Un brevissimo rientro mio e dell’on. Marco Fedi in Australia coincide con gli ultimi giorni di votazione per corrispondenza all’estero nel referendum sulle modifiche apportate alla Costituzione italiana dalla maggioranza di centrodestra nella precedente legislatura. (Come noto, all’estero le buste con le schede votate debbono pervenire agli uffici consolari entro giovedì prossimo, 22 giugno, mentre in Italia si voterà domenica 25 e lunedì 26). Ottima coincidenza per un ulteriore invito agli elettori a respingere lo stravolgimento della Carta costituzionale operato dal governo Berlusconi soprattutto per volontà della Lega Nord. E’ necessario, pertanto, votare mettendo sulla scheda una croce nel quadratino del NO.
Dire NO al “massacro” di una cinquantina di articoli della seconda parte della Costituzione servirà in primo luogo a salvare l’unità d’Italia. La cosiddetta “devolution”, al centro dello stravolgimento costituzionale, rappresenta infatti una parziale ma sostanziale cancellazione dell’autorità dello Stato, un cieco passaggio di poteri e risorse alle amministrazioni regionali in materia di sanità, istruzione, sicurezza. Porta aperta al pozzo senza fondo del successivo “federalismo fiscale”. E’ pur vero che la materia è molto complessa, ma basterebbe la semplice considerazione di un solo aspetto della “devolution” per renderla di colpo impressionantemente e comprensibilmente allarmante: le strutture sanitarie pubbliche, poniamo, del Piemonte o della Lombardia o del Veneto potrebbero anche rifiutarsi di curare un malato calabrese o siciliano o campano o pugliese, e respingerlo alla propria regione d’appartenenza. Colpire l’unità e la solidarietà nazionale è, soprattutto per la Lega Nord che era riuscita a condizionare l’intero governo Berlusconi, il primo passo verso la realizzazione sempre confermata del sogno di Bossi, lo spezzettamento dell’Italia, la scissione della fantomatica Padania, “bruciare il tricolore”, dare un calcio a “Roma ladrona” e all’intero Sud.
Senza contare altre conseguenze pratiche di una sciagurata maggioranza referendaria del “sì”, fra cui: la pratica esautorazione del presidente della Repubblica; poteri pressoché insindacabili al capo del governo; un Parlamento a rappresentatività limitata con un Senato “federale” che contempla fra l’altro rappresentanti regionali “scaldasedie” senza diritto di voto. Anche la voce della maggioranza delle amministrazioni regionali sì è levata chiara e netta contro la progettata mostruosità dello sconfitto governo. Oltretutto salta agli occhi l’assurdità dello sconvolgente piano di falso federalismo. Tutti i Paesi ad assetto federale, inclusa l’Australia, sono nati dall’unione di diverse entità amministrative e territoriali autonome all’origine. Non s’è mai dato il caso di uno Stato unitario che abbia deciso di spezzettarsi per “diventare federale”. Non ha, quindi, senso paragonare un federalismo italiano a quello degli Stati Uniti o dell’Australia. Un motivo in più per gli italiani all’estero per continuare ad amare l’Italia votando NO. Lo smantellamento del regime berlusconiano, dopo le sconfitte alle elezioni regionali e nazionali e alle ultime amministrative, sarà completato con questo referendum. L’aggiornamento dei procedimenti legislativi, la modernizzazione delle strutture istituzionali ed operative, un ragionevole decentramento amministrativo, le riforme costituzionali veramente necessarie e sentite da una maggioranza politicamente trasversale oltre che dall’opinione pubblica potranno e dovranno essere fatte dal Parlamento a tempo e nei modi dovuti, e sempre in termini di unità, solidarietà e dignità nazionale.
Per concludere su qualche nota di diverso registro, vanno fatti altri appunti che meriterebbero (e all’occorrenza avranno) una ben più articolata trattazione. Per cominciare, sfatare un mito ricorrente. La maggioranza della coalizione di centrosinistra sotto la leadership di Romano Prodi non è stata di 24-25 mila voti, come va cianciando l’opposizione. Dal computo mancano, infatti, i voti della circoscrizione Estero e della Val d’Aosta, che portano la maggioranza reale dell’Unione a quota 180 mila. Avrà voglia di ricontare schede il Cavaliere. Togliere dalla testa di chi ce l’ha un’altra illusione: che la maggioranza del governo al Senato non possa reggere per la sua, innegabile, esiguità. Dopo l’elezione del presidente del Senato e il voto di fiducia al governo, la tenuta del centrosinistra nella Camera Alta s’è riconfermata appena martedì scorso quando l’Aula ha respinto le eccezioni di incostituzionalità sollevate dal centrodestra allo “spacchettamento” dei Ministeri e le mozioni contro il ministro della Ricerca Mussi sulla questione delle cellule staminali embrionali che non hanno convinto neppure la “lobby cattolica” nella maggioranza. Continua intanto a rivelarsi determinante la rappresentanza parlamentare dell’Unione eletta all’estero, che dimostra compattezza e volontà di puntare all’intero corso della legislatura. Le ulteriori conferme giungeranno subito, nelle settimane e mesi cruciali della Finanziaria. Quanto al Cavaliere disarcionato che spira furore e medita vendetta a scadenza ravvicinata, rassomiglia ogni giorno di più all’esaltato d’un angolo di crocevia che annuncia l’imminente fine del mondo.
NINO RANDAZZO, Senatore della Repubblica