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15 gen 2008MESSICO: LE TORTILLAS E LA POLENTA

A sentire il dialetto sembra di stare nel Trevigiano. Invece sei in Messico nell'Altiplano Central, culla delle antiche civiltà precolombiane.

Il Racconto di Alberto Laggia
CHIPILO(MESSICO), 15 GEN (Italia Estera) -  Alle nove del mattino la piazza di Chipilo si anima. Davanti all’Italian Coffee, il bar centrale che fiancheggia l’alimentari Nave Italia, la gente si saluta e chiacchiera. Qualcuno si siede ai tavolini. Riconosci subito la cantilena dei dialetti veneti: «Bondì, bevitu che?», «Na bira». Se non fosse per gli esagerati fuoristrada pick-up americani che intasano l’avenida, e per l’esotico profilo innevato del vulcano Popocatépetl, sembrerebbe di stare davvero nel centro di uno dei tanti paesini della Marca Trevigiana. Invece sei in Messico. Nel cuore dell’Altiplano Central, culla di civiltà precolombiane e base dei primi missionari spagnoli.
A pochi chilometri a sud-ovest dalle ultime propaggini della metropoli di Puebla sorge Chipilo, villaggio rurale tutto case basse e stalle, abitato da 4.000 messicani, la stragrande maggioranza dei quali da cinque generazioni parla il dialetto trevigiano e accompagna la carne con la polenta più che con le tortillas. Una vera e propria enclave veneta nella terra di Pancho Villa, con tanto di cucuzzolo al centro ribattezzato "Monte Grappa", che si spiega solo andando a leggere una delle pagine dell’epopea migratoria italiana.
Qui arrivarono nell’ottobre del 1882, dopo aver attraversato l’oceano a bordo del piroscafo Atlantico, 560 emigranti bellunesi, feltrini e trevigiani, ma soprattutto provenienti dal paese di Segusino, borgo trevigiano sulla valle del Piave.
«La preponderante presenza di segusinesi e l’isolamento in cui visse questa colonia per decenni hanno conservato fino ai nostri giorni questo dialetto delle fine dell’800, contaminato solo da alcuni termini spagnoli. E ancor oggi, i bambini lo imparano in famiglia, prima dello spagnolo appreso a scuola», spiega Agostino Coppe, sindaco di Segusino e tenace promotore del riavvicinamento tra le due comunità. Di questo "caso socio-linguistico" unico si sono occupate anche le università americane. Carolyn MacKay, linguista della Ball State University, Indiana, ha redatto perfino un lessico traducendo il chipilegno in italiano, spagnolo e inglese.
Quando c’era Porfirio Diaz
«Gli emigranti del 1882 erano in gran parte contadini che scappavano da miseria e fame, aggravate da una rovinosa inondazione del Piave», ricorda Coppe, artefice della riscoperta delle radici venete di questo angolo di Messico. «L’occasione propizia sembrò essere la campagna di colonizzazione che avviò l’allora presidente messicano Porfirio Diaz.
Così, dal 1881 al 1924, dall’Italia arrivarono sei bastimenti carichi di veneti, lombardi e piemontesi, tutti col sogno di rifarsi una vita. «Ma dai racconti dei miei nonni, i segusinesi non trovarono la "terra promessa" come speravano, ma un terreno sterile. Dopo un’odissea via mare fino a Veracruz, e in treno a Cholula, percorsero a piedi gli ultimi chilometri. Chipilo si presentava come una pietraia con un solo ricovero per la notte dove tutti dovettero stiparsi, come in una stalla», ricorda Amelia Precoma Piloni, 72 anni, chipilegna con i nonni di Maser, altro paese del Trevigiano.
Furono decenni difficili, ma questa terra trista, grazie al lavoro degli italiani, divenne una delle aree più fertili dell’intera valle di Puebla. Si moltiplicarono gli allevamenti bovini e fiorì la produzione lattiero-casearia. Da tempo Chipilo è sinonimo di latte e formaggi "taliani" come lo s’cec. Oggi tra i maggiori allevatori dello Stato di Puebla ci sono proprio i chipilegni.
"Pane duro, ma sicuro"
«I miei avi parlando del lavoro del vaccaro dicevano l’è pan dur, ma segur». Sarà anche così, ma l’ex carpentiere Miguel Angel Sevenello, 43 anni, col suo rancho di 300 ettari nello Stato di Tlaxcala e le sue 1.600 vacche che producono 19.000 litri di latte al dì, in pochi anni è diventato il maggior produttore del sud-est dell’intero Messico. È uno dei "taliani" che hanno saputo riconvertirsi al momento giusto, tornando all’attività dei nonni, dopo la sbronza dei mobili rusticos esplosa negli anni ’90. Allora a Chipilo le stalle furono trasformate in mobilifici e furono assunti migliaia di addetti, quasi tutti licenziati per la crisi del settore a causa della saturazione del mercato e lo sbarco dei cinesi.
Così, senza perdere le antiche tradizioni, da quella di brusar la vecia del 5 gennaio ai giochi come il Rigoleto, che si faceva in periodo pasquale con le uova dipinte lanciate da una tegola posta per terra, i chipilegni in questi ultimi anni hanno messo a frutto l’intraprendenza imprenditoriale che contraddistingue i "taliani" per lanciarsi in altre attività. Basta spostarsi di pochi chilometri per raggiungere Atlixco, la "città dei fiori", baciata da un clima che le regala una primavera eterna: tra centinaia di vivai, Pedro Minutti ha costruito una fortuna sfruttando l’immagine e la qualità "Italia". Con i "Gelati Topolino" la figlia Pilar, grazie anche all’aiuto di un gelatiere bellunese, ha importato in Messico con grande successo il tiramisù e la gelateria artigianale italiana. Il fratello Domingo in un lustro ha fatto bere il caffè espresso a mezzo Messico col suo marchio "The Italian Coffee": quello della piazza di Chipilo è solo uno dei 185 caffè aperti in franchising in tutta la nazione, e presto altri 20 apriranno negli Usa. I 3.000 uomini della catena servono, in un mese, tre milioni di tazzine, un milione e mezzo di cappuccini freddi, consumando 130.000 litri di latte. Fatturato del 2004: 10 milioni di dollari. Si dice che il consumo degli espressi in Messico aumenti del 12 per cento all’anno. Che ne sappia qualcosa "l’Illy messicano"? L’altro fratello, Peter, che ha preso dal padre la passione degli aerei, si occupa invece di import di macchine agricole e produce cento tonnellate di miele all’anno che esporta in Europa per l’80 per cento.
Nel 1999 a giocarsi la poltrona di sindaco di Atlixco sono stati due italianos: Pietro "Pedro" Minutti e l’outsider poi vincitore, Luis Galeazzi (uno dei 20 omonimi presenti nella città), ingegnere agronomo di 34 anni, che a 24 era già deputato federale e che ora è funzionario del Sedesol, la "Segreteria dello sviluppo sociale" messicano.
Chipilegni di seconda emigrazione oggi si trovano un po’ ovunque in Messico, soprattutto nella Tierra Templada dell’altopiano: da Irapuato a San Miguel De Allende, da Queretaro a Puebla. E le loro storie si intrecciano con quelle dell’altra grande colonia italiana, "Colonia Miguel Gonzales", o Zentla, 12.000 abitanti, di cui 3.000 di origine italiana, fondata nel 1881 e ancor oggi retta da un sindaco di antica origine bellunese, Ignazio Castellan Marini.
La forzata integrazione
I vari Zuccolotto, Lazzari, Demeneghi, Croda resero queste terre fertili piantagioni di caffè e di canna da zucchero. «La differenza con Chipilo è che qui l’idioma dialettale e l’italiano si sono persi subito, per la forzata integrazione con i messicani che dividevano i lotti coltivabili con i nostri emigranti», spiega don José Benigno Zilli, direttore della facoltà di Filosofia del seminario di Halapa, di papà trentino e madre bellunese. I suoi studi hanno permesso a queste comunità di recuperare origini e provenienze di gran parte delle famiglie italiane oggi residenti a Veracruz, Cordoba, Huatusco e altre località.
Non stupitevi più di tanto, allora, se tra il ristretto numero di buoni psicanalisti a Città di Messico ci si imbatte nella dottoressa Griselda Zago Sanchez, nome teutonico ma di origini "taliane" da parte di mamma. Mette sul lettino i suoi pazienti, ma parla italiano, legge Dante e Umberto Eco. E confessa: «Mi sento così italiana che mi riesce molto meglio la pasta che il mole poblano (il piatto nazionale messicano, ndr)».
Alberto Laggia /Italia Estera
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