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11 feb 2008BIRMANIA: Fassino cauto su referendum costituzionale ed elezioni

ROMA, 10 FEB, (Italia Estera) – Nessuna emozione ha suscitato nella comunità internazionale l’annuncio della giunta militare di Myanmar (ex Birmania) di indire per maggio di quest'anno un referendum sulla nuova Costituzione ed elezioni multipartitiche nel 2010.
 
Dopo la sanguinosa repressione delle proteste dei monaci buddisti che nel settembre scorso reclamavano la libertà per il Paese e per la popolazione,  si teme che l’annuncio faccia parte di una strategia della propaganda per fuorviare l’attenzione sulla crisi birmana. Il primo ad andarci con i piedi di piombo è Piero Fassino (NELLA FOTO) inviato speciale dell'Unione europea per la Birmania. ” E’ solo un annuncio. Per dare un giudizio ragionato occorre saperne di piu'', ha detto Fassino che  è in collegamento diretto con le Nazioni Unite per un osservatorio congiunto sul tormentato e infelice paese del sudest asiatico.
 
Il capo della giunta militare Tin  Aung Myint Oo ha detto che “ bisogna restaurare pace e stabilità e istituire una democrazia multipartitica” in Birmania, ma nei mesi scorsi non ha fatto passi avanti  nel dialogo e nelle consultazioni   con Aung San Suu Kyi,  premioNobel per la pace e leader del partito di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia.
 
San Suu Kyi, che è agli arresti domiciliari da quando il suo partito ottenne una vittoria a valanga nelle prime ed uniche elezioni svoltesi in Birmania nel 1990, è molto scettica sulla possibilità di una svolta democratica. "E' ancora prematuro parlare di elezioni.Il popolo birmano deve prepararsi al peggio nella lotta per il cambiamento politico”: è  stato il messaggio lanciato da Aung San Suu Kyi  il 31 dicembre quando ebbe il permesso di lasciare gli arresti domiciliari per un incontro di un’ora con i compagni di partito. Non c’è nessun progresso, ha fatto sapere al mondo, nel dialogo di pace. Anzi non c’è nessun sostanziale dialogo con i generali, nonostante i cinque incontri avuti con il ministro incaricato.
 
 L’Associazione che assiste i prigionieri politici, con sede a Mae Sot, sostiene che il numero dei prigionieri politici è salito a 1.864 nelle carceri birmane, ben 706 in più rispetto al 2006 e che venti giornalisti sono detenuti. Dati, a giudizio dell’associazione, inferiori alla realtà perchè non tengono conto degli arresti avvenuti dopo le manifestazioni di settembre sui quali è piombato un silenzio assordante.
 
A livello internazionale nulla è cambiato. Le pressioni esercitate dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dalle organizzazioni umanitarie non hanno sortito effetti. La Cina, l’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud est Asiatico) e le piccole e medie imprese di tutto il mondo continuano a fare affari con la giunta militare birmana che lucra sui commerci e sul traffico di stupefacenti. I generali sono diventati ricchi e contenti al contrario della popolazione che continua a soffrire per la povertà e la violazione delle libertà fondamentali. (A.M.)



 
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