vendere la canadese Meridian (leader mondiale nella produzione di pezzi in magnesio per auto). Operazione che si concretizzò, nel dicembre del 2006, con la cessione ad una società norvegese dell’azienda. 
A dispetto di un bilancio fortemente in negativo fra chi va e chi viene, c’é per fortuna qualche azienda che riesce a confortarci, a riabilitarci a inorgoglirci. Come la Ferrero che, appena lo scorso anno, ha  ultimato un investimento modello e prestigioso, per capitali e tecnologia, a Brantford (Ontario) e come la Parmalat Canada che sta decisamente recuperando immagine e commercializzazione dalle ceneri cominciate ad accumulare nei terribili anni successivi al 2003, grazie ad una felice e illuminata politica impostata sulla qualità dei prodotti e un’accorta gestione aziendale.
E a offrirci motivi di soddisfazione e rivincita ci sono gli imprenditori, i manager.
Cominciamo dal caso più recente: Dopo la vendita da parte della Fiat di Meridian ai norvegesi, Paolo Maccario, presidente della società da sette anni, ingegnere torinese di nascita e di formazione, da sempre in Fiat e dal 2002 anche presidente di Team Italia, non accetta la nuova proprietà e nemmeno le proposte della casa Madre di rimanere ancora negli alti organici manageriali Fiat. Si “mette” piuttosto nel mercato del management canadese e nel giro di qualche mese si diversifica nel modo più completo della definizione andando ad occupare la posizione leader di CEO in un’azienda canadese, la 6N Silicon Inc. di Mississauga-Ontario,  che produce silicone destinato ai pannelli solari. Evidentemente,  l’avere una formazione di manageriale italiana e il vantaggio di una esperienza internazionale ha messo in condizione Maccario di dirigere al più alto livello di responsabilità un’azienda canadese.
Di Maccario in circolazione ce ne sono stati e continuano ad essercene diversi. Intendiamo parlare dei nostri dirigenti, imprenditori, ricercatori che si incontrano, anche frequentemente, in Canada, nei vicini Stati Uniti, nel resto del mondo. La loro cultura accademica, manageriale, imprenditoriale, specie se arricchita da alcuni anni all’estero, è valida in ogni dove tanto da garantire competitività e capacità a qualunque azienda locale e/o al paese che ha la fortuna di “ospitarli” . 
Rimanendo in Canada, possiamo esemplificarli facendo qualche nome fra i tantissimi:  
Dominic D’Alessandro, dal 1994 Presidente e CEO della Manulife Financial con sede a Toronto, il gruppo che ha il maggior profitto nel settore delle assicurazione Vita in Nord America.
Mike D’Uva, molisano in Canada dal 1967, presidente-fondatore della Downsviews Kitchens, le cucine più costose e prestigiose in Nord America installate nelle ville delle più celebrate stelle hollywoodiane.
Lindo Lapegna, sardo e laziale di origine, residente nella Provincia della Prince Edward Island, dal ’94, presidente e socio della Testori Americas Corporation di Wiebel Aerospace, ma da un paio di anni anche investitore a Latina con uno stabilimento, la Comp.Tech Europe.
Giuseppina (Giusi) Miglietta,  presidente e CEO della Savino Del Bene, sede di Toronto, da oltre quindici anni è impegnata a confrontarsi quotidianamente in un settore, quello dei trasporti, le cui competenze manageriali e decisionali si pensa siano solo degli uomini.
Lino Saputo, siciliano di origine, fondatore (1954) della montrealese Saputo, la piú importante società produttrice di formaggi in Canada e in Nord America con oltre 7800 dipendenti.
Franco Veglio, il responsabile del progetto produttivo di Ferrero in Canada che in tre anni (2004/2007), ha reso operativo lo stabilimento di Brantford e in grado di soddisfare l’intero Nord America.
Joe Vitale, pugliese di origine in Canada dal 19653, presidente-fondatore (1989) di Italpasta, una delle maggiori industrie di pasta prodotta con macchine tutte e solo made in Italy 
Per non parlare poi degli oltre 2460 imprenditori canadesi di origini italiane operanti nella grande Toronto e a Montreal con un giro complessivo di affari di 22.5 miliardi di dollari canadesi e l’impiego di oltre 150mila persone. Secondo quanto emerso da un censimento (disponibile) che noi stessi abbiamo condotto un paio di anni fa per rilevare le loro provenienze regionali.  O del gruppo CSIC-EQ (Comunità Scientifica Italiana in Canada - Sezione Quebec) nel quale si riuniscono i ricercatori italiani nel Quebec.
Riuscirà mai l’Italia a capitalizzare queste risorse come sta accadendo - grazie solo ad un’intuizione FIAT - con l’ italo canadese di Toronto Sergio Marchionne ? Potrebbe davvero farlo se non riesce neppure a mantenere ( o trattenere) quelle che ha in casa ?  E’ l’urgente risposta che gli italiani, in e fuori, si aspettano.  A cominciare dal nuovo governo. 
In attesa, non possiamo fare a meno di non ricordare che la nostra Italia “permise ”, già nel 1517, che emigrasse addirittura Leonardo da Vinci, a 65 anni, in Francia, invitato da Francesco I ad Amboise dove, alloggiato con il massimo rispetto nel castello di Clos-Lucé,  fu onorato del titolo di “premier peintre, architecte, et mecanicien du roi” e di una pensione di 5000 scudi. Fino a quando non morì, due anni dopo.
(Giuseppe Mancini*/Italia Estera)
*Segretario generale Team Italia
 



 
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