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20 apr 2009TERREMOTO: Riflessioni dalla Costa d’Avorio / di Pietro Iovenitti

di Pietro Iovenitti


ABIDJAN, 14 APR (Italia Estera) -  Percepisco da lontano la polvere dovunque e le lacrime che scendono ancora sulle guance screpolate. Sono a migliaia di chilometri di distanza, ma il boato immenso e terribile di quella notte lo sento dentro come se scuotesse di continuo le mie ossa. Ho cercato di capire perché proprio a L’Aquila, perché ancora una volta. Le ipotesi, i pensieri, la tristezza, la disperazione per non esserci girano ogni istante nella mia mente. Cercare di distrarsi, non pensare a quello che è accaduto non fa altro che riportarmi sulla tragedia. Ogni stratagemma ottiene l’effetto contrario. Internet, qualche telefonata, informazioni indirette e supposizioni sono il legame tra di noi e la nostra città.
Le domande si accavallano e si ripresentano con insistenza. Cosa si sarebbe potuto e dovuto fare? Considerare con più attenzione il ripetersi per mesi interi di una serie di strane scosse? Edificare e consolidare la città e i paesi intorno già nel passato attenendosi a certe norme antisismiche? Bisognava ascoltare con più attenzione gli allarmismi di quel sismologo e ignorare le rassicurazioni di quegli altri? La sola cosa certa è che se una località del nostro paese ha già subito nel passato un evento sismico importante quella zona é a “rischio sismico”. E questo lo sanno tutti. Di conseguenza bisogna intraprendere in quella zona una serie di misure per ridurre il rischio di danni e morti in caso di un successivo evento sismico. E tutto questo pare non sia stato mai fatto. Ma questa è un’altra storia.
Credo che la questione ha radici più lontane, più di trecento anni fa. Nel lontano 2 febbraio del 1703 la città di L’Aquila fu sconvolta da un terribile terremoto che l’annientò uccidendo circa seimila persone e distruggendo gran parte delle sue chiese e monumenti.
Quello fu l’anno della svolta. Ricostruire oppure no. Si decise di ricostruire sulle macerie, invece che scegliere la via di una riedificazione in altro luogo, lontano e forse più sicuro.
La natura aveva dato un segnale inequivocabile e gli aquilani vollero sfidarla. Si sa che i tempi della natura sono lunghi e le grandi trasformazioni geologiche impiegano centinaia e a volte migliaia di anni. L’appuntamento era stato fissato per le ore 03.32 del 6 aprile 2009 e rispettato al secondo.
Ora non c’è altro da fare che ricostruire. L’Aquila oggi è abitata impiegati, operai, professionisti, insegnanti, studenti e pensionati. Sradicarli dal loro territorio significherebbe strappargli l’anima.

Pietro Iovenitti / Italia Estera
www.pensierici.blogspot.com





 
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