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12 lug 2007GIUSEPPE GARIBALDI, L’EMIGRANTE CHE RIUNI’ L’ITALIA

Servizio di Gerardo Severino
 
ROMA, 12 LUG. (Italia Estera) - In occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, avvenuta nell’italianissima Nizza il 4 luglio 1807, anche Italia Estera ha deciso di ricordare il grande condottiero, al quale l’Italia deve la sua unità e l’affrancamento dalle dominazioni straniere. Lo facciamo con il presente articolo, con il quale ricorderemo il Garibaldi viaggiatore, esule, emigrante ma soprattutto combattente per la libertà di altri popoli, primi fra tutti quelli dell’America Latina, ove visse per oltre un decennio. Il suo mito, mai sopito ed ulteriormente rinvigorito da quest’importantissimo evento, è legato soprattutto all’appellativo di “Eroe dei due Mondi”, che il Generale si guadagnò al suo rientro in Patria, nel 1848. In realtà, tutto nacque molti anni prima, inserendosi nel quadro di quello speciale rapporto che legò il Nizzardo al mare, sin dalla sua fanciullezza. Fu la passione per il mare che gli consentì di viaggiare e di toccare porti lontanissimi, ove incontrò emigrati italiani ed esuli politici di varia estrazione sociale. Ai suoi primi viaggi, come vedremo in avanti, si deve, infatti, la sua fortuna di uomo libero e di capo militare, così come verrà consacrato alla storia.
Figlio di un capitano marittimo originario di Chiavari, Giuseppe Garibaldi, non ancora quindicenne abbandonò gli studi per imbarcarsi sul brigantino “Costanza”, che nel 1824 lo condusse sino a Odessa. Seguirono molti altri viaggi (nel Mediterraneo orientale, nel Mar Nero, alle Canarie), fra i quali anche uno nella Roma papalina che decenni dopo sarà al centro dei suoi pensieri. Nel 1832, divenuto anch’egli capitano mercantile, il giovane Giuseppe si spinse oltre Gibilterra, toccando i porti del Levante, come venivano allora definiti i Paesi del Mediterraneo orientale (Grecia, Turchia, Egitto, ecc.). Qui incontrò moltissimi emigranti italiani, ma soprattutto gli esuli dei moti insurrezionali del 1821 e del 1831, grazie ai quali s’avvicinò ai quei movimenti liberali dai quali aveva avuto origine la prima fase del Risorgimento nazionale. Non solo, ma la sua nuova nave, la “Clorinda”, lo condusse, nel 1833, persino in Ucraina, a Taganrog, ove conobbe Giambattista Cuneo, seguace di Giuseppe Mazzini, che poco dopo (luglio ’33) lo iniziò tra le fila della “Giovine Italia”.
Nel 1834, incaricato di promuovere nella Marina Sarda un moto rivoluzionario, Garibaldi si arruolò in tale forza armata, iniziando subito un'intensa attività di cospirazione. Il 5 febbraio ’34, fallito il tentativo di sollevare la guarnigione di Genova, Garibaldi fu costretto alla fuga in Francia, seguito dalla condanna a morte in contumacia. Cambiatosi il nome in Giuseppe Pane, Garibaldi riuscì ad arruolarsi nella marina del Bey di Tunisi. Rimase in Oriente sino alla metà del 1835, data in cui, dopo aver navigato in diversi mari, si trasferì in America Latina, approdando così a Rio de Janeiro agli inizi del 1836.
Fu proprio in Brasile, grazie all’amicizia con l’esule genovese Luigi Rossetti, che ebbe inizio un nuovo capitolo della vita di Garibaldi: capitolo che durerà quasi dodici anni, come s’è detto. Furono, quelli, gli anni più romantici e avventurosi della sua esistenza, fondamentali per la formazione dell’uomo e del capo carismatico, gli anni in cui nacquero le “Camicie Rosse” e, soprattutto, si diffuse il mito di Garibaldi.
Come ricorda Giuseppe Guerzoni, combattente garibaldino ed autore di una delle più belle biografie dedicate all’eroe: “L'America diviene per dodici anni la sua seconda patria, la culla della sua vita nuova, il terreno in cui tutte le native energie del suo animo vigoreggiano e frutti­ficano; la forma insomma in cui si gettano i moltiformi lineamenti della sua figura, fino allora sbozzati e si plasma definitivamente il carattere dell' uomo. Là in quell'America meridionale, posta fra le Amazzoni e la Plata, al cospetto di quella possente e pittoresca natura, lungo le ocea­niche correnti dei fiumi smisurati, traverso le deserte praterie dei Pampas,2 in mezzo alle nomadi scorribande dei gauchos, nella consuetudine quoti­diana d' un popolo diverso e variopinto (.) impastato col sangue degli av­venturieri, dei banditi e degli eroi di tutto il mondo; là dove la guerra è un trastullo, il getto della vita una voluttà, l'ospitalità all'inoffensivo pellegrino un culto, ma l'odio allo straniero dominante una religione; là in quell'America degli eroismi favolosi, delle azioni feroci, delle rivo­luzioni subitanee, delle dittature sanguinarie, dei governi d' un giorno, si svelò l'eroe,  s'iniziò  il  capitano,  si  educò,  quale  che  sia,  il  politico”[1].
Già nel settembre del 1836, dopo il fallimento della piccola agenzia di trasporti marittimi, Garibaldi e Rossetti decisero di schierarsi con i patrioti che difendevano la libertà della Provincia di Rio Grande do Sul, che in quel frangente si era ribellata all’Impero Brasiliano. Sembrava, quella, una guerra senza speranza: una guerra però nella quale Garibaldi si schierò dalla parte dei vinti, perché essi: “rappresentavano i deboli e gli oppressi, testimoni e martiri della libertà e della dignità umana”.
Per molti anni, dunque, Garibaldi  combatte per terra e per mare, con pochi uomini contro intere compagnie, con navi da carico o lancioni, modestamente armati e contro intere flotte. Imprigionato e torturato più volte, Garibaldi risorse sempre come l’Araba Fenice, mosso nel suo agire da un unico ideale: la rivolta contro ogni forma d’oppressione e di dittatura.
Attorno a Garibaldi si riunì presto un pugno d'italiani, fra esuli o semplici emigranti, disposti, come lui, a combattere fino all’ultimo per la libertà e per l'onore. Nel frattempo (era il 1839) il Nizzardo aveva incontrato Anita Riberas, colei che, da amante appassionata e da eroina impavida, combatterà al suo fianco in epiche imprese, suscitando l’ammirazione e il rispetto di tutti.
Gli eventi di guerra in Sud America furono davvero tanti e tutti di pari valore, coinvolgendo spesso l’intera famiglia Garibaldi. Nel giro di pochi anni le sorti della Repubblica precipitarono. Tra la fine del 1841 e gli inizi del 1842, dopo la sconfitta delle truppe riograndesi ed una tremenda ritirata nel cuore dell’inverno, stringendo al petto, per riscaldarlo, il piccolo Menotti, ma sopratutto dopo aver subito patimenti d’ogni sorta, Giuseppe ed Anita Garibaldi, ormai ufficialmente sposi, ripararono a Montevideo, capitale della Repub­blica Uruguaiana. Ma anche qui, dopo essersi cimentato nel commercio e persino nell’insegnamento, l’Eroe dei Mondi fu ben presto avvolto dal turbinio della guerra scoppiata con la vicina Argentina.
A quel punto la Repub­blica offrì a Garibaldi, che nel frattempo era divenuto celebre anche per le sue imprese da corsaro, il comando della sua piccola flotta uruguayana. Gli fu quindi ordinato di risalire il corso del fiume Paranà, di percorrere circa 500 miglia in territorio nemico, con una flottiglia modestissima, pur conoscendo la soverchiante consistenza della marina argentina capitanata dall’Ammiraglio Guillermo Brown. Si trattava di un’impresa assurda che in ogni modo Garibaldi riuscì quasi a portare a termine. Il 15 agosto 1842, a Nuova Cava, bloccato dall’avversità degli elementi della natura, proprio mentre la squadra argentina lo stava raggiungendo, Garibaldi resistette per tre giorni e tre notti. Alla fine, dopo aver messo in salvo munizioni, feriti e viveri, diede fuoco alla santabarbara delle sue navi e si salvò a stento a nuoto[2].
Garibaldi ed i suoi marinai attraversarono duecento miglia di deserto e paludi, in territorio nemico, raggiungendo miracolosamente Montevideo. Frattanto la guerra volse a favore dell’Argentina che cingeva d’assedio Montevideo, dove le limitate forze della Repubblica s'erano raccolte. Là, il nostro Garibaldi radunò un folto gruppo di connazionali con i quali organizzò la Legione Italiana (500 uomini), primo nucleo di quei futuri garibaldini che nel maggio del 1860 accompagneranno l’eroe nella fatidica Spedizione dei Mille.
La Legione ebbe una divisa che ben presto renderà glorioso il reparto (la camicia rossa dei saladeros argentini) e una bandiera nera con un vulcano al centro. Gli italiani si coprirono di vera gloria, salvando due volte Montevideo dall’assedio nemico, sostenendo battaglie memorabili come quella di Sant’Antonio del Salto, nel febbraio 1846. Per le eccezionali benemerenze acquisite, il Governo di Montevideo offrì a Garibaldi ed agli altri legionari alcuni appezzamenti di buona terra da coltivare, ma Garibaldi rifiutò a nome suo e della Legione, affermando che: “Tanto egli quanto i suoi compagni, chiedendo d'essere armati ed ammessi a dividere i pericoli del campo coi figli di queste contrade, aveano inteso d' ubbidire unicamente ai dettami della loro coscienza; che avendo essi soddisfatto a ciò che essi riguardavano come un dovere, essi continueranno da uomini liberi a soddisfarvi, dividendo pane e pericoli coi loro valenti compagni senza desiderare e accettare rimunerazione e compenso alle loro fatiche”. Non solo, ma il gran condottiero, desiderando ardentemente di ritornare in Patria, ove i tempi per una rivoluzione sembravano ormai maturi, rinunciò anche al grado di Generale.
Ed il momento tanto atteso giunse agli inizi del 1848, allorquando Giuseppe Mazzini gli scrisse che tutta 1’Italia era ormai scossa da un anelito di libertà. Giuseppe Garibaldi non esitò un istante. Aprì una sottoscrizione, si procurò armi e un brigantino ribattezzato “La Speranza”. Con una sessantina di uomini della Legione, Garibaldi salpò alla volta dell'Italia, il 15 aprile 1848. Sembrava così concludersi il ciclo americano di Garibaldi: in realtà non fu così perché gli eventi dei due anni di guerra vissuti in Italia decisero diversamente.
Il 29 agosto 1848, dopo aver battuto gli austriaci a Luino, Garibaldi fu assalito a Morazzone da forze preponderanti. Riuscito ad evitare la cattura, riparò clandestinamente in Svizzera. Dall’ospitale Svizzera, ove fu accolto amorevolmente dalla numerosa comunità d’esuli ed emigrati italiani, Garibaldi ritornò in Italia nell’aprile dell’anno seguente, desideroso di correre in aiuto della minacciata Repubblica Romana. Nell'estate del 1849, dopo la sfortunata caduta di Roma, un’avventurosa fuga attraverso l'Umbria e le Marche portarono Giuseppe Garibaldi ed i resti della Legione Italiana nelle paludi di Comacchio. Qui, il 4 agosto del medesimo anno trovò morte Anita, la quale, sebbene in attesa di un altro figlio, aveva voluto seguire l'"Eroe dei due mondi" nell'ennesimo cimento di guerra.
Scampato alla cattura da parte degli austriaci, da Ravenna, Garibaldi riuscì a raggiungere Portovenere ed infine Chiavari, ove agli inizi di settembre fu arrestato dai carabinieri piemontesi e condotto a Genova. Liberato dopo alcuni giorni di detenzione grazie alle numerose proteste di parlamentari sardi, il condottiero s'imbarcò su di una nave a vapore con la quale avrebbe dovuto raggiungere Tunisi, il luogo che egli stesso aveva scelto per il suo secondo  esilio. Durante il viaggio, Garibaldi riuscì a sostare per qualche ora a Nizza, il tempo necessario per riabbracciare la madre ed i figli.
Rifiutatogli lo sbarco a Tunisi per motivi politici, Garibaldi iniziò a peregrinare per il Mediterraneo, sostando dapprima alla Maddalena, poi a Tangeri, a Gibilterra, a Liverpool ed, infine, si diresse in America del Nord, ove giunse nell'aprile 1850. Nell'aprile dell'anno seguente, dopo aver trascorso qualche tempo a New York, ospite dell'amico Antonio Meucci, Giuseppe Garibaldi seguì l'amico Francesco Carpaneto dapprima in America Centrale e poi in quella Meridionale, stabilendosi inizialmente a Lima.
Qui, nonostante avesse rispolverato il vecchio nome di Giuseppe Pane, Garibaldi fu accolto a braccia aperte dalla "ricca e generosa colonia Italiana", come lui stesso ricordò nelle sue Memorie, nel contesto delle quali aggiunse: "Quando io penso alle nostre colonie Italiane dell'America meridionale, vi è veramente da andarne superbi. Quei nostri conterranei sulla terra libera di quelle Repubbliche mi sembrano valer più assai che nelle nostre contrade". Ed è proprio in questi affascinanti angoli del pianeta che Garibaldi, abbandonati - per un momento - i panni del condottiero, indossò nuovamente quelli di capitano di una nave (più precisamente di un cargo mercantile), con la quale compì numerosi e lunghi viaggi intercontinentali.
Fu proprio a Lima dunque che, sul finire del 1851, Giuseppe Garibaldi, conobbe l'imprenditore Pietro Denegri, appartenente ad una facoltosa famiglia italiana originaria di Chiavari (secondo altri di Nizza) stabilitesi in Perù per affari. Il Denegri, infatti, gli affidò il comando della nave “Carmen”, un clipper mercantile da 400 tonnellate ancorato al Callao (il porto di Lima), destinata ad operare il commercio con la Cina. I viaggi per la Cina iniziarono il 10 gennaio 1852, data della partenza da Callao per Canton, con a bordo un carico di guano, un fertilizzante naturale di cui sia il Perù che il Cile erano già allora i principali esportatori. In più occasioni, al rientro in Perù, Garibaldi sbarcò al Callao molti emigranti cinesi, le cui colonie già allora erano ben impiantate sia nel Nord che nel Sud dell'America.
 Di tale attività fu testimone lo stesso armatore Pietro Denegri. Nel 1865, incontrando a Lima il noto scrittore Vittorio Vecchi (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Jack La Bolina), ricordando la figura di Garibaldi, l'armatore disse: "Don Victor, non ho mai avuto un capitano simile e che tanto poco mi spendesse (.) M'ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcato e tutti grassi ed in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie".
Per ragioni climatiche, i viaggi per la Cina (e per l'Asia in generale) furono spesso alternati ad altrettante missioni che potremmo definire "a breve raggio d'azione". Alcune di queste missioni ebbero luogo a partire dall'estate dello stesso 1852, allorquando Garibaldi, al ritorno da Canton, ripartì "in zavorra" (in gergo marinaro equivale a "senza carico utile") alla volta di Valparaiso, in Cile, ove giunse la prima volta nell’estate del ‘52. Qui la “Carmen” fu noleggiata per alcuni viaggi commerciali per conto del governo cileno, in quel momento impegnato in un vasto programma d’interscambi commerciali con l'Europa ed il Nord America.
Erano quelli gli anni della Presidenza di Manuel Montt (1851-1861), un periodo felice per il Cile, essendo caratterizzato da un processo di profondo rinnovamento sociale ed economico, tanto da far guadagnare a quel Paese l'appellativo di "la Prussia dell'America del Sud". La “Carmen” fu dunque adibita al trasporto di rame, una delle principali risorse minerarie del Cile, e per questo toccò i porti di Coquimbo e di Huasco, già allora considerati come i principali poli minerari del Paese.
 Per diversi mesi, Valparaiso e gli altri porti cileni, grazie soprattutto all'ospitalità degli abitanti, rappresentarono per il Garibaldi marinaio i "luoghi del riscatto": i luoghi ove il grande condottiero ritrovò nuovamente se stesso dopo la perdita dalla cara mamma avvenuta il 19 marzo del '52, mentre l'Esule navigava nell'Oceano Indiano. Nella bella Valparaiso, già allora  considerata la più grande città marittima e mercantile del Cile, Garibaldi ritrovò anche la Patria lontana, grazie a quel "consistente lembo d'Italia" sorto attorno alla primitiva colonia ligure sbarcatavi verso la fine del '700[3].
Come ricordano alcuni biografi, quando il capitano Francesco Pane sbarcò a Valparaiso, tutti gli italiani gli corsero incontro avendo riconosciuto in lui il grande Giuseppe Garibaldi. Gli italiani di Valparaiso: "… non si contentarono degli evviva, ma gli offrirono una magnifica bandiera che poi lo seguì oltre l'Atlantico e sventolò a Quarto, a Palermo, ed al Volturno". La "bandiera degli italiani" fu cucita dalle donne italiane di Valparaiso e, come asserisce l’Abba, riporta l’anno 1855, elemento questo che fa supporre l’eventualità che la bandiera potrebbe essere stata recapitata a Garibaldi durante la sua permanenza a Caprera.
Il vessillo fu lo stesso che nella primavera del 1860, affidato inizialmente all'alfiere Giuseppe Campo della gloriosa 7^ Compagnia, guidò i Mille sin dalla partenza di Quarto. Nell'epica battaglia di Calatafimi del 15 maggio, la "Bandiera dei Mille" (come fu subito ribattezzata) fu difesa strenuamente dal prode Simone Schiaffino (un capitano di lungo corso della Marina genovese, nato a Camogli nel 1835), il quale cadde eroicamente sull'altura detta "il Pianto dei Romano", trafitto dai numerosi colpi di fucile, nel vano tentativo di sottrarla ai Cacciatori napoletani che l'avevano conquistata[4].
Il 23 marzo del 1853, Garibaldi fece ritorno a Valparaiso, ove rimase per alcuni mesi: “…affascinato dalla straordinaria bellezza del luogo”, così come ricorda anche Jasper Ridley[5]. L'ultimo viaggio che Garibaldi fece al comando della “Carmen” ebbe inizio proprio da Valparaiso il 25 di maggio, alla volta di Boston, ove il mercantile giunse agli inizi di settembre, sempre del ‘53. Trasferita l'imbarcazione a New York, in seguito ad alcune incomprensioni sorte con l'armatore Denegri, il capitano Garibaldi decise di lasciare il comando della barca. Con il denaro guadagnato in Sud America e con una piccola eredità realizzata a Nizza, l'"Eroe dei due mondi" ritornò a Genova il 10 maggio1854[6].
Mutando spesso navi ed armatori, Garibaldi continuò a sfidare il mare per molti anni ancora, anche se non fece più ritorno in Cile ed in altre località dell’America Latina. Abbandonò la marineria nel febbraio 1859, data della sua partenza da Caprera per i nuovi cimenti di guerra che tutti noi conosciamo. Non a caso, l’ultimo di essi fu nuovamente all’estero, esattamente in Francia durante la guerra Franco-Prussiana del 1870-1871. Nelle epiche giornate dal 21 al 23 gennaio 1871, il grande italiano, al comando dell’Armata dei Vosgi, difese vittoriosamente Digione, battendo i prussiani con lo stesso impeto e con la stessa determinazione di sempre. Iniziate in terra americana oltre trent’anni prima, le eroiche lotte condotte dal grande Generale in difesa della libertà dei popoli si concludevano proprio in Francia, il Paese che si era annesso la sua amata Nizza e che continuava a garantire pace e libertà a molti altri emigranti ed esuli italiani.
Giuseppe Garibaldi, rifugiatosi a Caprera, lasciò questo mondo il 2 giugno 1882, portando nel suo cuore il ricordo di quegli anni vissuti all’estero, sicuramente i più belli ed i più importanti della sua vita avventurosa. Con la convinzione che ogni italiano all’estero si senta fiero ed orgoglioso di questo grande connazionale, salutiamo dunque il bicentenario garibaldino, sicuri che attraverso di esso possa rinascere quel sentimento di umana fratellanza che per secoli, soprattutto in nome dei principi della libertà e dell’eguaglianza, ha unito popoli e nazioni senza alcun preconcetto di razza o di religione .
Gerardo Severino/Italia Estera 

[1] G. Guerzoni, “Garibaldi”, Editore G. Barbera – Firenze, 1882.
[2] G. Severino, “L’Ammiraglio Guillermo Brown nei giudizi e nei rapporti con Garibaldi”, pubblicato sulla Rivista della Guardia di Finanza, numero di settembre-ottobre 2004.
[3]A quel tempo la Colonia italiana di Valparaiso contava 406 connazionali, molti dei quali operanti nel settore marittimo. Secondo alcune statistiche, tra il 1850 e il 1859, nel porto cileno si registrarono in arrivo ben 162 navi italiane: un vero record se pensiamo alle difficoltà ai cui andavano incontro i nostri  mercantili durante la navigazione sul Pacifico.
 
[4]G. Severino, “Un tricolore per Garibaldi: la bandiera dei Mille da Valparaiso a Calatafimi fra storia e leggenda”, pubblicato sulla Rivista della Guardia di Finanza, numero di marzo 2006.
 
[5] J. Ridley, “Garibaldi”, Arnloldo Mondadori Editore, 1975, pag. 437.
[6]G. Severino, “Il Marinaio Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi in rotta lungo le coste del Cile (1851-1853)”, pubblicato sulla rivista Tecnologie & Trasporti Mare nel gennaio-febbraio 2003.
 
   
   
   
 
 
 



 
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