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21 lug 2007LA RIUNIONE STRAORDINARIA DELLA V^ COMMISSIONE TEMATICA DEL CGIE

INTERNAZIONALIZZAZIONE TEMATICHE E PROBLEMATICHE -  IL RUOLO DELLE COMUNITA’ ITALIANE ALL’ESTERO
ROMA, 22 LUG:(Italia Estera) - La quinta Commissione del CGIE, presieduta da Franco Santellocco (nella foto), si é riunita in seduta straordinaria il 17 ed il 18 luglio ed ha prodotto una serie di importanti documenti approvati all'unanimità, stante l'importanza degli stessi nell'imminente futuro contesto della "Conferenza Stato - Regioni PA - CGIE". Italia Estera ha deciso di pubblicarli integralmente nell'interesse degli addetti ai lavori.
 
STORICO E PROIEZIONI DELLE LINEE DI INTERVENTO

1.                 LE NUOVE TENDENZE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

 
Il fenomeno dell’internazionalizzazione delle imprese che per anni ha contraddistinto la crescita della nostra economia deve essere oggi inquadrata nel contesto più ampio della “internazionalizzazione territoriale”, cioè in quel processo che è iniziato con la crisi del modello imprenditoriale italiano basato sulle esportazioni generate dalle PMI. Oggi, infatti, le PMI non sono più sufficienti da sole a competere sui mercati globali se non sono supportate da un sistema territoriale in grado di generare elementi competitivi vantaggiosi. Ciò richiede  l’attivazione delle istituzioni assieme ad  altri soggetti economici, culturali, sociali per ridare slancio alla competitività.
Con il passare del tempo, inoltre, alle iniziative delle PMI si sono associati anche altri fenomeni connessi con l’internazionalizzazione che sfuggono alla capacità di intervento delle PMI ma che riguardano problematiche sociali ed occupazionali indotte dall’internazionalizzazione le quali, se non risolte, costituiscono un freno allo sviluppo. In questo senso, dobbiamo inquadrare l’internazionalizzazione come una tematica connessa non solo alle PMI ma anche alle politiche della competitività e dell’occupazione dell’intero territorio.  Per queste ragioni, il ruolo delle Istituzioni pubbliche diventa sempre più  fondamentale: esse devono sostenere le PMI sul mercato globale, ma devono anche incentivare gli investimenti esteri sul territorio con politiche attrattive, favorire i processi di integrazione e di scambio tra ricerca, cultura e impresa e compensare, infine, gli effetti sociali negativi dell’internazionlizzazione. Questo riguarda, in particolare, quelle  imprese e quei lavoratori di un territorio che non partecipano attivamente ai nuovi rapporti con l’estero ma che ne subiscono le conseguenze. Si tratta, per esempio, delle imprese che subiscono la concorrenza delle imprese estere e che vengono escluse dai rapporti con le imprese leader del proprio territorio. 
 
1.1             IL RUOLO DELLE  ISTITUZIONI
 
 
1.1.1    SOSTENERE LE PMI IN MODO CHE FACCIANO SISTEMA PER AFFRONTARE MEGLIO LA COMPETIZIONE INTERNAZIONALE
 
Le sfide del mercato globale stanno mettendo a dura prova i sistemi industriali e le economie del nostro paese. Attraversiamo oggi un difficile periodo congiunturale che tuttavia può, se ben gestito, avviare un processo di selezione, di riqualificazione e di riconversione dell’apparato produttivo.
Indispensabile a tal riguardo appare dunque incentivare l'internazionalizzazione delle imprese aiutandole a crescere e fornendo loro moderni servizi reali. La crescita è infatti indispensabile per mantenere posizioni di mercato. Restare piccoli significa entrare in un circolo vizioso che inevitabilmente comporta una regressione, perché perdere quote di mercato significa fronteggiare difficoltà sempre crescenti nell'attrarre le risorse necessarie per andare avanti. Diventare grandi significa invece trascinare dietro di sé la crescita di un intero agglomerato di imprese che a vario titolo partecipano al sistema, innescando questa volta un circolo virtuoso.
Tale passo potrà essere affrontato solo attraverso una forte convergenza tra le Istituzioni e le realtà socio-economiche territoriali, affinché si possa contribuire, in uno spirito di collaborazione, ad affrontare insieme le sfide dell’internazionalizzazione, a fare scelte che mirino a rafforzare la competitività e a valorizzare le imprese e il lavoro.
 
 1.1.1.1              LE POLITICHE  ITALIANE A SOSTEGNO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
 
Verso la fine degli anni ’90 è cresciuto l’impegno del Governo italiano nella riorganizzazione e nel rilancio delle politiche a sostegno dell’internazionalizzazione. I principali aspetti di tale impegno sono stati:
 
a)                 la creazione di una “Cabina di regia per l’internazionalizzazione” presso il CIPE;
b)                 la fusione del Ministero dell’industria  con il Ministero per il Commercio Estero (Mincomes) e la recente creazione del Ministero per il commercio internazionale;
c)                 la ricerca di forme di sinergia e di coordinamento tra questi Ministeri ed il MAE. La Direzione Generale per la cooperazione economica del MAE partecipa agli organi direttivi delle principali istituzioni pubbliche competenti sull’internazionalizzazione; sono stati siglati protocolli di collaborazione tra il MAE, l’ICE e Sviluppo Italia; si è avviato un  coordinamento tra gli Uffici commerciali delle Ambasciate e gli uffici ICE all’estero prevedendo possibilmente degli sportelli unici;
d)                 il potenziamento degli strumenti di intervento a favore dell’internazionalizzazione: la SIMEST per gestire i crediti agevolati alle esportazioni, la legge 394/81 per i finanziamenti agevolati per operazioni di penetrazione commerciale, la legge 304/90 per le spese relative alla partecipazione a gare internazionali, la Legge 100/90 e 19/91 per i finanziamenti di joint-ventures e di investimenti diretti di imprese italiane in Paesi extra UE, la FINEST: società finanziaria per il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese del nord-est verso l’europa centro-orientale, la nuova SACE per l’offerta di servizi assicurativi e l’ICE riformato per l’erogazione di servizi reali all’internazionalizzazione, la Legge 83/89 per il sostegno ai Consorzi per l’esportazione, la Legge 212/92 per il finanziamento di progetti con alcuni Paesi mediterranei;
e)                 il decentramento nella promozione degli strumenti di sostegno anche mediante la creazione di sportelli unici regionali per le attività produttive l’nternazionalizzzazione;
f)                   lo sviluppo della cooperazione tra lo Stato e le Regioni in materia di internazionalizzazione anche sulla base delle politiche promosse dall’Unione Europea. In questo campo registriamo un forte impegno da parte del MAE che ha sviluppato due importanti programmi per lo sviluppo della capacità istituzionale ed amministrativa delle Regioni del Mezzogiorno per l’internazionalizzazione del territorio. Il primo ha preso il nome di “Italia Internazionale” ed  è stato curato dalla Direzione Generale per l’Integrazione Europea; il secondo programma è stato denominato “Iniziative specifiche di animazione e promozione di legami stabili con gli italiani all'estero per lo sviluppo integrato del Mezzogiorno” ed è stato è gestito dalla Direzione Generale Italiani all’Estero e Politiche Migratorie (DGIEPM).
Quest’ultimo programma è stato rivolto all’innovazione dei sistemi formativi in senso internazionale attraverso la valorizzazione degli italiani all’estero. Grazie ai risultati raggiunti ed in una ottica di maggiore collaborazione con il CGIE, è stata proposta la continuità del programma anche nel periodo 2007-13. Per la realizzazione delle attività è stata costituita presso la DGIEPM un’apposita Sezione di Fondo Sociale Europeo che opera anche tramite appositi protocolli di collaborazione stipulati con il Ministero del Lavoro ed Assocamerestero.
 
 1.1.1.2.            LE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA A SOSTEGNO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
 
Bisogna ricordare che la Commissione Europea ha una politica e una serie di strumenti diretti a sostenere l’internazionalizzazione delle PMI verso i mercati extra europei, tra i quali quelli dei PVS. Si tratta in particolare degli strumenti di cooperazione economica amministrati dalla Direzione Generale 1 per le Relazioni Esterne, che peraltro sono stati mutuati dalla politica per lo sviluppo delle PMI e del Mercato Unico.
La politica della Commissione considera che i suoi interventi debbano essere pensati laddove vi siano dei fallimenti di mercato, altrimenti devono essere le istituzioni del mercato e la libera concorrenza a determinare l’internazionalizzazione delle imprese. L’intervento della Commissione viene quindi indirizzato specialmente nel sostegno alle operazioni delle PMI, che in genere non hanno la capacità di internazionalizzarsi per limiti propri (la loro scarsa capitalizzazione) e del mercato (che non offre i servizi adeguati).
Le iniziative dell’Unione Europea a sostegno dell’internazionalizzazione devono essere inquadrate nell’insieme delle politiche orientate all’interno dell’Unione e di quelle orientate all’esterno dell’Unione.
Le politiche interne dell’UE riguardano essenzialmente:
a)  lo sviluppo della politica di coesione, a cui sono destinati anche i Fondi Strutturali (FSE e FESR), per la riduzione degli squilibri di sviluppo tra le diverse aree territoriali dell’Unione,
b) l’allargamento dell’Unione Europea ai Paesi dell’Europa Centrale e Orientale (PECO), a Cipro, a Malta ed alla Turchia.
Le politiche esterne dell’UE riguardano principalmente:
a) l’Area balcanica predisponendo un apposito programma (CARDS) che tiene conto delle specificità e delle problematiche di quest’area.
b) il Mediterraneo: l’aumento di fenomeni migratori dai Paesi del Bacino Sud del Mediterraneo e gli impegni finanziari conseguenti al sostegno del processo di pace in Medio Oriente, hanno stimolato la definizione di una nuova politica per il Mediterraneo. Tale politica mira a costituire entro il 2010 una zona di libero scambio che sostenga lo sviluppo delle relazioni economiche e sociali con e tra i futuri 37 Paesi e contribuisca  allo sviluppo di un’area di sicurezza, di pace e d’incontro culturale.
c) il rafforzamento dei legami con l’America latina, nell’ambito di una strategia che prevede l’approfondimento del dialogo politico, il sostegno al rafforzamento delle relazioni di libero scambio e l’appoggio istituzionale al processo di integrazione regionale.
d) le relazioni con i Paesi dell’Asia, volta a rafforzare la presenza economica europea, la mutua comprensione e a sviluppare nuovi approcci politici.
Questi orientamenti si sono tradotti in un aumento degli impegni economici dell’Unione e degli Stati membri che contribuiscono per circa il 50% della spesa pubblica mondiale alla cooperazione[1]. Ne scaturisce un ruolo di notevole importanza strategica nello sviluppo mondiale sia per il volume delle risorse mobilitate che per la complessità degli strumenti utilizzati, che vanno dalla cooperazione economica e finanziaria a quella sociale, all’aiuto umanitario ed alimentare.
Parte di questo contributo finanzia programmi di “azioni concertate nel campo della politica delle imprese”.[2]
L’Unione Europea ha riconosciuto l’importanza delle Piccole e Medie Imprese per la crescita economica e per un equo sviluppo della competitività e del    potenziale occupazionale dell’economia europea, e ne ha fornito una definizione comune in ambito internazionale. I programmi ed i finanziamenti comunitari a favore delle PMI sono andati progressivamente aumentando. Le PMI beneficiano non solo degli aiuti dei Fondi Strutturali e dei programmi di cooperazione internazionale, bensì anche dei finanziamenti della Banca Europea per gli investimenti, che eroga prestiti agevolati per favorire la competitività nazionale ed internazionale delle imprese.
L'esperienza italiana nel settore delle PMI, riconosciuta positivamente in campo internazionale, può dare un valido supporto conoscitivo in ambito europeo al fine di affrontare con maggiore incisività la sfida di riforma richiesta "a viva voce" dal settore privato internazionale.
 
1.1.1.3.UNA MISSIONE COMUNE A TUTTE LE POLITICHE PUBBLICHE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE: PROMUOVERE IL BENESSERE DEL TERRITORIO E NON SOLO GLI INTERESSI DELLE IMPRESE
 
Alle Istituzioni pubbliche, ed in particolare alle Amministrazioni dello Stato, alle Regioni ed alle Autonomie locali, spetta il compito di promuovere e regolamentare l’internazionalizzazione nell’ambito delle politiche destinate alla competitività ed all’occupazione del territorio e non più come fenomeno separato. Tale impegno è diventato una condizione essenziale sia per lo sviluppo delle imprese stesse che da sole, come si è già detto, non sono più in grado di affermarsi nel mercato globale, sia per riequilibrare gli effetti negativi dell’internazionalizzazione. A causa dell’internazionalizzazione economica, infatti, risulta sempre più evidente una graduale dissociazione tra le imprese e il loro territorio di origine. Questo genera preoccupazione nella collettività locale: si percepiscono i rischi della delocalizzazione che, spostando le imprese in paesi dove il costo del lavoro è più basso, creano nuova disoccupazione e attivano pericolosi concorrenti per il futuro. I territori si trovano a concorrere tra loro per trattenere le proprie imprese e attrarne di nuove dall’estero. La simbiosi tra territorio e “sue” imprese viene così spezzata dall’internazionalizzazione. Di conseguenza viene indebolito anche il rapporto tra imprese e istituzioni. Non è più automatico assumere che l’interesse delle imprese sia quello del territorio.
Al governo locale e  centrale spetta il difficile compito di discernere quali interessi imprenditoriali possano garantire la stabilità e la crescita del benessere del territorio nel medio-lungo periodo e quali misure poter adottare per compensare i costi sociali di ristrutturazione e riconversione causati dagli effetti dell’internazionalizzazione. Di qui nasce l’esigenza di un ruolo attivo del Governo locale e centrale per sostenere un giusto equilibrio tra la competitività internazionale del territorio e l’occupazione.

 2. LE NUOVE INIZIATIVE DEL CGIE NEL QUADRO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
 
 
Di fronte allo sviluppo dei  processi  dell’internazionalizzazione dell’economia e di fronte alle ricadute positive e negative di tali processi sulla stabilità sociale e sulla competitività dell’intero territorio, il  CGIE ha già avviato una approfondita analisi dalla quale scaturiscono nuove linee programmatiche per un rinnovato ruolo delle comunità italiane all’estero.
 
Linea 1
Sostenere la competitività internazionale delle PMI.
 
La consapevolezza  della evoluzione delle relazioni internazionali e la volontà di individuare un approccio nuovo per valorizzare e promuovere la presenza degli italiani all’estero indusse la prima Conferenza Stato-Regioni-Province autonome-CGIE ad esaminare e discutere a fondo, tra l’altro, le condizioni per favorire la internazionalizzazione delle imprese, con l’adozione di uno strumento legislativo atto a dare efficacia e dinamismo al coordinamento delle attività di diffusione, di informazione, di assistenza alle imprese con la previsione della collaborazione degli italiani nel mondo.
Il provvedimento allora auspicato sembrò vedere la luce con l’approvazione della legge 31 marzo 2005, n. 56 “Misure per l’internazionalizzazione delle Imprese”, entrata in vigore il 5 maggio dello stesso anno, che si poneva l'obiettivo di offrire all'imprenditoria italiana, con gli Sportelli Unici Italia, nuovi strumenti operativi, di coordinamento e di raccordo, idonei a consentire da un lato un'accresciuta presenza all'estero delle imprese nazionali e dall’altro favorire la sinergia degli almeno 15 organi ed enti operanti nel settore.
Il Regolamento che avrebbe dovuto definire le modalità operative, di costituzione ed organizzazione degli Sportelli Unici, non ha mai visto la luce ed è tuttora e resterà per il futuro, fermo all’esame della Conferenza per i rapporti tra lo Stato e le Regioni.
L’on. Bonino, Ministro del Commercio internazionale, in una recente intervista, ha inoltre fatto tabula rasa del provvedimento legislativo, definito un “mostro giuridico” pur esprimendo l’auspicio che tutte le Istituzione che con differenti funzioni ed obiettivi rappresentano gli interessi italiani siano presenti in un unico palazzo, come già avviene in talune sedi diplomatiche.
E’ tuttavia un fatto che lo strumento legislativo a suo tempo individuato non è operativo e che comunque adeguate iniziative debbano essere studiate e rese efficaci.
Si ricomincia quindi da zero, con le buone intenzioni e con la speranza che esse siano capaci di produrre risultati positivi nell’attuale legislatura.
La speranza questa volta è accompagnata da un atto di fede: la presenza di un piccolo gruppo di Parlamentari eletti all’estero dovrebbe facilitare il coinvolgimento delle comunità italiane all’estero e dei loro organi rappresentativi nello studio e nella stesura di un provvedimento legislativo o di procedure tese ad incoraggiare le sinergie possibili fra l’imprenditoria nazionale, in particolare le PMI e l’imprenditoria creata dai connazionali all’estero.
Il sostegno all’imprenditoria costruita dai connazionali e maturata nei Paesi di accoglienza e le sinergie che ne possono derivare, in particolare con le PMI nazionali offrono la possibilità di svolgere un ruolo importante e fondamentale nella promozione e nello sviluppo delle iniziative in essere per il sostegno dell’offerta.
E’ una esigenza che viene rivendicata con forza da un mondo imprenditoriale che non solo non vuole essere dimenticato, ma sottolinea la propria originalità e capacità di impresa, a sostegno del “Sistema Italia” ed in sinergia con la economia del Paese di adozione.
Gli imprenditori italiani si propongono come attori di un universo ove l’italianità non sia solo un sentimento, ma una realtà concreta in cui non sia fatta distinzione fra italiani in Patria ed all’estero, ritengono di poter rivendicare il diritto di essere coinvolti nell’individuazione di iniziative che non siano solo italocentriche, ma dirette a soddisfare le esigenze di un mondo globale, fatto di imprese, famiglie, scuole, stabilmente integrato nei Paesi di adozione e tese ad offrire un riferimento ideale, un richiamo continuo, un interesse reale ad integrare benessere del Paese di origine e di quello di elezione.
Il CGIE ha più volte messo in rilievo come il “Sistema Italia” non sia ancora completo, segnalando le difficoltà incontrate dalle imprese italiane nell’ottenere finanziamenti e garanzie e lamentando la scarsa attenzione prestata al coinvolgimento ed alla cooperazione con gli imprenditori di origine italiana attivi nei Paesi di adozione.
Adeguate misure possono essere studiate affinché le imprese italiane all’estero siano coinvolte nel programma di utilizzazione della leva dell’internazionalizzazione per favorire la crescita dimensionale delle PMI, ponendo in essere iniziative che aiutino la costituzione di distretti, reti di imprese, una maggiore aggregazione in forme cooperative, consortili e di associazioni temporanee.
 
Linea 2
Promuovere la cooperazione istituzionale tra lo Stato, le Regioni e le Province alla luce delle Riforme amministrative e costituzionali in materia di relazioni internazionali e di politiche migratorie.
 
I governi locali italiani sono sempre più chiamati a definire una politica per l’internazionalizzazione del proprio territorio sia per effetto della Legge Bassanini (Legge 59/97) sia per effetto della Riforma del Titolo V della Costituzione che sostengono il principio della sussidiarietà. In particolare, alle Regioni sono assegnate le attività di promozione dell’internazionalizzazione e della competitività delle imprese, mentre rimangono a livello centrale la scelta delle finalità e la gestione degli strumenti a copertura nazionale.
 
Le Regioni, grazie alla modifica del Titolo V della Carta Costituzionale, hanno assunto compiti crescenti non solo nelle funzioni di relazione con le proprie comunità residenti all’estero, ma anche nella promozione della propria immagine globale nei Paesi terzi.
L’azione di razionalizzazione dell’azione promozionale individuata nel corso della tavola Rotonda Stato Regioni del 10 maggio scorso ampia notevolmente gli ambiti di collaborazione tra i due livelli nazionale e regionale e registra la comune volontà di migliorare la governance in materia di internazionalizzazione e di sviluppo di progetti condivisi e cofinanziati.
Appare di conseguenza opportuno esaminare a fondo, con il contributo delle organizzazioni rappresentative dei connazionali, le possibilità offerte dai legami tuttora intensi fra le associazioni regionali all’estero e le Regioni di origine per favorire forme di aggregazione e di associazione temporanea fra PMI nazionali e dell’imprenditoria all’estero.
 
Linea 3
Valorizzare il capitale umano costituito dalle migrazioni qualificate professionali ed imprenditoriali nel quadro della Strategia di Lisbona dell’Unione Europea.
 
Nelle “Linee programmatiche per l’attività del Governo, del Parlamento, delle Regioni e Province Autonome e del CGIE” del 20 marzo 2002 la Conferenza Stato, Regioni, Province autonome e CGIE ha tracciato un nuovo quadro per l’emigrazione italiana caratterizzato da:
 
a)  nuovo profilo del lavoratore italiano nel mondo che si caratterizza come un “lavoratore in mobilità”;
b) una emigrazione per lo più “intellettuale”.
 
Ulteriori contributi alla analisi dei nuovi scenari dell’emigrazione provengono dall’intervento del Segretario Generale del CGIE alla Conferenza del 29 novembre 2005.
 
Viene, in particolare, tracciato una nuova connessione tra il fenomeno della globalizzazione, l’azione delle Regioni e i cittadini emigrati:
 
“La globalizzazione pone numerose domande a livello culturale, sociale ed economico sul ruolo delle comunità italiane all’estero, sulle opportunità che offrono in termini di sviluppo a livello locale e in un’ottica transnazionale. La globalizzazione ha dato maggiori responsabilità alle Regioni nel predisporre le condizioni di competitività del territorio governato ed è noto quanto sia reale e consistente l’intreccio economico tra cittadini emigrati e la loro Regione di origine”.
 
Nel mondo globalizzato l’Italia si pone, nella analisi del Segretario del CGIE, tra i Paesi che con l’Unione Europea hanno fatto la scelta di competere come “economia immateriale” basata sull’informazione. Questo è il senso della “Strategia di Lisbona”, nata nel 2000 e sviluppatasi in seguito, che punta ad un’economia basata sulla conoscenza. In questo contesto l’Italia può contare sulle professionalità dei cittadini italiani e di origine italiana all’estero “che nonostante i processi di integrazione molto avanzati, hanno forte il senso delle comuni radici di valori, di identità culturale”.
 
Tre appaiono  i versanti principali di espressione della Strategia europea di Lisbona per il consolidamento delle nostre regioni nei network nazionali ed internazionali di formazione del valore per i quali le professionalità degli italiani all’estero prima citate dal Segretario Generale del CGIE possono avere un ruolo molto significativo:
 
-                    la creazione, a monte delle azioni di partenariato territoriale, di una adeguata base di competenze e conoscenze (alle strategie di politica territoriale si legano quindi nuove regole e nuove opportunità);
-                    la valorizzazione delle reti transnazionali che permettono il collegamento in rete del giacimento dei saperi e delle competenze del lavoro e delle imprese, ed in particolare,nei nostri programmi, del lavoro e delle imprese italiane nel mondo;
-                    la condivisione, da parte di economie diverse, di modelli di sviluppo locale e metodologie di organizzazione dei processi produttivi imparentati con l’esperienza italiana, ciò che a sua volta è facilitato dalla formazione di bacini professionali (a tutti i livelli, dal management al lavoro specializzato) familiarizzati con i contesti italiani.
 
“Rete” e “Conoscenza” sono quindi oggi i due concetti chiave nel nostro contesto sociale ed economico. Il primo evidenzia l’importanza dei legami, delle relazioni, delle interdipendenze, in altri termini del “capitale sociale” come strumento di miglioramento collettivo; il secondo fa risaltare la centralità del “capitale intellettuale” indispensabile ai processi di innovazione, cambiamento, sviluppo.
 
Il vasto patrimonio di esperienze e conoscenze degli italiani all’estero, le valenze conoscitive del loro utilizzo, le strutture di rete di cooperazione in area istituzionale, economica, culturale e sociale che è possibile con essi costituire a livello globale, rendono gli IRE una risorsa di vastità e competenza difficilmente eguagliabile da altri paesi concorrenti.
 
Trasformare finalmente il fenomeno della emigrazione in una grande risorsa appare un progetto ambizioso che dovrà essere perseguito anche con uno sforzo di fantasia e di immaginazione: tuttavia non vi è dubbio che per consolidare e realizzare qualsiasi iniziativa sono necessari investimenti, sia pubblici che privati. Questi ultimi saranno tanto più incoraggiati quanto maggiore sarà il ritorno in termine di penetrazione nei mercati e diffusione del Made in Italy.
In presenza di situazioni di particolare vivacità le reazioni debbono essere estremamente rapide: canalizzare informazioni, coinvolgere istituzioni, mettere a confronto partners possibili, diventa una scommessa vincente. La creazione di strutture, temporanee o in alcuni casi anche permanenti, che, senza sostituirsi a quelle ufficiali, ne sappiano tuttavia integrare l’azione, evitando inutili protagonismi e sovrapposizioni non coordinate ad altre istituzioni, deve essere attentamente analizzata e valutata e pensiamo a strutture quali “Casa Italia” o le cosiddette “antenne”, cui deve essere attribuita una accorta ed economica valorizzazione affinché divengano efficaci strumenti di conoscenza e utilizzazione del marchio italiano e di cooperazione con l’imprenditoria italiana nei Paesi di accoglienza.
Linea 4
Promuovere nuove politiche formative per l’occupabilità degli italiani all’estero a seguito dell’affermarsi dei processi di internazionalizzazione utilizzando in particolare lo strumento costituito dal Decreto Legislativo n.112 del 1998: formazione professionale per gli italiani all’estero.
 
Lo sviluppo dell’internazionalizzazione in tutti i Paesi del mondo e le nuove tipologie di emigrazione pongono nuovi bisogni di occupabilità ai quali occorre dare una più adeguata risposta formativa.
 
Le nuove emigrazioni  dovranno essere analizzate e definite: a nostro parere due flussi migratori relativamente recenti meritano particolare attenzione, quello seguito ai processi di delocalizzazione nei Paesi dell’Est europeo e quello ancora più sfuggente, perché spesso individuale, dei professionisti.
Il primo, determinato da chiari vantaggi di natura economica per le imprese, deve comunque assicurare condizioni di sicurezza e di stabilità  sul lavoro adeguate ed essere collocato nell’ambito di una politica di sostegno che salvaguardi un sostanziale equilibrio fra la vocazione mediterranea del nostro Paese ed una presenza attenta e vivace nell’area balcanica, che non deve trascurare una penetrazione parallela di cultura, lingua, progresso sociale, sola capace di garantire un futuro di stabili relazioni.
Il secondo, spesso trascurato perché difficile da classificare e monitorare, va invece attentamente seguito e debbono essere individuati incentivi idonei per spingere gli interessati ad entrare in rete con strutture di studio e sviluppo nazionali per l’alto valore aggiunto che tale iniziativa può rappresentare.
Le migrazioni umane rappresentano un fenomeno comune a tutte le epoche storiche, legato da sempre ai bisogni essenziali dell’esistenza. La storia dei movimenti migratori travalica i confini di ciascuno stato inserendosi in un contesto di globalizzazione terrestre.
Tale fenomeno, oggi, per essere ben compreso deve essere analizzato congiuntamente al sistema formativo locale ed estero. Un tempo si fuggiva dalla propria terra perché povera di risorse naturali, oggi la povertà è causa del ritardo di sviluppo. L'obiettivo deve dunque essere quello di stimolare l'imprenditoria nei paesi arretrati per creare un’occupazione stabile che possa evitare la continua emorragia di capitale umano che l’emigrazione da lavoro impone.
Potremo così evitare che nei ricordi di alcuni popoli oggi meno fortunati ci siano nuove Ellis Island o “isole delle lacrime”.
Nella odierna società della conoscenza, infatti, la crescita di un territorio è strettamente correlata alla disponibilità di capitale umano altamente formato. La sua assenza genera un circolo vizioso dal quale è difficile venir fuori.
Occorre pertanto investire in formazione per aumentare la dotazione di capitale umano dei territori di emigrazione, chiave di ogni futura ricchezza e benessere sociale.
 
 
Linea 5                                                                                                                    
Promuovere l’apertura europea ed internazionale dei sistemi formativi italiani attraverso la partecipazione delle eccellenze italiane all’estero ai processi di innovazione delle competenze e delle strutture formative italiane in senso transnazionale: utilizzo delle risorse del FSE  2007-2013.
 
Su questo punto occorre insistere, con politiche più incisive e mirate per far crescere gli effetti positivi dell’apertura internazionale dei mercati anche per la salvaguardia ed il miglioramento del livello di reddito, di consumi e della qualità della vita. Il sistema della formazione deve essere rifondato, centrandolo non solo sui singoli individui bensì sulla crescita di un vero e proprio sistema di formazione adeguato ai contesti europei ed internazionali.  Ciò sarà possibile solo attraverso uno sforzo concorde di tutte le istituzioni, locali, nazionali ed internazionali.
In questa prospettiva  il CGIE collabora con la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del  MAE alla realizzazione, in continuità con le attività svolte nel periodo 2000-2006,  di alcuni interventi destinati allo “sviluppo della dimensione transnazionale dei sistemi di istruzione-formazione in collegamento con le comunità e con le competenze degli italiani all’estero” nell’ambito della programmazione del Fondo Sociale Europeo 2007-2013.
 
 Il suddetto programma   è attualmente in fase di definizione con il Ministero del Lavoro che rappresenta l’amministrazione capofila del FSE in Italia. Esso si articola su tre “Azioni di sistema”:

Azione di sistema  A

Sviluppo della dimensione transnazionale dell’offerta di istruzione-formazione professionale attraverso le reti di competenze costituite dagli italiani all’estero.
 
L’idea forza di questa iniziativa poggia sul principio che nella società della conoscenza le capacità conoscitive ed il “know how” degli italiani all’estero possono “circolare” e propagarsi in rete a beneficio dell’innovazione dei sistemi formativi in senso transnazionale, attraverso l’introduzione di moduli formativi per utenza che opererà all’estero e la realizzazione di attività di stage e scambio di buone prassi, anche con l’utilizzo di nuove tecnologie di e-learning.
Gli italiani all’estero costituiscono, infatti,  un immenso patrimonio di esperienze e di competenze che, per mezzo di gemellaggi e di network con organismi, enti ed istituti italiani, può contribuire al miglioramento della qualit&agr


 
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