DOPO NOVE MESI DI ATTESA, PROMESSE E SMENTITE
Il ministro che sapeva come piacere a Silvio
Già deputato di Forza Italia nel `96 ha diretto il Comitato sui Servizi segreti. Perse la guida degli Interni in un testa a testa con Scajola
ROMA «Silvio, non è il posto per me. Alla Farnesina metti Franco piuttosto, sarà come se ci stessi io». Gianni Letta è uno dei pochissimi, a palazzo Chigi, che può dire dei no al presidente del Consiglio. Ma, come consiglia spesso di fare all´opposizione, non dimentica mai di accompagnare il no con una proposta «in positivo». E a questa saggia regola si attenne anche quando, un anno fa settimana più settimana meno, Berlusconi gli sottopose la sua idea di sostituire con un blitz Renato Ruggiero che aveva appena dato le dimissioni. Cominciavano così i nove mesi di passione dell´uomo che da ieri è il ministro degli Esteri più giovane della storia della Repubblica. Un parto travagliatissimo, bagnato dalle continue docce scozzesi alle quali lo ha sottoposto il premier: «La Farnesina? Prestissimo avrete il nome... No, non ci sono le condizioni politiche... E´ questione di giorni, entro la fine dell´estate... Ma perché poi? Mi diverto tanto con i miei amici Bush e Putin...». Nove mesi nei quali un momento di debolezza, a Franco Frattini, ha fatto rischiare di perdere tutto. Perché il nuovo ministro ha, non a torto, un´alta concezione di sé. E a volte cede al piacere di vederla rispecchiata negli occhi degli altri. Così gli può capitare di sussurrare a un giornalista: «Io il vero delfino di Berlusconi? Beh, è innegabile, può scriverlo, ma mi raccomando: non le ho detto niente...». O, negando di appartenere alla Massoneria, di consegnare a un altro cronista il suo stupore: «Sa qual è la cosa più curiosa? Che non ho mai ricevuto proposte di iscrizione...». Fatto sta che quando tra la primavera e l´inizio dell´estate, abbandonando la consueta cautela, Frattini cominciò a dire che Silvio per la Farnesina aveva deciso, per un attimo la certezza del Cavaliere vacillò. Fu solo un attimo. Perché davvero, a parte qualche strano passatempo (come indire premi e concorsi: ultimo della serie quello per chi progetta l´ufficio ideale), i punti deboli del ministro sono pochi. E le doti tante. Berlusconi, fra il serio e il faceto ne ha indicate due: «Perché lo voglio agli Esteri? Perché è bello e perché nessuno si sa muovere come lui tra emendamenti, commi e sottocommi. E quanto questo sia utile nei vertici europei l´ho imparato in questi mesi». Frattini è aitante, maestro di sci, appassionato di roccia e immersioni subacquee, veste con eleganza. Che sia bello, è questione di gusti. Che sappia ciò di cui parla no. La capacità e la competenza lo hanno portato, appena svestito l´eskimo che indossava al liceo romano Giulio Cesare, quando militava al Manifesto e adorava Guccini e il flauto di Ian Anderson, a una carriera folgorante. Consigliere di Stato a ventinove anni, vicesegretario generale di Palazzo Chigi con Ciampi e Manzella a trentasei, nominato segretario generale da Berlusconi un anno dopo, passano otto mesi ed è ministro della Funzione pubblica con Dini, deputato di Forza Italia nel `96 e subito presidente del Comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti, di nuovo ministro con il secondo governo del Cavaliere dopo aver perso gli Interni in un lungo testa a testa con Scajola. Ma la competenza non è tutto. Frattini ha intuito. E´ stato fra i primi a capire l´importanza del federalismo e a suggerire, fin dal `97, la ripresa dei rapporti con la Lega. Il che spiega gli applausi del Carroccio alla sua nomina. E´ un combattente: quando uno storico fuori onda di «Striscia la notizia» lo pizzicò mentre confidava che Dini, l´uomo che lo aveva fatto ministro, era «politicamente morto», lui ingaggiò una battaglia di fronte all´Authority per la privacy fino alla vittoria. Non ha mai rinnegato il suo passato di «area» socialista, quel passato che oggi fa temere a qualche diplomatico il grande ritorno della «corrente De Michelis» alla Farnesina. E´ un moderato e un mediatore, ma sa scegliere. Come dimostra il passo che fece nel `96 e al quale deve la sua fortuna: unico nella squadra di Dini, decise di schierarsi con il centrodestra. Soprattutto, di Frattini Berlusconi si può fidare. La sua fedeltà al Cavaliere è al di sopra di ogni sospetto. Tale da fargli sostenere, di fronte alla legge che impone al sindaco di New York di cedere parte delle sue azioni, che quella italiana sul conflitto di interessi del premier è molto più stringente e «cattiva». Tale da tramutarsi a volte in filiale dedizione, come quando raccomanda ai deputati azzurri: «Lasciate stare Silvio, non lo disturbate mentre si occupa delle cose che gli stanno più a cuore...». Tale da fargli ritenere che Berlusconi «è un grande», che nessuno può aspirare ad essere il suo erede. Con un´unica eccezione, forse. A chi si riferisca, immaginatelo voi.