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04 feb 2006LA POLITICA NON FA BENE AD HOLLYWOOD di Roberto Pucci

HOUSTON, Tx - (Italia Estera) - E’ ormai fin troppo chiaro ed evidente che l’impegno socio-politico di Hollywood ha prodotto conseguenze devastanti per i profitti ricavati ogni anno in America dalla vendita dei biglietti dei cinematografi. Il botteghino piange e la fabbrica dei sogni con il suo mondo rutilante e da carta patinata stenta a trovare un aggancio piu’ solido con gli spettatori che in numero considerevole hanno dimostrato di non essere in sintonia coll’offerta dall’industria cinematografica americana preferendo quella della televisione e di internet. Cartina di tornasole per la prova di questo distacco la grande sagra del cinema americano dell’Academy Awards, giunta ormai alla sua settantottesima edizione e che vede quest’anno in gara per le nomination e per la conseguente assegnazione degli Oscar film dibattutissimi che dividono l’opinione pubblica e sconcertano e c’e’ ancora da aspettarsi che non riusciranno a portare nelle sale cinematografiche americane tutta la gente che forse si vorrebbe interessare. Gli ambienti conservatori non hanno dubbi in proposito. Secondo questi si sta assistendo al tentativo di Hollywood di fare politica coi film, di manipolare gli Americani per far accettare loro realta’ e principi morali una volta inaccettabili. Esempio indiscutibile di cio’ si puo’ trovare nel film “Brokeback Mountain” basato sulla relazione fra due cowboy gay che ha ricevuto gia’ ben otto nomination. Nonostante alcuni ribattano che questo film plurinominato non e’ solo un film gay c’e’ chi come Steven Spillberg non ha esitazione ad affermare che i film come questo spuntano fuori come reazione al neoconservatorismo e che in effetti, per un’ironia del destino, Bush ha fatto un gran bene all’industria cinematografica. A questa ironica costatazione del grande regista si potrebbe forse anche aggiungere che, in questo caso, il presidente il bene che ha fatto e’ probabile che lo abbia fatto involontariamente e senza rendersene conto. Una cosa pero’ e’ certa: quando in America i Repubblicani sono al potere sorgono puntualmente film dissacratori e di protesta perche’ scrittori, registi ed attori liberal si divertono un mondo ad attaccare il potere.
Anche fra i democratici c’e’, comunque, chi tenta di minimizzare questo impegno politico di Hollywood fornendo un’ interpretazione piu’ sfumata con la quale s’evidenzia piuttosto l’impegno culturale dei nuovi film. Per questi opere anche se sconcertanti come Brokeback Mountain devono essere presentate ugualmente perche’ hanno una ricaduta positiva per il dialogo culturale che aprono con gli spettatori. A riprova di cio’ si fa notare che la lista dei film in gara quest’anno e’ composta da pellicole che trattano non solo di omosessualita’ ma anche di terrorismo, di razzismo, della semplice sessualita’, del giornalismo e della liberta’ di stampa e quindi, al contrario dei film e serial da cassetta, fanno riflettere in quanto lanciano un messaggio ben preciso ed importante.
Resta pero’ il fatto che le cifre non sono incoraggianti. Quella di quest’anno e’ la piu’ grande caduta d’incassi che si sia mai registrata in venti anni. L’ottanta percento della gente non e’ andata a vedere i film in gara. Gia’ lo scorso anno si verifico’ una diminuzione di ben quindici milioni nel numero degli spettatori e bisogna andare a ritroso fino all’anno in cui era in corsa Titanic per riscontrare la cifra record di cinquantacinque milioni.
Questo scollamento tra i film impegnati scelti per gli Academy Awards da Hollywood e l’audience che non li gradisce e non va a vederli mostra secondo l’area conservatrice che nella capitale americana del cinema c’e’ una sorta di “Polit Buro” con una sua pianificazione artistica centralizzata che sta portando avanti un certo tipo di propaganda politica liberal ed al quale importa poco se cio’ che si produce piaccia veramente all’americano medio.
I conservatori all’affermazione che i film sono creati per istaurare un dialogo ribattono facendo notare che affinche’ ci sia un dialogo e non un monologo occorre anche che ci siano gli  spettatori nella sala cinematografica con cui dialogare e che quindi alla lunga i film impegnati e politicizzati hanno un ritorno fallimentare.
Diceva ancora qualcuno con idee piuttosto rigide e conservatrici che forse “la cosa migliore da fare con le arti e’ bandirle” e cio’, evidentemente, in una democrazia come gli Stati Uniti non e’ possibile farlo ma al momento in cui dei genitori, recandosi al mall per gli acquisti, decidono d’andare al cinema coi figlioletti che hanno con se’ e si trovano davanti ad un film gay come “Brokeback Mountain” che chiaramente non possono entrare a vedere non ci si deve meravigliare se poi alla chiusura serale dei conti le cifre presenti nella cassetta del botteghino non siano affatto cospicue ed incoraggianti.
 
           (RO PUCCI – HOUSTON, TEXAS/Italia Estera)
 
 



 
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