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28 feb 2007Governo, fiato sospeso al Senato sulla fiducia. E' caccia all'ultimo voto

Andreotti: ''Non parteciperò al voto''. Disco verde alla fiducia di Turigliatto. In bilico il sì di Pallaro - Gli interventi di Randazzo e Micheloni senatori eletti all'estero
ROMA, 28 FEB (Italia Estera) -  Fiato sospeso al Senato in vista del voto di fiducia al Governo Prodi.
Romano Prodi ha concluso la sua replica, a cui seguirà il voto di fiducia. Il Professore ha esposto al Senato quello che sarà il cammino del Governo se verrà dato il via libera da Palazzo Madama. Innanzi tutto il tema caldo delle unioni di fatto. Tema su cui Prodi cerca di rassicurare tutti: "il governo ha presentato un ddl in Parlamento e con questo ha esaurito il suo compito", ha puntualizzato il presidente del Consiglio riferendosi al testo sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. "In Parlamento -ha aggiunto- ci sono molte proposte di legge presentate sia da gruppi di maggioranza che dell'opposizione. E' quindi compito del Parlamento costruire un testo su cui su cui si possa avere un'ampia convergenza. Io mi attendo perciò un dibattito sereno, approfondito e rispettoso di tutti per ricercare, possibilmente, posizioni condivise", ha concluso sul tema.

Nel suo discorso l'esordio era stato dedicato all'economia. E alla ripresa del Paese. ''Non abbandoniamo la strada maestra del risanamento dei conti pubblici. Non oscilleremo tra lassismo e rigore. L'Italia è degna di fiducia'', ha sottolineato il premier. Poi il tema su cui è caduto la scorsa settimana il Governo, quello della politica estera. Sull'Afghanistan il Professore ha scandito: "Riconfermo che noi agiamo su un doppio binario: manteniamo il nostro impegno con gli alleati ma lavoriamo allo stesso tempo in modo intenso e continuo per arrivare a una soluzione politica".

Prodi conclude come ieri, in 30 minuti, il suo intervento: "Ho chiesto il vostro voto per portare a termine quanto vi ho esposto: la coalizione ha raggiunto un accordo forte e coeso su questi punti fondamentali. Sono certo che il Paese potrà rapidamente trovare una possibilità di slancio in avanti che gli è necessario". Il Professore assicura:
"il governo ha la ferma intenzione di andare avanti con queste riforme. Per questo, pongo la fiducia sulla risoluzione che ha come prima firma quella della Finocchiaro, che mira a rinnovare il patto fiduciario con il Senato".
Subito dopo alle 18.30 sono iniziate le dichiarazioni di voto. Il senatore a vita Giulio Andreotti ha annunciato che non ''parteciperà al voto''. In bilico anche il sì del senatore italo-argentino Luigi Pallaro. Mentre il dissidente di Rifondazione Franco Turigliatto ha dato disco verde alla fiducia. Sì, come annunciato nei giorni scorsi, anche da Marco Follini. ''Il paese ha bisogno di un equilibrio diverso'', ha detto il senatore di 'Italia di mezzo'.

Sulla riforma elettorale, definita ieri una ''priorità assoluta'', arriva una precisazione di Prodi. "Nessuno ha mai parlato di una Bicamerale", ha detto il Professore rispondendo a chi gli chiedeva se una Bicamerale fosse luogo adatto per il confronto sulle riforme, a cominciare da quella della legge elettorale. Il presidente del Consiglio si è fermato a scambiare una battuta con i giornalisti appena arrivato a Palazzo Madama per assistere al dibattito in vista del voto di fiducia.
 In mattinata registriamo gli interventi di due senatori eletti all'estero: Nino Randazzo (circoscrizione Asia, Africa, Oceania, Antartide) e Claudio Micheloni (Europa, il più votato) che qui pubblichiamo per intero:
NINO RANDAZZO:
Signor Presidente, Presidente del Consiglio e Signori Ministri, Onorevoli Senatrici e Senatori
Riprendere serenamente il discorso dal punto in cui era stato bruscamente interrotto, ritengo debba essere la regola aurea di questa assemblea in questo particolare momento della vicenda politica nazionale. Perché non si tratta più di fare discorsi accademici o lasciarsi andare a intemperanze verbali, come purtroppo spesso avviene, bensì di riprendere con rinnovata lena il cammino della realizzazione del programma legislativo del governo dell’Unione che dieci mesi fa è stato votato dagli elettori italiani dentro e fuori d’Italia.

E, in forza delle dichiarazioni e indicazioni programmatiche fornite dal presidente del Consiglio Romano Prodi, urge, riprenderlo, questo cammino, senza perdere altro tempo in bizantinismi procedurali, eccessi ostruzionistici, baruffe ideologiche. Senza perdere l’occasione di alimentare con rinnovata tenacia e slancio la ripresa economica in atto, che nei primi nove mesi di governo Prodi è stata in grandissima parte determinata dalla visione, insieme, di giustizia sociale, di equità fiscale, di incentivi alla produttività, e dai due primi veri turni, due turni storici, di liberalizzazione delle professioni e dei servizi. Ripresa determinata da un concetto di rigore amministrativo che con una travagliata ma indispensabile Finanziaria, ha fermato il Paese sull’orlo dell’abisso dell’esclusione da Eurolandia, l’orlo dell’abisso di un tracollo sociale ed economico.

Si badi, a proposito di liberalizzazioni, di quelle liberalizzazioni per le quali molti colleghi sui banchi dell’opposizione si sono chiesti pubblicamente “Ma perché non le abbiamo fatte noi con tutto il tempo che abbiamo avuto?”, non è soddisfazione da poco poter dire, chi come me, quando può, rientra all’estero nella sua residenza, poter dire che finalmente anche in Italia chi ha bisogno di un’aspirina fuori dai sacramentali orari o dalla vicinanza delle farmacie può andarla ad acquistare a prezzo ridotto insieme ad un paio di centinaia di altri farmaci da banco presso un supermarket; che in Italia non si è più costretti a farsi spellare da un notaio per il passaggio di proprietà di una vettura usata; che si cominciano a smantellate le caste chiuse degli ordini professionali; che a Roma o Milano capita ora meno di frequente dovere aspettare inutilmente fino a un’ora sotto la pioggia o al solleone per un taxi; e così via di seguito

Poi, su quello che l’opposizione ha creduto di cavalcare come cavallo di battaglia nella crisi ormai in via di conclusione, la politica estera, si lasci pur dire a chi da svariati decenni è vissuto ed ha operato all’estero nei settori dell’informazione, della politica e delle istituzioni, due cose in particolare. La prima è che nessun programma di politica estera poteva essere più completo, più dettagliato, più lineare, coerente ed onesto, più rispettoso degli impegni e delle alleanze internazionali negli ambiti di ONU, NATO e Unione Europea, e insieme più indicativo della missione e degli ideali di pace, libertà e solidarietà perseguiti dall’Italia, di quello presentato in quest’aula dal ministro D’Alema una settimana fa. La seconda cosa è che si lasci ancora dire a chi vive l’Italia fuori d’Italia che l’immagine dell’Italia che era scesa veramente in basso nel mondo si è cominciata a riscattare con l’avvento di questo governo. Facile fare dell’ironia da esponenti di parti politiche che vedono l’Italia standoci dentro, posizionandosi magari troppo da vicino, vedono e giudicano il Paese solo da nicchie di ideologie e interessi di parte, interessi personali, interessi di potere per il potere. Ma il progressivo degrado dell’immagine istituzionale dell’Italia nel mondo che si è andata registrando negli anni precedenti alle elezioni del 2006 resta una realtà storica ben percepita, documentata, incontestabile. Una realtà che spiega fra l’altro come e perché la maggioranza degli elettori nella circoscrizione Estero ha premiato candidati dell’Unione. Li ha premiati anche perché nei Paesi dove risiedono una delle carte vincenti è stata proprio l’immagine dell’Italia. E, incidentalmente, va smentita una volta per tutte la teoria secondo cui nella circoscrizione Estero, per l'elezione del Senato, il centrodestra non avrebbe fatto il pieno di rappresentanti parlamentari solo perché presentatosi con diverse liste in concorrenza l’una con l’altra. I dati ufficiali parlano chiaro di una forbice di ben dieci punti: 48,3 per cento per il centrosinistra, 37,6 per cento per la somma delle cinque liste del centrodestra.

E non a caso, come ha ribadito lo stesso presidente del Consiglio nelle sue dichiarazioni programmatiche, proprio nel primo dei 12 punti con cui si rilancia l’azione di governo, quello riguardante la politica estera, è stato inserito l’impegno ad “una incisiva azione per il sostegno e la valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all’estero”.

Finalmente, dopo quasi un secolo e mezzo di Diaspora dall’unità d’Italia ai nostri giorni, giunge il più alto formale riconoscimento, e apprezzamento, del connotato reale – politico, sociale, culturale, economico – della presenza italiana all’estero. Un riconoscimento che rappresenta un solenne impegno ufficiale per una conseguente azione, quale nessun altro governo d’Italia aveva mai preso. Altro che andare cianciando, che andare invocando, come anche alcuni membri di questa assemblea legislativa fanno: “No representation without taxation, niente rappresentanza parlamentare senza contributo fiscale, niente voto a chi non paga le tasse”. Un immeritato crudele insulto a milioni di nostri connazionali che, espatriati per qualsiasi ragione, hanno di proposito mantenuto la cittadinanza italiana, che nel secondo dopoguerra sostennero con le loro rimesse l’economia di intere regioni, che in moltissimi casi continuano a pagare le tasse sui beni immobili lasciati in patria, che oggi sono i principali promotori e consumatori delle esportazioni italiane nel mondo, che sono i propagatori nei cinque continenti di lingua, cultura, stili di vita, tradizioni, innovazioni, conquiste e proposte sociali ed economiche d’Italia. Un’estensione viva e consapevole dell’Italia.
E quindi concludo: anche per il positivo ribaltamento dell’immagine, spesso mortificata, degli italiani all’estero va dato atto al governo, come per il resto del suo programma, in questa fase di rilancio.

CLAUDIO MICHELONI 
On. Presidente, On. Presidente del Consiglio, On. Ministri, Colleghe e Colleghi, sto vivendo un periodo di primati. È la prima legislatura della storia della Repubblica italiana che vede in Parlamento la presenza di Deputati e Senatori eletti all'estero dagli italiani residenti fuori dai confini italiani. È la prima volta che sono stato eletto Senatore della Repubblica ed è la mia prima crisi di governo!
 
Sono stato eletto nelle liste de l'UNIONE che all'estero non ha rappresentato la somma dei partiti che in essa si riconoscono, ma una proposta-risposta al bisogno di unità, di chiarezza che la grande maggioranza degli italiani all'estero esprime. Per questa ragione l'UNIONE all'estero ha largamente vinto le elezioni, non per altro!
 
Voterò la fiducia al Governo Prodi con convinzione e con il senso di responsabilità che ho assunto nei confronti degli italiani all'estero e verso l'intero popolo italiano.
 
Voterò la fiducia, perché il Governo Prodi ha dimostrato in questa prima fase in cui è rimasto in carica, di essere cosciente che gli italiani all'estero sono una risorsa per l'Italia. L'ha dimostrato nella finanziaria. L'ha confermato con il richiamo nei punti fondamentali di rilancio del Governo.
 
Per noi eletti all'estero questi primi mesi non sono stati facili: sia per le nostre condizioni materiali (distanze, mezzi e risorse inadeguate), sia soprattutto per le difficoltà ad inserirci in questa macchina molto complessa.
 
Per noi migranti integrarsi è parte del nostro DNA e credo che ci stiamo integrando. Ma integrarsi non significa rinunciare alla propria cultura, alla propria personalità, alle proprie esperienze e ai propri valori.
 
Siamo tutti italiani. Abbiamo tutti arricchito la nostra personalità, la nostra cultura, le nostre esperienze con ciò che abbiamo trovato nell'incontro con le culture e società che ci hanno accolti. Non è stato sempre facile.
 
È però mia convinzione che oggi nel parlamento della Repubblica Italiana, i parlamentari della Circoscrizione Estero possono essere portatori di esperienze e culture diverse. Né migliori, né peggiori di quelle italiane. Sicuramente rinnovatrici, in un mondo politico italiano che, a mio modo di vedere, di innovazione ne ha molto bisogno.
 
Gli italiani all'estero, nel bene e nel male, sono come tutti gli italiani in Italia. Sicuramente non sono degli opportunisti ricattatori. Sono persone che con il loro lavoro e il loro sacrificio hanno creato nel mondo il rispetto e la stima di cui godono oggi l'Italia e tutti gli italiani.
 
I pochi, ma significativi risultati positivi che gli italiani all'estero hanno raggiunto in questi mesi, non sono il frutto di alcuna minaccia, ma il risultato di un lavoro, di un dialogo costante con l'insieme della politica e del Governo.
 
Chi pensa il contrario si guardi allo specchio, se può ancora farlo.
Ho chiesto di intervenire principalmente per rendere partecipe il Senato della Repubblica di ciò che veramente mi ha colpito, e direi anche ferito, in questi primi mesi di legislatura.
 
Quando sono stato eletto non mi sembrava vero che il figlio di un emigrato abruzzese andato in Svizzera a scaricare il carbone potesse arrivare al Senato della Repubblica italiana. Allora mi tornarono in mente tutti i valori solidi della vita, quelli ricevuti dalla mia famiglia, una semplice famiglia di contadini abruzzesi. Questi valori si sono poi arricchiti in innumerevoli incontri, riunioni, assemblee di donne e uomini emigrati in Svizzera, in Europa. Valori spesso espressi, come faccio io, in un italiano approssimativo. Ma valori veri, semplici, profondi, forti. Tra questi la famiglia, la solidarietà, e, al di là delle diverse ideologie, tutti erano accomunati da un unico denominatore: l'appartenenza a una comunità, essere e sentirsi italiani, in qualsiasi circostanza, in particolare in quelle più difficili. Sia nelle tragedie, come quelle di Marcinelle o di Mattmark, che hanno segnato la nostra storia, sia negli anni tormentati che ha vissuto la nostra Repubblica.
Mai è venuto meno il senso di appartenenza alla comunità italiana.
 
Ebbene, ciò che mi ha ferito è proprio lo scarso senso di appartenenza, il poco senso dell'interesse nazionale, del bene comune e l'esiguo senso dello Stato che ho trovato in quest'Aula.
 
Care colleghe, cari colleghi,
sono sempre rimasto impressionato nell'ascoltare la maggior parte degli interventi in questa prestigiosa sede. Interventi segnati da una grande capacità nel difendere opinioni di parte e anche dentro le parti, opinioni particolari, e grandi disquisizioni sull'interpretazione del regolamento. In questo campo ho trovato qui dei maestri. Ma, secondo me, limitarsi a questo significa essere cattivi maestri. Gli italiani ci hanno deputato a rappresentarli con la difficile missione di realizzare il bene comune. Ci hanno deputato a confrontare le diverse idee, i diversi progetti per cercare e individuare le vie migliori per risolvere i problemi del Paese. Ma se noi pensiamo che questo sia solo un luogo di scontro e non di confronto, un luogo dove cercarsi una personale visibilità, per raggiungere obiettivi particolari, spesso per affermare distinguo nella propria fazione, all'interno del proprio partito, stiamo tradendo la missione che il popolo italiano ci ha affidato.
 
I grandi principi sono sì fondamentali, il rispetto per la vita, la famiglia, la pace. Chi in quest'aula può essere contrario?
Chi in quest'aula può dirsi contro il rispetto per la vita, la famiglia, la pace?
Nessuno!
E nessuno è solo minimamente autorizzato ad insinuare che qualcuno lo sia.  
 
Ma non si può utilizzare il rispetto per la vita, la famiglia, la pace facendo leva sulle fedi, le ideologie o i grandi principi, per, in realtà, rincorrere piccoli e miseri spazi di potere all'interno delle proprie formazioni politiche. Non si possono negare i diritti e i doveri dell'individuo a beneficio dei diritti e doveri collettivi. Estendere i diritti a chi non li ha non lede i diritti di chi li ha già. Le leggi devono servire a regolare le situazioni più varie, devono riconoscere la legittimità di una pluralità di comportamenti e modelli, religiosi e laici, privati e pubblici.
La difesa della pace non è un diritto, è un dovere per tutti. Non basta gridare "pace, pace, pace" perché la pace sia. La pace va protetta con una politica attiva, responsabile e coraggiosa. E così vedo oggi la politica del Governo italiano. Ed è perché sono un pacifista convinto che sosterrò la politica presentata dal Ministro D'Alema che sicuramente sta alleviando la sofferenza di popolazioni civili in Afghanistan, in Libano e in ogni altro luogo dove i nostri soldati sono e saranno al servizio dell'Italia e della pace.
 
La vita, la famiglia, la pace, le rispetteremo, le difenderemo, le valorizzeremo solo se, con onestà intellettuale, forti delle nostre ragioni, saremo capaci con umiltà di ascoltare le ragioni degli altri. Senza veti e senza diktat. Non ricordo più il nome, ma un umanista francese disse: "Spesso i grandi principi ci servono per nascondere la nostra cattiva coscienza". Almeno qui nel Senato della Repubblica italiana facciamo in modo che i valori, i principi della nostra cultura, del nostro Paese ci servano non a nascondere meschini giochetti, ma a ricercare e costruire insieme le soluzioni condivise dai molti e non ricercate dai pochi. Anche questa è democrazia. Così facendo, forse con grande fatica, ma con tanta umiltà, potremmo ritrovare la strada che ci riporterà al senso del bene comune, al senso di appartenenza, al senso dello Stato.  (Italia Estera) -



 
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