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09 feb 2006Voto all’estero e politica migratoria di Padre Graziano Tassello

ROMA, 9 feb. (Italia Estera) -  Padre Graziano Tassello (qui nella foto colloquia col Ministro Tremaglia) lavora al CSERPE  di Basilea ed è autorevole  Presidente della Commissione Scuola e Cultura del CGIE. Ha pubblicato sul Corriere degli Italiani un suo intervento sul  Voto all’estero e la  politica migratoria che ben  volentieri riproponiamo ai nostri lettori:
Alcune settimane fa il presidente dell’UNAIE, Mimmo Azzia, aveva ribadito che per la Circoscrizione Estero occorrevano “persone che abbiano statura morale ed amore per le comunità e che sappiano dire con chiarezza i loro programmi perché è forte il pericolo che i candidati vengano scelti dall’alto, cioè da fuori delle comunità. Con candidati di facciata si vanificherebbe tutto e si tornerebbe indietro. Solo una buona scelta che parta dalla base può dare le garanzie che a Roma arrivi la voce vera degli italiani all’estero”. Un invito che le segreterie dei partiti hanno preferito glissare, smorzando legittime richieste della base ed imponendo candidati di sicura fede partitica.
C’è solo da sperare che l’elettore, obbligato a scegliere tra nomi imposti dall’alto - chissà perché in emigrazione non si sono svolte le primarie - valuti attentamente le qualità dei candidati: capacità di autonomia intellettuale, una storia di vita dedita al servizio (non all’utilizzo o allo sfruttamento) della comunità, capacità di dialogo e di mediazione con tutte le forze vive operanti in emigrazione, senza esclusioni ideologiche. Da troppo tempo l’emigrazione ha dovuto assistere da parte degli addetti ai lavori a scomuniche vicendevoli e ad una strategia migratoria che si accontentata di erigere sempre nuovi muri. La capacità di dialogo non si dimostra solo attraverso i colloqui con le segreterie di partito, ma con il costante riferimento agli elettori per portare all’attenzione di tutti le aspettative e le esigenze della base. Il mondo dell’associazionismo, i Comites, il CGIE possono così puntare su un rinnovamento interno, divenendo interlocutori privilegiati per garantire la specificità delle comunità emigrate. La capacità di mediazione sfocia naturalmente in uno stile bipartisan quando si tratta di questioni vitali per l’emigrazione. Come già scritto in precedenza, all’emigrazione non servono parlamentari generici, portaborse di partito o mere mani votanti, ma persone che hanno a cuore l’interesse della comunità e sappiano gestire con creatività questo nuovo ruolo.
Nella stragrande maggioranza dei casi, i candidati per la Circoscrizione Estero non hanno mai frequentato scuole di partito o scuole di formazione politica per cui parlare di principi guida può apparire pretestuoso. Parecchi hanno fatto la gavetta nei Comites o nel CGIE oppure sono stati presidenti di associazioni e di clubs. Non sempre, però, si può affermare che i Comites e il CGIE abbiano brillato per la difesa dei principi: più di una volta si è preferita la guerra tribale basata su criteri irrazionali.
Purtroppo in Italia parlare di principi per i candidati e di una politica migratoria basata su alcuni valori-guida fondamentali significa avviare una polemica che risulta, all’estero, incomprensibile. Nei giorni scorsi Gianni Gennari su “Avvenire” commentava che se in Germania tutti si recano al cinema per ascoltare il silenzio dei monaci certosini nessuno si scandalizza, in Italia invece parlare della transumanza della Sinistra da Enrico Berlinguer a Marco Pannella è tabù e si viene tacciati di oscurantismo. In un clima di democrazia debole con un Centrodestra liberaloide e consumista, incapace di solidarietà e giustizia sociale  e un Centrosinistra radicaloide in rotta frontale con la visione cristiana su vita nascente e terminale, famiglia, fondamenti dell’etica e rapporti religione-scienza diventa urgente discutere di valori per introdurre una strategia nuova che fa del rispetto dei diritti in emigrazione un suo dogma. Senza valori, non si può pretendere di ridare dignità al cittadino all’estero e restituirgli la visibilità perduta. Senza principi fondanti è inutile parlare di solidarietà, nuove generazioni, partecipazione. Saranno capaci i candidati ad esprimere quella parte sana dell’emigrazione che ha saputo praticare la solidarietà, ha lottato per la famiglia, si è impegnata a proteggere la sua originalità culturale in un mondo che tende alla assimilazione e alla omologazione culturale?
Una politica migratoria si basa sulla concezione che uno ha del migrante. Per tanti l’emigrato costituisce solamente una mera appendice folklorica. In questi anni tanti politici hanno ribadito che è una risorsa in quanto fruitore di prodotti italiani. Per alcuni è solo uno sbocco per gesti di beneficenza; per altri una categoria che permette viaggi favolosi in terre assai lontane. Recentemente è anche divenuto personaggio televisivo o di telenovelas con abbondanti risultati di cassetta. Raramente lo si considera un portatore di valori e di una cultura sviluppatasi in emigrazione e che recherebbe grande giovamento all’Italia. Gli stereotipi sponsorizzati dai maggiori quotidiani italiani rappresentano bene il sentire comune.
Se l’emigrato è portatore di diritti, una sana politica migratoria favorirà la partecipazione a tutti i livelli. Riforme sostanziali dei Comites e del CGIE devono significare permettere a questi strumenti partecipativi di operare.
Un altro obiettivo urgente è l’armonizzazione della normativa nazionale con quella regionale e locale per evitare palesi discriminazioni e perdita di incisività.
Se l’emigrazione è realtà viva, occorre dedicarsi al ricupero della memoria. L’insegnamento e l’approfondimento della storia dell’emigrazione non sono hobbies di alcuni patiti ma strumenti preziosi perché una nazione impari a gestire una società sempre più interculturale.
Una politica migratoria autentica comporta un confronto serrato con le giovani generazioni. Uno dei primi impegni della nuova legislatura sarà l’organizzazione di un convegno mondiale dei giovani.
La solidarietà rimane uno dei punti irrinunciabili di ogni governo. Presume un monitoraggio costante ed oggettivo dei coni d’ombra e l’utilizzo di forze in loco, non legate a interessi clientelari, per la soluzione delle varie sfide. Solidarietà non può solo significare la concessione di assegni di solidarietà, ma esige un coordinamento di tutti gli interventi, una rete consolare che garantisca servizi più adeguati, un impegno reale a debellare ogni forma di ingiustizia e di esclusione.
I due settori che richiedono più investimenti e maggiori innovazioni sono la cultura e l’informazione. Accanto ad una legge quadro in cui l’offerta e la diffusione della lingua e cultura da parte dell’Italia - con una rete di iniziative capillari diffuse ovunque e aperte a tutti - si coniughi con la gestione degli Istituti Italiani di Cultura e la programmazione dei grandi eventi culturali (e tutto questo esige la gestione di tutte le iniziative sotto un’unica Direzione generale), occorre anche dare risposte alle nuove esigenze culturali nel contesto di un programma di formazione permanente.
E infine l’informazione, con una normativa che rispetti il pluralismo e non distrugga le piccole testate, spesso le uniche realtà diffuse capillarmente sul territorio. Una legge che valorizzi il giornalismo fatto di volontari e da sempre snobbato dalle centrali italiane.
Siamo coscienti che non esiste il candidato ideale. Ma per svolgere questo ruolo innovativo, per rimettere al centro la politica migratoria e non considerarla un soggetto in via di estinzione, occorrono uomini e donne competenti e coraggiosi, che sappiano inventare futuro favorendo spazi di creatività in cui la politica migratoria non significhi la difesa di un nazionalismo esasperato, ma la nascita di un mondo al plurale in cui il rispetto della diversità come ricchezza diventa un tratto fondamentale e il patrimonio acquisito all’estero un dono da condividere. Allora sapremo muoverci entro i confini di un condiviso spazio di valori e potrà verificarsi uno scambio paritario tra italiani rimasti in patria e italiani che vivono all’estero. Vale per tutti l’invito del presidente Ciampi: “Siamo chiamati ad essere una comunità di destini i cui membri hanno operato l’irrevocabile scelta di rimuovere le contrapposizioni e di lavorare insieme per il raggiungimento di finalità comuni”. Dal saluto del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ai partecipanti al colloquio "Dall'eredità alla condivisione: cultura, religione e società nella nuova Europa", 20 giugno 2005.
Graziano Tassello-Corriere degli Italiani/Italia Estera



 
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