Fondato nel 2000 Direttore Responsabile Giuseppe Maria Pisani                  
HomeArgomentiArchivioNewsletter gratuitaChi siamoI nostri serviziContattiSegnala il sito
 
Cerca nel sito
»www.ItaliaEstera.tv
»Paolo Gentiloni é il Ministro degli Esteri italiano
»Emigrazione: Note storiche per non dimenticare - Quanti sono gli italiani all'estero?
»Direzione Generale per gli Italiani all'Estero
»Rappresentanze Diplomatiche - in aggiornamento
»AIRE Anagrafe degli Italiani all'Estero
»Servizi Consolari per gli italiani all'estero
»Autocertificazione
»Patronati italiani all'estero
»Cittadinanza Italiana all'Estero
»Il voto degli italiani all’estero
»COMITES
»CGIE Consiglio Generale degli Italiani all'Estero
»Assessorati Regionali con Delega all'Emigrazione e all'Immigrazione
»IL PASSAPORTO ELETTRONICO
»Viaggi Usa, comunicare i dati in anticipo - Registrazione anche da turisti italiani
»STAMPA ITALIANA ALL'ESTERO: quanta, dove, quanti fondi, chi li prende
»LA CONVENZIONE ITALIA-STATI UNITI PER EVITARE LE DOPPIE IMPOSIZIONI FISCALI
»La convenzione Italia-Canada per evitare le doppie imposizioni fiscali
»Ascolta la radio di New York: ICN
RomaneapoliS
www.romaneapolis.tv


Il voto degli Italiani all'Estero

Elezioni Politiche 2008

Elezioni Politiche 2006


Infocity
Messaggero di sant'Antonio
Italiani d'Argentina
  
17 mar 2007Intervista con il Viceministro Danieli a conclusione della visita in Germania - di Mauro Montanari

ROMA, 17 MAR (Italia Estera) -  Il Direttore del Corriere d'Italia Mauro Montanari al termine della visita del Viceministro Danieli in Germania (Vedi Italia Estera)  lo ha intervistato.

Questo il testo:

Vorrei parlare un attimo della crisi di rappresentanza degli italiani nel mondo. Cominciando proprio dai parlamentari. È stata pubblicata un’intervista con Gustavo Selva, un senatore di An, il quale diceva che la legge del voto che ha portato a 12 e 6 parlamentari è dannosa ed inutile. Selva è stato smentito dal suo partito. Però forse qualcosa di vero c’è. Aggiungiamo la crisi spettacolare del Cgie e, tutto sommato, quella meno spettacolare dei Comites. Insomma, l’intero sistema di rappresentanza degli italiani nel mondo sembra improvvisamente, in qualche modo, non più così rappresentativo. È vero?

Non so per quale motivo Selva abbia avuto quest’uscita; so che non ci sarà nessun cambio delle norme che prevedono la rappresentanza diretta dei connazionali all’estero nel Parlamento repubblicano. Peraltro mi pare, quello di Selva, un atteggiamento contraddittorio. Non vorrei però soffermarmi su questa o quella dichiarazione, oltretutto infondate nei fatti; rischiamo solo di perder tempo. Molto meglio invece è fare una riflessione sul tema della crisi. Direi che si tratta, più che altro, di una crisi degli strumenti della rappresentanza. Nel senso che sia la strumentazione normativa, sia  gli istituti preposti sono stati pensati, in qualche caso, alcuni decenni fa e non c’è stato un adeguamento che abbia accompagnato il naturale fluire del tempo. Per questo oggi la situazione è di evidente sofferenza. E parlo dell’intero complesso del sistema delle rappresentanze italiane nel mondo. Sono convinto però che da un periodo di crisi possano nascere grandi opportunità. E allora lavoriamo insieme per una riforma dell’intero sistema a partire, ovviamente, dal Cgie; cerchiamo raccordi tra Comites, Cgie e parlamentari eletti; individuiamo strumenti di collegamento tra l’Italia e quelle giovani generazioni che non frequentano più -e probabilmente non hanno mai frequentato- il mondo associativo creato dai loro genitori o dai loro nonni. Lavoriamo in questa direzione e -io credo- prima dell’estate arriveremo alla definizione di un complesso normativo che mi auguro unitario. Dobbiamo mettere sul tavolo e sperimentare strumenti più adeguati ai tempi, che consentano un rapporto che altrimenti, nelle condizioni date, rischia di sfibrarsi e di sfilacciarsi.

Sarà quindi questo governo che approverà una nuova normativa per la rappresentanza degli italiani nel mondo?
Io lavoro affinché siano questo governo e il sottoscritto a portare a compimento non solo la riforma del sistema delle rappresentanze, ma anche tutto il resto: la 153, la cittadinanza, la rete degli Istituti Italiani di cultura, per non parlare dell’ammodernamento della rete consolare. La lista è lunga perché parliamo dell’intero complesso di istituzioni di cui lo Stato si è dotato per mantenere un rapporto con i connazionali.
Noi avevamo pubblicato un articolo molto preoccupante su voci che ventilano la chiusura di 20 tra consolati e agenzie consolari in Europa. Lei ha smentito in una intervista data al Comites di Colonia: e ciò è positivo, perché il mio lavoro non è quello di far arrabbiare Lei, ma quello di servire il meglio possibile l’interesse dei miei connazionali. Come sarà allora il panorama nei prossimi anni della rete consolare in Germania e in Europa?
Io faccio fatica a replicare le voci, lascio commentare i fatti. La rete consolare rientra nelle mie deleghe. Allora La inviterei la prossima volta a venirmi a chiedere direttamente le cose. Io non sono uno di quelli che non parla. Le avrei tranquillamente detto che il tema non è la chiusura, piuttosto la riflessione sul tempo che passa. Passa per gli istituti di rappresentanza degli italiani, perché magari la comunità è invecchiata, è cambiata, non è più quella degli anni ‘60, ‘70, registra un’evoluzione. Evolve in quel senso anche la fotografia della rete consolare. Le avrei parlato di razionalizzazione e potenziamento. Razionalizzazione vuol dire chiusura? Risposta: si, ma con molta tranquillità. E poi, chiusura di cosa? Ci sono realtà marginali che si sono evidenziate nella mappatura consolare che abbiamo fatto. Esistono realtà di questo tipo: un dipendente fa 0,33 pratiche al giorno. È un esempio, quindi non farò il nome concreto. Ma la riflessione la dobbiamo fare. Ci sono dall’altra parte due Paesi: India e Cina, nei quali abbiamo cinque consolati per tre miliardi e mezzo di persone, e ciò in una dimensione globalizzata del mondo. Evidentemente lì dobbiamo potenziare la rete consolare, come dobbiamo potenziarla a Mosca, a Minsk ecc… Qualche cosa, in generale, si chiuderà, ma non qui. In Germania non chiuderemo nulla o, forse, un consolato, comunque marginale, marginalissimo rispetto alla comunità italiana. E in ogni caso non c’è ancora nessuna decisione.
Lei parlava di razionalizzare e potenziare. Che significa?
Anzitutto bisogna ricorrere alle nuove tecnologie. Con l’informatica si fanno operazioni finanziarie. Dove sta scritto che, con l’informatica, non si possono ottenere servizi consolari stando in casa? Stiamo già sperimentando qualcosa del genere a Buenos Aires e vogliamo lavorare per realizzarlo anche in Europa. Ho creato un gruppo di lavoro ministeriale sull’erogazione di servizi consolari online. L’intendimento è quello di lavorare, proprio a partire dall’Europa, per fornire un servizio ampio.
Passiamo alla questione “scuola”. In Germania se ne parla e anche troppo. Si spendono cifre enormi e non si vedono dei miglioramenti. Il problema centrale è quello del sistema scolastico tedesco, e su questo e credo che tutti siano d’accordo. Molti però, tra i quali anche il sottoscritto, hanno fatto presente da tempo che forse, con un efficace sistema di controlli sulla spesa e sulla funzionalità didattica dei progetti fatti dagli enti di formazione, forse la situazione sarebbe migliore. O mi sbaglio?
Il tema dei controlli è reale. Noi intanto, per la prima volta quest’anno, abbiamo aumentato il capitolo relativo alle missioni per controlli ispettivi all’estero. Questo vale in tutti i settori; vale nel campo della formazione professionale, vale nel campo dell’editoria, vale nel campo scolastico. Ci sono stati corsi di lingua -per fortuna in numero limitato- in cui i bambini frequentanti erano la metà di quelli denunciati. È fuor di dubbio quindi che il controllo vada potenziato. Detto questo, il punto sta in un sistema scolastico come quello tedesco che seleziona in un età nella quale la selezione stessa rischia di tradursi in discriminazione. Selezionare nella quarta classe elementare, dicendo ad un bambino che dovrà fare l’idraulico o il muratore, significa discriminarlo. La discriminazione parte proprio dalla fotografia della famiglia, dalla classe sociale, dal passato migratorio. Quindi la scuola ti dice: tu non potrai mai diventare ingegnere, non potrai andare al ginnasio. Direi che è un sistema selettivo leggermente “razzista”.
È una parola pesante se viene da un ministro. La posso scrivere?
Sì! È un sistema selettivo che non può essere accettato perché oggettivamente le realtà più penalizzate sono le realtà dei migranti. Ma è anche un sistema classista. Lo dico partendo dall’analisi di un autore al quale sono molto affezionato: don Lorenzo Milani. Egli mostra in maniera grafica che il figlio dell’avvocato diventerà avvocato, così come il figlio del medico ha la maggiore probabilità di diventare medico. E anche il destino del figlio dell’operaio è segnato. Un sistema scolastico, invece, lo intendo come un sistema che aiuta, che punta a far superare le differenze di classe, di provenienza etnica o geografica. Un sistema che integra assistendo, insomma, non un sistema che, sin dalla più tenera età, fotografa la situazione e seleziona in conseguenza. Da genitore lo trovo inaccettabile. Se ci fosse un sistema del genere in Italia, avrei già fatto una rivoluzione; ma come membro di governo lavoro per spiegare la posizione italiana a ministri di diversi Länder tedeschi, e per cercare di trovare soluzioni comuni attraverso un percorso di assistenza scolastica, attraverso un sistema di scuole bilingue. Lavoriamo per trovare, in collaborazione con gli esponenti dei governi locali tedeschi, una soluzione che possa superare il dato dell’insuccesso scolastico dei nostri ragazzi.
Lei ha parlato con il ministro della cultura in Baviera e con quello del Baden-Württemberg. Ha trovato una disponibilità?
Ci sono dei miglioramenti di natura tecnica. Essi ribadiscono che il loro modello scolastico lo considerano uno dei migliori, forse anche a livello internazionale.
Quindi?
Quindi abbiamo avuto un dialogo difficile, ma aperto; abbiamo raggiunto delle intese su una serie di punti i quali però non vanno ad incidere sul modello scolastico. Verificheremo se ci sono violazioni di direttive comunitarie, come è stato denunciato nel caso di Rastatt, e se ci sono devono essere corrette. È un dovere da parte nostra, lo facciamo con profonda convinzione.
Ci sono ancora due questioni che mi sembrano importanti. La prima e dell’abbuiamento di molti programmi della Rai, che è diventata per molti connazionali una specie di cordone ombelicale con la patria. Ci sarà qualche progresso ?
È una vecchia questione, rispetto alla quale la Rai ha sempre posto il tema delle risorse. Bisognava allora intervenire per risolvere il problema alla radice. L’operazione fatta è stata quella dell’inserimento nella convenzione Stato-Rai di una norma che prevede, appunto, la trasmissione in chiaro di tutti i programmi, quindi l’eliminazione del criptaggio. Secondo questo documento, che è la base del rapporto tra Stato e Rai, l’azienda in Europa non deve più trasmetter programmi criptati. Mi auguro che ci sia un adempimento della Rai a quanto previsto nel contratto di servizio, e che il problema possa essere risolto.
In che tempi?
Spero rapidi anche perché non c’è una previsione temporale. Devono farlo da subito. Mi auguro che la Rai non inventi altre stranezze, altre storie. C’è un problema economico? Trovino nel loro bilancio, che non è certamente un bilancio risicato, soluzioni adeguate.
L’altra questione che volevo trattare è dell’informazione degli italiani nel mondo. Noi, come Commissione Informazione del Cgie, abbiamo prodotto un documento nel quale si fa la seguente ipotesi: per salvare le piccole realtà editoriali che hanno una funzione identitaria e sociale si potrebbe prevedere un cassetto di finanziamento, per poi premiare, attraverso un altro cassetto, le realtà più editoriali, più diffuse e importanti. È una ipotesi percorribile questa?
Questa è la mia ipotesi; l’ho detto e l’ho scritto nella mia relazione programmatica. Oggi nel mondo abbiamo una pluralità, una miriade di piccoli prodotti giornalistici, fatti a volte in maniera artigianale, prodotti nella cucina di casa, distribuiti a mano in poche copie. Ciascune di queste realtà assorbe una piccola quantità di denaro. Presi individualmente sono pochi soldi, ma sommati diventano un contributo di una certa consistenza. Sono, queste, situazioni che rispondono appunto ad una funzione identitaria. Sono piccole cose che però hanno un riconoscimento anche se in un ambito ristretto. Quindi si può andare avanti a sostenerli. Propongo una iniziativa di natura normativa oltre che finanziaria che consenta a quelle realtà editoriali di vivere. Bisogna però fare altro; sostenere in maniera incentivante  quelle realtà editoriali presenti nel mondo che hanno realmente una dimensione degna di questo nome, in quanto a diffusione, in quanto a qualità di stampa, in quanto attualità  delle informazioni. La lista non è lunghissima; noi abbiamo alcuni quotidiani italiani –pochi- che hanno un canale di finanziamento autonomo, poi abbiamo per lo più settimanali, quindicinali o mensili -quelli seri- che fanno da anni una attività informativa di qualità; sono, dicevo, un numero piuttosto limitato. In questi casi, servono interventi finalizzati a dare una dimensione più ampia alla struttura societaria e interventi incentivanti perché le singole realtà proseguino nel migliorare la qualità dell’informazione. Infine non bisogna dimenticare nuove tecnologie perché non sta scritto da nessuna parte che nel momento in cui esistono web-tv o la radio online o internet, noi dobbiamo restare fermi solo al cartaceo.
Ma questo nell’ambito dei mezzi attuali o prevedendo un allargamento delle disponibilità?
Non c’è bisogno di intervenire con modifiche di natura normativa. Qui siamo nell’ambito delle disposizioni attuali; bisogna mettere mano al regolamento ovviamente allargando anche le disponibilità finanziarie.
C’è bisogno di una nuova legge?
Non c’è bisogno di una nuova legge, noi abbiamo già un capitolo: quello dal quale attingono tutti i media non quotidiani. Bisogna aumentare le risorse in quel capitolo e operare una distinzione tra la dimensione, appunto, identitaria, piccola e autoprodotta e quelle realtà che invece hanno una diversa qualità, una diversa diffusione, una diversa storia alle spalle.
Mauro Montanari/Italia Estera



 
Opzioni


Stampa  Stampa

Invia ad un Amico  Invia ad un Amico


Copyright © Italia Estera 2001- 2014. Tutti i diritti riservati