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05 ott 2007Presentata la seconda edizione del Rapporto “Italiani nel mondo”

La ricerca svolta dalla Fondazione Migrantes in collaborazione con Acli, Inas-Cisl, Mcl e Missionari Scalabriniani.
Sono oltre 3,5 milioni gli emigrati italiani, con un incremento di oltre 400 mila unità rispetto all’anno precedente dovuto in gran parte a regolarizzazioni di registrazioni pregresse ma anche a nuove nascite e a nuove acquisizioni di cittadinanza
ROMA, 4 OTT. (Italia Estera) -  Presentato oggi dalla Fondazione Migrantes in collaborazione con Acli (Roberto Volpini), Inas-Cisl (Gianluca Lodetti), Mcl (Tonino Inchingoli) e Missionari Scalabriniani (Lorenzo Prencipe) il  secondo “Rapporto Italiani nel mondo 2007” (464 pagine, edizioni Idos). Sono oltre 3,5 milioni (3.568.532) gli italiani che risiedono all’estero, un numero superiore ai cittadini stranieri che risiedono in Italia. Un’emigrazione che non è solo frutto di espatri avvenuti in passato ma che continua ai giorni nostri interessando giovani manager, lavoratori altamente qualificati, studenti e ricercatori, che aiutano l’Italia a essere a passo con le esigenze della globalizzazione. Sono questi alcuni dei dati che emergono. I cinquanta autori, che hanno curato i diversi capitoli, sono esperti dell’emigrazione italiana, prescelti tra studiosi, ricercatori, sindacalisti, missionari e rappresentanti delle comunità di italiani nel mondo.
Ad aprile 2007 i cittadini italiani residenti all’estero sono risultati quasi mezzo milione in più rispetto a un anno prima. Questo forte incremento è dovuto in gran parte ad un perfezionamento dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), che ha inserito, in collaborazione con i Consolati, molte posizioni di connazionali prima sotto verifica, ma anche a nuovi espatriati, nuove nascite e nuove acquisizioni di cittadinanza.
Un’emigrazione prevalentemente concentrata in Europa (2.043.998 presenze, 57,3% del totale) ed in America (1.330.148, 34,3%), conta grandi paesi con mezzo milione di presenze: Germania, Svizzera e Argentina. Si può dire che i paesi ricchi di ieri, quando l’Italia aveva uno sviluppo carente e una gran fame di posti di lavoro, abbiano accolto consistenti collettività di italiani, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, dall’America Latina all’Australia, dall’Europa dell’Est al Sud Africa. Su ciascuno di essi il Rapporto Migrantes presenta focus mirati con riferimenti storici dati, notizie sugli interventi di parte italiana, i casi di affermazione più eclatanti.
Il 18% dei connazionali agli esteri è costituito da ultrasessantacinquenni, mentre è poco conosciuto che un altro 18% è costituito da minori, quasi ad attestare che si tratta di una presenza, che ha le radici nel passato, ma è protesa verso il futuro. Sono poi 100 mila quanti nel tempo hanno acquisito la cittadinanza italiana e diventeranno molto più numerosi perché sono migliaia le nuove domande. L’area degli oriundi è poi immensa, tra i 60 e i 70 milioni secondo stime, e questo spiega anche  perché annualmente nel mondo vi siano 600 mila persone che frequentano corsi di italiano, la quarta lingua più studiata del mondo.
Nell’insieme si tratta di una rete preziosa, specialmente se imparerà ad utilizzarla con accortezza, per sostenere l’Italia nella difficile sfida della competizione internazionale,  tenuto anche conto che il valore delle nostre esportazioni ammonta a 327 miliardi di euro, e all’incirca dello stesso valore è il fatturato delle imprese partecipate all’estero.
Partendo da una panoramica aggiornata sui flussi e sulle presenze all’estero, il Rapporto della Fondazione Migrantes tratta sia gli aspetti socio-culturali e religiosi che quelli socio-economici, per soffermarsi nell’ultima parte su diversi approfondimenti tematici.
 “Il Rapporto 2007 – ha detto don Domenico Locatelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale degli Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes -, pur spirando nelle sue pagine un grande affetto per la materia trattata, è caratterizzato dall’analisi critica dei dati e dalle considerazioni sulle dimensioni attuali e future del fenomeno, andando al di là delle  percezioni emotive per favorire nel lettore, sia in Italia che all’estero,  un confronto obiettivo con la realtà”.
Sono intervenuti al convegno di presentazione, preceduto da un  video di Rai International, anche mons. Piergiorgio Saviola e don Domenico Locatelli, della Fondazione Migrantes, Franco Pittau e Delfina Licata della Redazione Centrale “Rapporto Italiani nel Mondo”; Leonardo Samà della Redazione Rapporto Italiani nel Mondo; Silvia Bartolini, Presidente della Consulta dell’Emigrazione dell’Emilia Romagna; l’on. Franco Narducci, Presidente del Comitato parlamentare degli Italiani all’estero che ha chiuso i lavori con un ponderoso intervento.
Il Rapporto Italiani nel Mondo riveste un impegnativo ruolo educativo per la società civile in genere ed per gli operatori del settore in particolare. Esso ci aiuta a conoscere e capire un aspetto della storia sociale e civile italiana in maniera tale che tutta la comunità si senta coinvolta e partecipe di questa realtà che è l’Italia nel mondo, ha esordito  l’on. Narducci.
 
Il fenomeno migratorio non mette in gioco solo questioni politiche, economiche e demografiche ma ci interroga sul modello di società che vogliamo costruire e sui cambiamenti culturali che comporta.
 
Conoscere la storia sociale e culturale dell’emigrazione italiana nel mondo ci è anche utile per capire come i processi migratori possono incardinarsi nel nostro Paese ed operare per una positiva integrazione valorizzando ciò che per noi è stato essenziale strumento di crescita nelle società di accoglienza.
 
L’emigrazione italiana sostenuta e opportunamente valorizzata è strumento fondamentale del “Sistema Italia” che vede sviluppare nel mondo quella cultura per l’uomo protesa a realizzare quel “Nuovo Umanesimo” di cui ha bisogno la società globale affinché i processi di mondializzazione possano essere intesi come ricchezza e creare vero benessere riempiendosi di significato nella prospettiva delle persone. Persone e popoli che hanno diritto a  migliorare le proprie condizioni di vita beneficiando degli scambi culturali, della conoscenza e dell’informazione.
 
L’emigrazione ha contribuito ad avvicinare i popoli e le nazioni, a far sorgere un interesse per l’altro, che diventa prossimo, superando i confini delle identità rigide e i vincoli della pura logica economica e di libero mercato. In questa ottica spiace registrare che l’Italia, come altri Stati destinatari di flussi di immigrazione,  non ha ancora ratificato la Convenzione ONU “on the Protection of the Rights of All Migrantes workers and Members of their Families” del 18 dicembre 1990 ed entrata in vigore il 1 luglio 2003.
 
Le nostre comunità emigrate - lo conferma anche il rapporto - sono confrontate con un processo d’integrazione molto avanzato. Ne abbiamo riprova analizzando la presenza dei nostri cittadini o dei discendenti italiani nei punti nevralgici dei paesi in cui vivono, intendendo con ciò le istituzioni, gli snodi dell’economia, le università, i centri di ricerca e  in generale gerarchie professionali. E’ stato un cammino lungo, in ambienti spesso ostili perché dominati da falsi luoghi comuni nei nostri confronti, che ha visto i nostri connazionali battersi per una integrazione vera, concreta che non poteva essere la risultante di una imposizione culturale - quella dominante - e dunque di un modello assimilante, senza tuttavia rifugiarsi e chiudersi ciecamente nelle proprie tradizioni bensì attraverso un dialogo vivificante con le società di accoglienza. Non c’è integrazione sradicando costumi e mentalità, bensì aiutando il migrante ad essere parte attiva del nuovo contesto socioculturale di accoglienza.
 
Sono tantissime le testimonianze che costellano la via dell’integrazione delle nostre comunità in ogni parte del mondo e in molti casi le nostre battaglie per i diritti hanno modificato o sostenuto le politiche governative in svariati Stati nordeuropei come Francia, Germania e Svizzera.
 
Oggi la nostra rete di presenze nel mondo deve confrontarsi con le nuove sfide e deve soprattutto sviluppare nuove strategie al cospetto dei processi d’integrazione, pena l’annullamento di quella identità culturale tramandata da nonni, madri e padri, custodi gelosi del patrimonio culturale e di valori che ha caratterizzato per decenni la traiettoria della nostra diaspora.
 Il mondo cambia, i linguaggi cambiano e i modelli culturali, o i non modelli culturali, si propagano con grande rapidità. In questo cambiamento le nostre forme di aggregazione e di protagonismo sociale stanno mostrando limiti spesso insormontabili, ha proseguito il Presidente Narducci. Si pone dunque il problema di un ripensamento e di una maggiore percezione delle  trasformazioni in atto per cogliere le opportunità offerte dalle nuove generazioni. E’ un passaggio fondamentale, è il senso delle rigenerazione dell’associazionismo italiano all’estero. Abbiamo vinto la battaglia dei diritti di cittadinanza attiva, ma occorre rinforzare l’humus che alimenta gli organismi di rappresentanza, le reti di solidarietà e sussidiarietà; in definitiva occorre riorientare il sistema Italia all’estero. 
 
Qualcuno potrebbe chiedersi se l’Italia sia ancora Paese di emigrazione. La risposta non può che essere affermativa. Dopo le grandi ondate del passato, dalla Grande Emigrazione tra Otto e Novecento sino a quella del dopoguerra, che hanno inciso profondamente sui rapporti internazionali dell’Italia si assiste ad un cambiamento del fenomeno migratorio: si emigra per motivi spesso molto diversi da quelli del passato.
 
Particolarmente rilevante è l’emigrazione dei giovani ad alta qualificazione scientifica che nel nostro Paese, purtroppo, non trovano terreno fertile per la loro attività professionale. L’emigrazione determinata dalle opportunità più che “fuga di cervelli”, con destinazioni antiche e sempre nuove: gli USA ma anche la Germania, la Francia, Belgio, Gran Bretagna e Svizzera. E avanzano anche le destinazioni ritenute impensabili fino a qualche anno fa: Mosca, Pechino e altre città simbolo dei Paesi che avanzano a ritmi PIL vertiginosi.
 
Questo genere di emigrazione, soprattutto all’interno dell’UE, può essere fattore trainante di un processo d’integrazione che vede l’Europa non più legata ad una mera concezione territoriale delle culture, contribuendo a delineare un territorio che  con i suoi 475 milioni di abitanti rappresenta il microcosmo di una società mondiale. Un’Europa cosmopolita e investita da un processo multidimensionale che grazie ai flussi migratori, alla libera circolazione delle persone e all’incontro di diverse culture genera una varietà di stili di vita transnazionali.
 
L’emigrazione, quindi, è ancora oggi una realtà e non basta ripercorrere le nostra storia e recuperare la memoria di ciò che siamo stati: bisogna guardare avanti e proiettarla nel futuro, a partire dai valori di cui le nostre comunità sono state portatrici in ogni parte del mondo.
 
Fondamentale in tal senso è il ruolo dell’associazionismo che pian piano ha dato vita a forme di rappresentanza istituzionale con i COMITES, con il CGIE e con i parlamentari eletti all’estero.  L’associazionismo è stato il luogo politico delle rivendicazioni e delle battaglie per i diritti nei confronti dei Paesi ospitanti relativamente alle condizioni di vita, lavoro e abitabilità, alla regolamentazione dei permessi di soggiorno, l’integrazione scolastica e all’istruzione professionale dei giovani.
Oggi i COMITES sono chiamati ad esprimere una progettualità capace di interpretare i processi politici e culturali che sono in essere nelle società ospitanti rispondendo, così, alle reali esigenze di un cittadino italiano sempre più integrato nel luogo dove vive, ma anche legato ai valori e alla cultura di origine.
Il CGIE è chiamato ad offrire un contributo fondamentale per qualificare gli sforzi prodotti per l’affermazione del “Sistema Italia”, con le sue caratteristiche culturali, linguistiche e il suo know-how tecnologico.  E a dare un valido supporto alle Istituzioni del sistema Italia operanti all’estero, e in pari tempo ai parlamentari eletti all’estero.
 
Allora, ha concluso Narducci, non parleremo più di tante “Petites Italies” o “Little Italy” ma di una cultura italiana che ha umanizzato le relazioni tra i popoli, di un umanesimo capace di far sentire ciascuno persona e cittadino.(Italia Estera) -
Altre notizie e  la sintesi del rapporto sono disponibili nel sito www.rapportoitalianinelmondo.it



 
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