05 giu 2006 | QUELLA SVIZZERA POVERA! – DI DINO NARDI |
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ZURIGO, 5 giu - (Italia Estera) - La Caritas svizzera, in un suo studio del 2003, ci informava che il 10% dei più ricchi della Confederazione disponevano di molto più denaro di quanto ne avevano agli inizi degli anni novanta, mentre per due terzi della popolazione il reddito si era invece ridotto. Da parte sua l’Ufficio Federale di Statistica rilevava come in Svizzera, il Paese con il reddito pro-capite tra i più alti al mondo, i lavoratori poveri (Working poor), nel 2003, fossero oltre 230'000, cioè il 7,4% della popolazione attiva.
In questi giorni (in cui, tra l’altro, apprendiamo che nell’Europa opulenta aumentano in modo esponenziale – 17 milioni - i bambini che vivono al di sotto della soglia della povertà e che in Italia nel 2004 ben 7,6 milioni di persone sono risultate relativamente povere) veniamo a sapere dalla prima statistica, elaborata a livello nazionale elvetico dall’Ufficio Federale di Statistica sui beneficiari di un aiuto sociale, che nella Confederazione, nel 2004, ben 220 mila persone, il 3% della popolazione totale, ha ricevuto un sussidio sociale. Entrando nei particolari risulta che i beneficiari dell’aiuto sociale sono per lo più tra la popolazione residente nei maggiori centri urbani rispetto alle zone di campagna; sono sovrarappresentati tra i bambini e gli adolescenti (0-17 anni), come pure tra i giovani adulti (18-25 anni) e che, poi, il rischio della povertà diminuisce con l’aumento dell’età. Da questa statistica federale risulta, ancora, che il 56,3% di coloro che beneficiano dell’aiuto sociale è di nazionalità svizzera, mentre il 43,7% sono stranieri. Tuttavia, considerando che la percentuale di stranieri nella Confederazione ammonta al 20,5%, è evidente che il rischio di povertà è molto più alto tra gli stranieri. Dallo studio emerge, ancora, che l’aiuto sociale viene richiesto raramente dai pensionati. Un fatto, quest’ultimo, che, in apparenza, può sembrare molto strano sapendo che nella Confederazione l’importo delle prestazioni versate dal sistema previdenziale locale sono abbastanza contenute rispetto ai salari percepiti durante l’attività lavorativa. Infatti il sistema previdenziale pubblico dell’AVS eroga una rendita mensile massima, per le persone sole, di 2.150 franchi e, per i coniugi, di 3.225 franchi mentre, da parte sua, il Secondo Pilastro (la cui obbligatorietà è entrata in vigore solo nel 1985), per l’attuale generazione d’entrata di pensionati, non garantisce ancora delle rendite di un importo tale da assicurare loro, unitamente all’AVS, circa il 60% dell’ultimo salario. Ma il dato statistico è strano, soprattutto, perché le associazioni assistenziali elvetiche collocano la soglia della povertà a 2.480 franchi di reddito mensile per le persone sole ed a 4.600 franchi per le famiglie. Con tutta probabilità la spiegazione sta nel fatto che, come noto, in Svizzera i pensionati e cioè titolari di una rendita dell’AVS-AI (invalidità, superstiti, vecchiaia) hanno già una garanzia della copertura del così detto "minimo vitale" attraverso il sistema delle rendite complementari all’AVS-AI di cui, nel 2004, hanno beneficiato ben 234.790 pensionati tra quelli residenti in Svizzera (183.407 cittadini svizzeri e 51.383 stranieri). Anche in questo caso, la percentuale di stranieri è in effetti più alta di quella degli svizzeri se calcolata in rapporto al totale degli stranieri ultrasessantacinquenni residenti nella Confederazione. Una percentuale che, evidentemente, potrebbe essere ancora maggiore se molti lavoratori stranieri, compreso tantissimi italiani, una volta pensionati, non rinunciassero a chiedere questa prestazione previdenziale (perché tale è e non un’elemosina!) per motivi di orgoglio e tanti altri non decidessero invece di rimpatriare al momento del pensionamento uscendo, così, da "mercato sociale" elvetico ed andando, evidentemente, ad appesantire quello dei rispettivi Paesi d’origine!
(Dino Nardi Presidente ITAL-UIL Svizzera e membro CGIE/Italia Estera)
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