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20 mar 2006IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ E GLI ITALIANI ALL’ESTERO di Alberto Quartaroli

NEW YORK, 20 MAR, (Italia Estera) - Un parametro per valutare il livello di democrazia di un paese è quello di misurare la vicinanza dell’attività politica al cittadino e, per converso, il grado di accesso del cittadino alla cosa pubblica. Quanto più vicina è la politica al cittadino, tanto più forte è il legame democratico che li unisce. Ormai da anni In Italia sta avvenendo l’esatto contrario, ossia stiamo assistendo a un progressivo allontanamento delle scelte politiche ai bisogni immediati dei cittadini, raggiungendo il colmo dell’indecenza con l’abolizione del voto di preferenza.
 
Per gli italiani all’estero questa lontananza (non solo geografica) si è sempre sentita. Il Consolato, ossia l’ente più prossimo allo Stato, non è mai stato in grado di servire degnamente i suoi cittadini, spesso trattati come sudditi anziché come fruitori di servizi.
 
Lo Stato italiano, del resto, non ha mai avuto una parte attiva (tantomeno positiva) nella storia della nostra emigrazione, dal momento che si è sempre disinteressato dei suoi concittadini oltre frontiera, spesso disconoscendo la loro stessa esistenza per evitare di assumersi le dovute responsabilità. Nel momento del bisogno il cittadino all’estero poteva contare soltanto sui Patronati, sulle società di mutuo soccorso e sulle missioni cattoliche: i veri grandi eroi della nostra emigrazione. Queste forme di organizzazione assistenziale in loco si sono di fatto sostituite allo Stato e ai Consolati e sono tuttora gli unici soggetti attivi, indispensabili alla nostra comunità.
 
Il principio di sussidiarietà, recentemente introdotto nella Costituzione italiana, deve trovare applicazione, a maggior ragione, proprio all’estero, dove non esistono enti pubblici decentrati (quali Regioni e Comuni) e dove il cittadino trova nei corpi intermedi l’unico interlocutore di fiducia nell’affrontare complicate problematiche burocratiche attinenti ai suoi sacrosanti diritti. Da oltre un secolo, i Patronati e le missioni cattoliche sono stati in grado di coprire gli spazi lasciati scoperti dallo Stato. Sarebbe pertanto opportuno che lo Stato moderno riconoscesse rilevanza pubblicistica a questi soggetti, applicando in maniera corretta il principio di sussidiarietà.
 
Lo Stato non dovrebbe solo limitarsi a valorizzare e riconoscere maggiormente le autonomie funzionali dei Patronati e delle altre organizzazioni di promozione sociale, ma dovrebbe addirittura conferire alle stesse poteri di carattere pubblicistico e quindi dotarle di uno specifico ruolo istituzionale. Le funzioni di interesse generale, anche se di natura amministrativa, devono essere devolute a queste organizzazioni, che, a differenza dello Stato e dei Consolati, sono da sempre vicine ai cittadini e sono in grado di rispondere con la massima efficienza alle istanze sociali e ai bisogni emergenti. Il ruolo del Consolato dovrebbe limitarsi all’indirizzo e al coordinamento delle loro attività.
 
Un altro aspetto mai considerato è l’enorme contributo dato dall’associazionismo italiano all’estero. Lo Stato dovrebbe riconoscere loro il grande merito di aver mantenuto e trasmesso il senso di identità nazionale, che altrimenti si sarebbe completamente disperso e confuso nella società del paese di immigrazione.
 
E’ solo per merito delle associazioni (e non dello Stato italiano, ne’ dei Consolati) che si è riusciti a salvare una piccola ma significativa percentuale di italianità nel mondo. Quella stessa italianità che solo recentemente si stà riscoprendo grazie al contributo delle nuove generazioni all’estero e degli innovatori dell’economia e della cultura. Se avessimo dovuto contare sullo Stato italiano, oggi non avremo quella “grande risorsa” e quegli “ambasciatori dell’italianità” di cui si vantano a sproposito i politici italiani nei loro discorsi retorici.
 
L’unica vergogna del paese rimane, come sempre, la politica dei partiti, insieme alle loro assurde e anacronostiche ideologie. Pertanto, uno dei principali compiti dei candidati nel mondo dovrebbe essere quello di impegnarsi affinché lo Stato, fuori da qualsiasi considerazione clientelare o ideologica, affidi alle formazioni sociali all’estero il potere di svolgere attività di interesse generale, promuovendo, stimolando e incentivando le loro autonome iniziative, il loro dinamismo virtuoso.
 
Sul piano finanziario, sarebbe opportuno valutare una corretta razionalizzazione delle spese, anziché lamentarsi soltanto dei tagli ai bilanci dei Consolati. Le poche risorse finanziarie disponibili dovrebbero essere utilizzate per rendere più operative le realtà organizzative in loco, quelle che per decenni hanno dato prova di efficienza e serietà (come i Patronati e le organizzazioni cattoliche), anziché per stipendiare i costosi funzionari ministeriali delle istituzioni all’estero.
 
I finanziamenti statali aggiuntivi dovrebbero invece essere erogati per l’istruzione, la ricerca e la cultura all’estero, sotto forma di investimenti (anziché sotto la voce dei costi). Occorre investire sul capitale umano e premiare i meritevoli. Questa è l’ultima vera speranza rimasta al paese. Lo scopo primario dello Stato dovrebbe essere quello di valorizzare la persona come protagonista della vita sociale, sostenendo le iniziative, le esperienze e le opere più costruttive, affinché il cittadino possa esprimere ciò che sà fare meglio, e possa essere utile anche all’Italia e non solo al paese di residenza.
 
Nelle parole di De Gasperi, lo Stato deve “aiutare a fare”, ossia deve valorizzare le iniziative del cittadino indirizzate ad una utilità sociale, qualsiasi essa sia, senza intervenire d’autorità e senza ostacolarle.
 
Nel commercio internazionale, lo Stato deve premiare i migliori, e al tempo stesso combattere l’inefficienza. Deve valorizzare la genialità creativa dei singoli e delle aziende italiane che hanno creato il marchio Made in Italy, con le proprie forze, senza alcun contributo da parte dello Stato, e al tempo stesso interrogarsi sul motivo per cui centinaia di millioni di dollari all’anno sono buttati al vento nella presunzione di saper promuovere i prodotti meglio del privato.
 
Lo Stato deve promuovere, incentivare e, quando necessario, finanziare le iniziative private di promozione della lingua e della cultura italiana all’estero. Gli Istituti di Cultura dovrebbero invece svolgere funzioni di controllo e coordinamento delle numerose iniziative realizzate dalle formazioni sociali già presenti e operanti nella società civile, tenendo sempre in mente che la promozione della lingua italiana si fà sui banchi di scuola e non nei convegni di pura retorica; che la promozione della cultura deve avere come destinatari la società civile nel suo insieme e non una piccola elite di amici.
 
In altre parole, il compito degli eletti dovrà essere quello di valorizzare le comunità territoriali all’estero e le realtà vive dell’emigrazione italiana, siano essi i Patronati, le parrocchie e le associazioni di antica emigrazione, o siano essi i ricercatori universitari e le associazioni di giovani professionisti di recente emigrazione. Riprendiamoci il patrimonio del passato e proiettiamolo verso il futuro.
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Il principio di sussidiarietà è un fondamentale principio di libertà e democrazia che afferma il primato della persona rispetto alla società e della società rispetto allo Stato. Il principio prevede che ogni decisione attinente l’interesse generale debba essere presa al livello più vicino al cittadino. La sussidiarietà così intesa si esprime nella valorizzazione del singolo, delle sue potenzialità e nella sua educazione alla libertà e alla responsabilità. La sussidiarietà è l’affermazione di un diritto naturale dell’uomo.
 
Alberto Quartaroli, New York /Italia Estera



 
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