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Il voto degli Italiani all'Estero

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Italiani d'Argentina
  
26 gen 2006Chi ha paura del lupo cattivo? (parte seconda) di Silvana Mangione

NEW YORK, 26 GENN.- (Italia Estera) - Le nostre mamme c’insegnavano a non buttare via i bambini con l’acqua sporca del bagnetto. Cerchiamo quindi di capire come il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero deve modificarsi in conseguenza dell’elezione del manipolo di rappresentanti degli italiani fuori d’Italia a Camera e Senato. Il CGIE sarà per loro un organismo insostituibile di approfondimento e riconduzione ad unità delle istanze delle comunità italiane in oltre cinquanta paesi, sparsi in sei continenti e subcontinenti. Non c’è verso, infatti, che i dodici più sei “magnifici eligendi” possano dialogare direttamente ogni giorno, su ciascun singolo tema, con centoventisei Comitati degli Italiani all’Estero – molti dei quali, ne siamo al corrente, sono fra l’altro paralizzati da lotte intestine di potere – e sapere tutto quello che succede a livello delle legislazioni di tutti i paesi in cui sono presenti gli italiani e di tutte le circoscrizioni consolari, comprese quelle in cui il numero dei residenti detentori di cittadinanza non raggiunge la soglia necessaria per eleggere un Com.It.Es.. I diciotto parlamentari eletti non saranno materialmente nelle condizioni di mantenere un collegamento vero e profondo con realtà sparse in tutto il mondo, costituite da almeno quattro milioni di cittadini e da – si dice – almeno sessanta milioni di oriundi. È bene rilevare che i parlamentari degli italiani all’estero avranno il dovere di occuparsi di tutte le questioni che riguardano la Repubblica italiana, non soltanto l’Italia che vive fuori dai confini dello stivale. È ovvio dunque che il CGIE deve cambiare, per poter meglio assistere i parlamentari dell’estero, raccogliendo e portando a sintesi le proposte, le richieste e i suggerimenti delle comunità, filtrati dai Com.It.Es. – laddove essi sono stati costituiti – e dalle associazioni laddove i Com.It.Es. non sono insediati. È altrettanto ovvio che i Com.It.Es. devono essere messi in condizione di funzionare davvero, ma devono anche assumersi la responsabilità di svolgere il lavoro loro affidato, di avvalersi delle facoltà ed espletare i compiti loro attribuiti. Guardiamoci in faccia: siamo proprio sicuri che tutti i Com.It.Es. del mondo abbiano funzionato tanto bene quanto alcuni che fanno onore a se stessi ed alla comunità che li ha espressi? Siamo proprio sicuri che tutti i membri di tutti i Com.It.Es. del mondo abbiano fatto soltanto il proprio lavoro e non abbiano invece tentato di sostituirsi ai Consoli o al direttore dell’ICE o ad altri esponenti diretti delle istituzioni italiane? Siamo proprio sicuri che non abbiano cercato di soppiantare il presidente della Camera di Commercio o della società di ... o dell’ente gestore di... o del patronato di... o del...? Potrei continuare all’infinito, ma chi si occupa di emigrazione sa bene di che cosa sto parlando. I Com.It.Es. sono il primo e fondamentale livello di rappresentanza degli italiani all’estero nelle rispettive circoscrizioni consolari. Potenziamoli, rendiamoli più efficienti ed efficaci, diamo loro i finanziamenti necessari a farli operare in serenità, alla luce di una legge istitutiva che va anch’essa rivista per precisarne i poteri e – ancor di più i doveri, spesso disattesi.
Per quanto riguarda il secondo livello di rappresentanza facciamo invece alcuni esempi di organismi, già esistenti nella legislazione italiana, su cui si potrebbe modellare il futuro CGIE. Il fatto che economisti ed esperti del settore siano stati eletti al Parlamento non ha causato la cancellazione del CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Il fatto che avvocati, giuristi ed amministrativisti siano stati eletti al Parlamento non ha condannato a morte il Consiglio di Stato. Ambedue tali Consigli sono organi ausiliari del Governo, organi di consulenza, i cui compiti sono previsti dalla Costituzione.
Ecco dunque la prima proposta, fatta quando già esistevano i Com.It.Es., addirittura nel 1988, alla II Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, da Giulio Andreotti, allora Ministro degli Esteri: «Al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero spetterà di garantire un dialogo continuo con il Governo e il Parlamento... Il Consiglio ci consentirà di verificare periodicamente l’assolvimento degli impegni assunti e di avanzare proposte aggiornate... Possiamo anche chiederci se, in un secondo tempo, non sarà il caso di dare a tale organo una dignità costituzionale: penso al riguardo al modello del CNEL... Mi sembra, comunque, utile che i nostri lavori approfondiscano questa idea, il cui accoglimento rappresenterebbe un modo quanto mai significativo per sottolineare la piena appartenenza delle comunità esterne alla comunità nazionale».
Il secondo momento di cui parlava Andreotti è arrivato: il primo nodo da sciogliere nel disegnare la riforma del CGIE è quello sulla sua natura. Un CGIE, organo ausiliario del Governo e del Parlamento, diventa l’unico strumento che può consentire ai parlamentari dell’estero di espletare al meglio i doveri del proprio incarico avendo il polso costante, unitario e non frammentato, delle esigenze delle comunità. Compiti e funzioni dovranno essere quelli dell’organo ausiliario, ricalcati su quelli previsti dalla Costituzione per gli altri organi ausiliari, con i dovuti aggiustamenti per adeguarli alle domande di un universo sfaccettato e ricco di diversità quale quello degli italiani all’estero.
Da compiti e funzioni discenderà la composizione del CGIE, nella quale ovviamente dovrà essere dato ampio spazio alla presenza delle Regioni, finora relegate al ruolo di esperti. Il limitare la composizione del CGIE agli eletti all’estero significherebbe perdere il tesoro di esperienza e di poteri di intervento di enti e istituzioni che si occupano di emigrazione. I parlamentari dell’estero dovranno legiferare a livello nazionale, ma gran parte dei poteri di intervento in materia di emigrazione è passata alle Regioni. E allora? Come farebbero centoventisei Com.It.Es. a dialogare quotidianamente con venti Regioni? Dobbiamo insistere, anche, che nel CGIE siano presenti stranieri di origine italiana, visto che al Parlamento gli stranieri di origine italiana, non in possesso di cittadinanza, non possono votare né essere eletti. E noi, in particolare nelle Americhe, siamo coscienti che la stragrande maggioranza delle nostre comunità è composta di stranieri di origine italiana.
Quanto al funzionamento, esso potrà essere ricalibrato alla luce dei ritrovati tecnologici che consentono incontri a distanza mediante le video conferenze.  
Le commissioni continentali – tanto vituperate in particolare da chi vi ha sempre partecipato, magari arrivando due giorni prima e partendo due giorni dopo – da tre, quali sono ora (Europa e Africa del Nord; America Latina e Paesi Anglofoni extraeuropei) devono diventare quattro come le ripartizioni elettorali per il voto degli italiani all’estero, rispettando la malaugurata divisione del mondo in quattro cantoni, non necessariamente omogenei:
1.     Europa, compresi i territori asiatici della Federazione Russa e della Turchia;
2.     America meridionale;
3.     America settentrionale e centrale;
4.     Africa, Asia, Oceania e Antartide.
In particolare la ripartizione Nord America e America Centrale unisce paesi di lingua e cultura anglosassone a paesi di lingua e cultura ispanica, in un letto di Procuste che non tiene alcun conto delle diverse realtà economiche e sociali dei vicini di casa. Proprio per questo è non solo utile, ma anche assolutamente necessario che continuino ad esistere le consultazioni periodiche degli esponenti democraticamente eletti delle comunità, che poi esse avvengano con la loro presenza fisica o mediante quella elettronica non fa alcuna differenza, purché le rappresentanze di base – i Com.It.Es. – comincino a produrre documenti di esame delle loro rispettive realtà e di proposta di soluzioni, come soltanto pochi di essi già fanno.
Facciamola, serenamente questa discussione, senza i facili populismi di chi, avendo visto il contributo ai Com.It.Es. crescere nel totale, per merito dell’azione di vigilanza del CGIE, adesso vorrebbe tagliare i fondi al CGIE, che sono rimasti invece invariati negli ultimi anni. Bisognerebbe informarsi sul fatto che i finanziamenti ai singoli Com.It.Es., nonostante l’aumento del totale, sono diminuiti nel particolare, perché sono stati eletti molti nuovi Com.It.Es., fra cui due negli Stati Uniti. Sarebbe bene rendersi conto che se il finanziamento al CGIE fosse eliminato, esso non andrebbe ai Com.It.Es. e dirlo significa raccontarsi una bella bugia bianca. È stato proprio il CGIE a decidere di rinunciare ad una parte del proprio finanziamento, nel 2004, affinché potessero svolgersi le elezioni, appunto dei nuovi Com.It.Es. il cui costo superava di molto le allocazioni della legge di bilancio.  
Facciamola, serenamente, questa discussione, senza i facili populismi di chi, che abbia fatto parte o no del CGIE, non ha mai investito il tempo necessario a scoprire l’enorme mole di lavoro svolta dal Consiglio Generale nei suoi tre mandati. Se lo avesse fatto avrebbe compreso che molte cose che dà per scontate nell’esistenza stessa e nella gestione del Com.It.Es., nella rappresentanza parlamentare e nella promozione di lingua e cultura, nelle battaglie per la protezione delle pensioni e per ottenere un supporto serio ai mass media e una vera par condicio della stampa all’estero sono dovute, insieme a molte altre, proprio alla presenza continua e costante del CGIE e ai suoi contributi di elaborazione, di proposta, di progettualità, di analisi offerti all’attenzione della politica e del Parlamento italiani.
                           Silvana Mangione  
   



 
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