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29 ago 2006RASSEGNA/ Il Giornale intervista il cardinale Tarcisio Bertone :”Nessuno dimentichi i cristiani del Libano” di Andrea Tornielli

GENOVA, 29 AGO. (Il Giornale/Italia Estera) - Parla con «l'ottimismo invincibile» del salesiano ma anche con la comprensibile preoccupazione di chi sta per assumere un ruolo cruciale accanto al Papa. Giudica positivamente il ritrovato ruolo di mediazione dell'Europa in Medio Oriente. E in questa intervista al Giornale, quando mancano due settimane all'ingresso nel suo nuovo incarico, spiega per la prima volta come intende svolgere il ruolo di «primo ministro» di Papa Ratzinger, che lo scorso giugno lo ha designato suo Segretario di Stato,  al posto del dimissionario Angelo Sodano.
Abbiamo incontrato il cardinale Tarcisio Bertone, 71 anni, fino ad oggi arcivescovo di Genova, alla vigilia di un importante annuncio. Questa mattina, al santuario della Guardia, Bertone, alla presenza di migliaia di fedeli, comunicherà infatti il nome del suo successore. Tutte le indiscrezioni indicano nell'Ordinario Militare Angelo Bagnasco il vescovo a cui Benedetto XVI ha deciso di affidare la diocesi ligure.
Come ci si sente alla vigilia dell'insediamento come Segretario di Stato? 
«Davanti a un compito così impegnativo e importante mi sento piccolo, anche se sono alto di statura. Piccolo soprattutto di fronte alle figure dei grandi Segretari di Stato che si sono susseguiti nell'ultimo secolo. È un ruolo straordinario di collaborazione con il Papa, una responsabilità verso tutta la Chiesa nel seguire non soltanto la vita interna della Curia ma anche i rapporti con gli Stati e con le organizzazioni internazionali. So di poter contare sull'amicizia e soprattutto sulla preghiera di tante persone.
 
In questi giorni sto visitando i monasteri di clausura della diocesi di Genova: ho deciso di scrivere una lettera a molti monasteri contemplativi nel mondo per chiedere un aiuto e un sostegno».
Lei non proviene dal servizio diplomatico: crede che questo sarà un handicap?
«In un certo senso sì, anche se ho illustri predecessori che non provenivano dal servizio diplomatico: penso ai cardinali Pietro Gasparri e Jean Villot...».
Qual è la ragione della scelta di Benedetto XVI?
«La domanda andrebbe rivolta al Papa.  Comunque spero di poter contribuire ad accentuare la missione spirituale della Chiesa, che trascende la politica e la diplomazia, anche se la Segreteria di Stato deve usare tutti i mezzi per aiutare la missione della Chiesa in ogni ambito. Monsignor Bettazzi, il vescovo emerito di Ivrea, la mia diocesi natale, mi ha raccomandato di essere segretario “di Chiesa” più che “di Stato”. Sono d'accordo con lui».
Lei è già stato per sette anni il vice del cardinale Ratzinger. Qual è il suo modo di lavorare? 
«Ho avuto il dono di poter collaborare da vicino con due straordinari uomini di Chiesa, Giovanni Paolo II e l'allora cardinale Ratzinger. Il modo di lavorare di quest'ultimo è molto collegiale, con una grande capacità di fare domande, di ascoltare, di valorizzare i talenti di tutti, anche del più giovane o dell'ultimo arrivato...».
Il Papa è stato Prefetto per la dottrina della fede, lei il suo numero due: ora il tandem si ricompone. Il Vaticano diventerà un grande Sant'Uffizio?
«Vorrei che si usasse il nome giusto: il Sant'Uffizio oggi è un luogo, un palazzo, non è il dicastero né il modo con cui il dicastero lavora. La Congregazione per la dottrina della fede ha certo la funzione di tutela dell'ortodossia e in questo, per usare le parole dell'allora cardinale Ratzinger, svolge un “compito democratico” perché protegge la fede dei semplici, di chi non scrive libri, editoriali o partecipa ai talk show. Bisogna però ricordare anche il suo fondamentale ruolo di promozione della fede nella collaborazione alla missione della Chiesa.  Essere passati per quel dicastero aiuta ad annunciare il Vangelo nella sua interezza senza rinunciare all'approccio che mette al centro l'uomo, fine della creazione e della redenzione, in qualunque Paese, cultura e condizione egli si trovi».
Il Segretario di Stato è un organizzatore, un esecutore, un'eminenza grigia o un primo ministro?
«Toglierei “eminenza grigia”. Tutto il resto va bene. Anche se manca l'aspetto più importante: il Segretario di Stato è un uomo fedele al Papa; deve essere portavoce dei suoi messaggi e aiutarlo a realizzare i suoi progetti.  Naturalmente è un collaboratore che collega e coordina tutti i dicasteri della Curia romana così come mantiene i contatti con tutti i rappresentanti della Santa Sede nel mondo. Insomma, è un uomo di relazioni, cinghia di trasmissione della volontà del Papa».
Certe scelte attuate da Benedetto XVI, come l'accorpamento di quattro pontifici consigli in due, sembrano indicare che si sta studiando una riforma...
«Di riforme della Curia ne sono già state fatte due, una subito dopo il Concilio, da Paolo VI, un'altra da Giovanni Paolo II. Dopo quasi due decenni è comprensibile che si cerchi di valutare l'organizzazione dei dicasteri della Santa Sede per riflettere su come rendere le strutture esistenti sempre più funzionali alla missione della Chiesa ed eventualmente valutare se tutto ciò che c'è debba essere mantenuto».
Che cosa ha significato per lei essere salesiano?
«Essenzialmente due cose. La prima è un modo di rapportarsi alle persone, con grande fiducia e con un ottimismo invincibile.  La seconda è la grande eredità di don Bosco: la fedeltà e l'adesione al Papa, chiunque esso sia».
Qualcuno l'ha criticata per aver fatto il telecronista allo stadio. Lo rifarebbe?
«Adesso ovviamente non lo rifarei, anche se il desiderio di vedere dal vivo qualche partita di calcio mi rimarrà. Gli stadi sono moderni areopaghi, frequentati da migliaia di giovani e meno giovani che vanno educati ai valori dello sport, e che invece in qualche caso imparano soltanto a stare in “branco” e a compiere atti di vandalismo se non di pura violenza.  Vorrei però ricordare che gli stadi sono stati anche luoghi di grandi assemblee giovanili: al Ferraris ho guidato anche un Via Crucis. In ogni caso, la prima volta che sono stato allo stadio di Genova, non sono entrato per fare una telecronaca, ma per parlare agli spettatori di una partita che veniva purtroppo giocata la sera della vigilia di Pasqua, in concomitanza con la veglia della festa più importante per noi cristiani. Ho parlato per cinque minuti di fronte a quarantamila persone che mi hanno ascoltato in silenzio.  
  Il mio primo messaggio è stato dunque l'annuncio della fede pasquale. Poi ho augurato buona partita a tutti».
Lei è stato uno dei primi ecclesiastici ad attaccare il Codice da Vinci. Perché quel romanzo è così pericoloso?
«Perché si tratta di un cocktail di invenzioni offensive nei confronti della fede cristiana e soprattutto di colui che è la ragione della nostra fede, Gesù. Queste invenzioni purtroppo passano per essere storie vere e il romanzo è stato pubblicizzato in modo massiccio,  facendo molto male soprattutto alle persone meno preparate. Ma è stato anche uno stimolo per fare crescere una conoscenza maggiore e più corretta della figura di Cristo e sulla Chiesa».
Negli anni trascorsi all'ex Sant'Uffizio lei si è occupato anche del caso Medjugorje e delle lacrimazioni di Civitavecchia. I seguaci di questi fenomeni devono aspettarsi inasprimenti?
«Quando sono intervenuto, l'ho fatto per il ruolo che ricoprivo, nel rispetto di tutti i devoti della Madonna, tra i quali ci sono anch'io.  Ho preso posizione su alcune esagerazioni, richiamando la necessità di non dare più valore a certe rivelazioni private che alla parola di Dio e alla vita sacramentale vissuta nella Chiesa. Ma vorrei tranquillizzare tutti: la mia nomina non porterà alcun inasprimento. Tra l'altro, il ruolo del Segretario di Stato è molto diverso».
Lei ha seguito da vicino la pubblicazione del segreto di Fatima: ci sono rivelazioni catastrofiche che riguardano il futuro o tutto è svelato e compiuto?
«Ho incontrato più volte suor Lucia e ho avuto tra le mani il verbale da lei sottoscritto su questo argomento. 
Non ci sono ulteriori rivelazioni su Fatima e il cosiddetto Terzo segreto è stato interamente rivelato. Quanto ai catastrofismi, alcuni dicevano che suor Lucia non chiudeva occhio la notte tanto era spaventata per le sciagure imminenti. Lei mi ha risposto: “Ma se non dormissi di notte, come potrei stare a pregare tutto il giorno?”. Suor Lucia raccomandava di non dar credito a questi annunci di sventura».
Nel 2001 lei aveva seguito la riabilitazione di monsignor Milingo. Che cosa pensa della sua nuova fuga e del suo impegno in favore dei preti sposati? 
«Ho conosciuto molto bene monsignor Milingo. Dobbiamo avere un grande rispetto per la sua storia personale e non troncare i rapporti con lui, né perdere la speranza che possa ritornare a una piena fedeltà al Papa in seno alla Chiesa cattolica. Per lui dobbiamo pregare molto. Io l'ho affidato al servo di Dio Papa Giovanni Paolo II».
Le costa separarsi dalla Chiesa di Genova?
«Mi costa molto. Nei giorni scorsi, quando ho parlato di rivoluzione copernicana, intendevo proprio il cambiamento della mia vita che ha significato la nomina a Genova,  alla quale non pensavo. Sono venuto volentieri e mi sono tuffato in questa realtà così ricca e vivace, cercando di mettermi sulle orme dei predecessori, in particolare del cardinale Siri. I problemi ci sono stati, ma anche le consolazioni e di questo ringrazio Dio ma anche i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i gruppi giovanili, le associazioni laicali che mi sono state vicino. Ora devo dedicarmi alla Chiesa universale e ai rapporti con tutti i Paesi del mondo. Avrò certamente più problemi che consolazioni. ..».
 
Benedetto XVI è sembrato voler sfrondare alcuni impegni politico-diplomatici, sottolineando l'aspetto pastorale della sua missione. Che riflessi avrà questo nuovo corso nel lavoro della Segreteria di Stato?
«La missione della Chiesa, come ripete il Papa, è soltanto una ed è sempre stata quella: annunciare al mondo che la bellezza, la felicità, la risposta alle domande più profonde dell'uomo non è un'idea, un sistema filosofico o una serie di insegnamenti, ma una persona, Gesù Cristo,  morto e risorto per la nostra salvezza. È soltanto in forza e alla luce di questa missione che la Santa Sede cerca di agire in favore della pace e della giustizia in ogni angolo del mondo, usando tutti i mezzi disponibili per raggiungere questi nobili obiettivi».
Qual è, allora, il compito della Santa Sede sulla scena internazionale?
«Nell'ultimo secolo i Papi hanno invitato ogni persona a ripartire da Dio per poter promuovere una pacifica e giusta convivenza in tutte le regioni della terra.  Hanno parlato non per difendere gli interessi della Chiesa, ma la giustizia e la dignità dell'uomo, di tutti gli uomini, specialmente i più deboli e coloro che sono costretti a subire ingiustizie e disuguaglianze intollerabili. Da questo punto di vista la pace non può essere soltanto semplice assenza di conflitti armati, ma è il frutto dell'ordine impresso nella società umana da Dio stesso».
In Medio Oriente, dopo la guerra che ha mietuto molte vittime civili, c'è uno spiraglio di tregua e la ripresa di un ruolo dell'Europa...
«Benedetto XVI, che aveva parlato di tre diritti – quello del Libano alla sua integrità di Paese sovrano, quello di Israele a vivere in pace e quello dei palestinesi ad avere una patria – ha pronunciato molti accorati appelli spiegando ancora una volta che non si può ristabilire la giustizia, creare un ordine nuovo ed edificare una pace autentica quando si ricorre allo strumento della violenza e delle armi. Il fatto che l'Europa ritrovi un ruolo di mediazione per favorire una soluzione pacifica non può che essere salutato come un fatto positivo.  Ma vorrei rivolgere anche un pensiero particolare ai cristiani che si sono trovati tra due fuochi e che, come già capitato altre volte in quelle martoriate aree del mondo, pagano un alto prezzo».
La sua designazione è stata preannunciata con quasi tre mesi d'anticipo rispetto alla nomina vera e propria. Un fatto senza precedenti. Posso chiederle perché?
«Anche in questo caso, non sono io la persona titolata a rispondere. Forse, essendo piuttosto inedito che alla Segreteria di Stato venga chiamato un vescovo diocesano,  è stato un modo con cui si è data la possibilità a me e alla diocesi genovese di prepararsi al cambiamento».
 
Andrea Tornielli - Il Giornale/Italia Estera
 



 
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