Sabato domenica e lunedì
di Maria Laura Platania
E’ quando l’odore del ragù arriva davvero - sottile e invitante, dolciastro e asprigno, consolatorio e amaro – dalla zuppiera di porcellana bianca del servizio buono, uguale a quella esposta nei musei di Capodimonte ai palchetti più alti del teatro che t’accorgi che sì, il miracolo s’è ripetuto.
Eduardo è vivo. Napoli è salva, noi siamo salvi.
Sabato, domenica e lunedì - messo in scena, in questa stagione nei teatri italiani, dalla Compagnia Teatri Uniti- Teatro Stabile dell’Umbria per la regia di Toni Servillo - è testo di pregevole stesura che descrive la famiglia come microrganismo di rapporti difficili, luogo d’origine della misantropia del personaggio eduardiano.
Nell'interno borghese di casa Priore, costruito con cechoviano equilibrio, tre giorni segnano, tra slabbrature lacerazioni e strappi, la sostanza di un tessuto famigliare che, all’alba della società dei consumi, tenta l’improbabile strada della coesione intorno alla tradizione.
E stavolta non è ’o presepe di casa Cupiello, ma l’invitante ragù di Donna Rosa Priore, una Anna Bonaiuto strepitosa, mediterranea e viva, che ricorda e cancella a un tempo, come solo le primedonne sanno fare, la Pupella Maggio per cui l’opera era nata. Una Rosa, la sua, che ha il temperamento sotterraneo e vivo della grandi madri della scena: sensuale nel suo golfino turchese che tradisce una giovinezza trascorsa ma non dimenticata, i suoi gioielli esibiti, materna nel grembiule candido nella rabbia animalesca di chi la prole difende, ma graffia e morde per tenerla unita.
Come in tante commedie di Eduardo anche qui è la donna l’anello forte della catena, quella che sopporta e tollera, condisce il ragù di sorrisi e lacrime, silenzi inghiottiti e parole inventate, attraversa, a testa dritta e schiena inarcata, la finzione della vita per scampare i figli all’onda di piena della vita.
L’arte della commedia è, specie nell’ ultima produzione di Eduardo, arte di rappresentare direttamente, in prima persona, la sua storia come storia del suo pubblico e del suo rapporto con il pubblico.
E nelle trame paradossali e surreali eppure incredibilmente vere della piccola storia famigliare – una famiglia, padre, madre tre figli, una nuora, vecchio nonno un po’ sclerotico, una zia intellettualoide, un cugino scemo, una servetta poco goldoniana con fratello turbolento e, soprattutto, la ragione del contendere, il ragioniere insinuante e la moglie – che si consuma un sabato d’attesa, una domenica di gelosia, un lunedì di pacificazione.
Come in Napoli milionaria il rituale che rinsaldava la famiglia era legato alla battuta saggia e pietosa “ha da passà ’ a nuttata” del reduce Gennaro, qui è Rosa Priore la protagonista - ultima madre di tradizione e prima di una linea che conduce dritto dritto alla donna liberata - che recita la ricetta perfetta della coesione familiare, declinando, tra memoria e reinterpretazione, gli ingredienti del ragù di sua madre: “serve tempo, pazienza e amore perché il sugo riesca” Ogni sabato si prepara, con calma e metodo, e la domenica, tutti insieme, con l'argenteria e il servizio buono, si mangia. Il lunedì, però, quando il sugo è freddo resta la carne a dare nutrimento.
E se il cavalier Peppino incupisce nella gelosia per una donna tanto malamata e “sbotta” in malomodo all’indirizzo del supposto rivale, è la donna a invelenire e offendere, sviscerare e vincere sul silenzio, con la forza di un amore che racconta di una teoria di anni in fuga che odorano di acqua di colonia e borotalco, bambini e cura, appretto per camicie che “solo io devo stirare”.
E’ perfetto Toni Servillo – e nella regia e nella calibratissima prosciugata interpretazione di tradizione – perfetta Anna Bonaiuto: eroi borghesi, popolani nell’anima capaci, di dare profonde vitalissime emozione nel raccontarci una storia che tutti ci ricomprende e perciò stesso emoziona.
La scena - una finestra che apre su un balconcino-rifugio per solitarie sortite al sole, la cucina, la tavola da pranzo, coi piatti veri, la poltrona rossa di prospetto o di schienale - è capace con pochi realistici tratti di rendere piena l’atmosfera che veleggia, come la vita, nelle trame della noia, delle attese, pochi elementi incorniciano il quadro di un mondo che ci comprende e ci appartiene.
Il cast è un tripudio, un puzzle azzeccatissimo di bravura, dove diverse generazioni di artisti napoletani si trovano, dando al meglio il proprio contributo: da Gigio Morra, nonno col vizietto di prediligere un nipote su tre, divertente e commovente a un tempo, delizioso Francesco Silvestri, nel ruolo dell'insinuante Luigi Ianniello, bravo Roberto De Francesco figlio del boom prototipo di generazioni a noi vicine.
Caratteristi perfetti, Enrico Ianniello e Tony Laudario, eccellente l’interpretazione della Pedrazzi, della Nappo e della Lo Sardo; calligrafici e eleganti Antonello Cossia, Ginestra Paladino, Alessandra D'Elia e Antonio Marfella.. Esilarante il Michele di Salvatore Cantalupo, catartico il Pulcinella di Marcello Romolo.
Una «famiglia da teatro comico napoletano» quella dei Priore dice Giulianella, ma alla fine è l’emozione a farla da padrona.
Maria Laura Platania