BUENOS AIRES 25 OTT -Tribuna Italiana/Italia Estera - L’elezione dei 18 parlamentari eletti all’estero da parte degli italiani che vivono fuori d’Italia, ha dato nuovo slancio ai temi che una volta si chiamavano “di emigrazione” e che ora fanno parte dell'agenda degli italiani all’estero. Argomenti e problemi che in molti casi sono sempre gli stessi, sempre quelli di prima, come è il caso della rete consolare o della diffusione della cultura italiana. Temi sui quali non è esatto dire che in cinquant’anni non si è fatto nulla. Al contrario, si è fatto, si continua a fare, probabilmente sempre di più, man mano che in Italia cresce la conoscenza e la consapevolezza della presenza italiana all’estero, vista oggi come eredità ed opportunità della gesta dell’emigrazione.
Non si può dire però che ci sia stato un grande cambiamento o, per lo meno, che fino ad oggi, fino all’insediamento dei nostri parlamentari (sei mesi di lavoro sono quasi un niente rispetto a 60 anni di storia della Repubblica), la nostra situazione sia cambiata sostanzialmente rispetto a cinque, dieci o venti anni fa.
La nostra visione forse è influenzata, in modo negativo, dall’ambiente in cui viviamo, da questa cara Argentina che ci ha dato tanto, soprattutto in affetti, e ci ha tolto tanto, specialmente dei nostri risparmi e delle nostre certezze sul domani.
In questo contesto si inserisce il lavoro dei 18 parlamentari all’estero, e specialmente quello dei “nostri tre” e il rilancio dei rapporti fra l’Italia e l’Argentina, dopo le incomprensioni causate dalla crisi e dai cambiamenti di governi nei due Paesi, che negli ultimi tempi sembrano avviati a miglioramento. Dopo il cambio del governo in Italia, infatti, ci sono state le visite in Argentina del Vice presidente del Senato italiano, Milziade Caprili per l’omaggio del Senato argentino ai nostri tre parlamentari, la visita del sottosegretario Donato Di Santo a Buenos Aires, gli incontri del Vice presidente dell’Argentina Daniel Scioli in Italia, la riunione a New York tra il presidente Kirchner e il premier Prodi, l’accordo firmato dal vicepremier Rutelli con il segretario alla cultura dell’Argentina Nun, la visita in questi giorni del presidente della Camera dei Deputati dell'Argentina Balestrini a Roma e del sottosegretario alla Salute italiano Gian Paolo Patta in Argentina, la visita a dicembre del Vice ministro Danieli e forse anche il ritorno di Di Santo in Argentina.
Sono segnali di un disgelo per il quale anche i nostri parlamentari hanno fatto la loro parte. Col passare dei giorni si vedrà come evolverà la situazione, sulla quale però grava la questione irrisolta dei bond. Starà alla buona volontà dei governi e all’abilità delle diplomazie dei due Paesi (che hanno sempre mantenuto buoni rapporti nonostante le incomprensioni tra i politici) riuscire a ricostruire i profondi vincoli che legano i due Stati (perché tra i due Paesi non è mai venuto meno il legame) perché da questa primavera sboccino i fiori.
Questo il panorama. Ma quale è il nostro ruolo come comunità in questa profonda, ricca realtà tra l’Argentina e l’Italia? Cosa siamo stati capaci di fare come comunità durante questi anni per avvicinare le parti, promuovendo il dialogo o magari tacendo per evitare che i disaccordi crescessero?
Siamo convinti che c’è stata una azione il più delle volte silenziosa, capillare, di contatto diretto. Infatti, in tante riunioni nelle nostre associazioni, hanno partecipato sindaci e consiglieri comunali, o parlamentari nazionali o provinciali, o comunque uomini influenti della politica locale. Pensiamo ai discorsi nei quali è stata ricordata la mutua solidarietà nei momenti difficili, o l’esempio degli emigrati italiani, che contribuirono in modo determinante allo sviluppo dell’Argentina, o alle braccia aperte dell’Argentina per accogliere milioni di italiani che di questo Paese hanno fatto la loro seconda patria, senza mai dimenticare la prima. Pensiamo ai raduni degli Alpini nei quali il Coro delle penne nere ha cantato “Las dos banderas”, con sentimenti, se possibile, ancora più toccanti di epoche quando il conflitto non c’era.
Pensiamo anche alla “diplomazia delle tavole”, forse più importante di quella dei discorsi, quando i nostri dirigenti separati dai loro interlocutori argentini solo da un piatto di pasta o di “asado”, hanno cercato di spiegare, di far capire, di trovare visioni comuni. Altrettanto si può dire degli incontri dei dirigenti della nostra collettività con sindaci, consiglieri comunali o regionali, imprenditori o parlamentari arrivati dall’Italia o visitati dai nostri nel Belpaese
Di questa azione non ci sono documenti, ci sono solo le testimonianze dei protagonisti. Come insieme, come comunità invece ci sono solo pochi interventi, pochi documenti.
Questo è un bene o un male? La comunità italiana deve continuare ad essere diffusa e confusa in mezzo alla società argentina, della quale fa parte, o deve mostrare una identità più definita, più verificabile sulla carta?
Il rischio se mantiene la prima posizione è che la sua immagine sia sbiadita, e per contare, si affidi solo alla “diplomazia delle tavole” di cui parlavamo, col rischio di influire poco, sia in Argentina che in Italia. Se si affida alla seconda posizione invece, rischia la ghettizzazione, ragion per cui da tempo i nostri dirigenti l’hanno evitata.
Forse sarebbe positiva l’apertura di un dibattito sulla questione.
MARCO BASTI