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20 gen 2006Chi ha paura del lupo cattivo? di Silvana Mangione

NEW YORK, 20 GENN- (Italia Estera) - Nelle situazioni delicate, nelle quali non si comprende la ragionevolezza delle condizioni che sono venute a crearsi, i latini si chiedevano: «Cui prodest?», vale a dire: «A chi porta giovamento?». Questa è la domanda che viene spontaneo porsi di fronte a quanto è avvenuto al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, di fatto paralizzato da quando è stata resa nota, all’inizio di gennaio di quest’anno, la sentenza del TAR del Lazio, che annulla il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di nomina dei ventinove Consiglieri di nomina governativa.
Facciamo un passo indietro. Come sappiamo, il CGIE è composto di novantaquattro Consiglieri, sessantacinque eletti all’estero e ventinove – appunto – di nomina governativa, in rappresentanza di: Associazioni Nazionali dell’Emigrazione (dieci); partiti che hanno rappresentanza parlamentare (sette); Confederazioni sindacali e Patronati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale e che siano rappresentati nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (nove); Federazione Nazionale della Stampa (uno); Federazione Unitaria della Stampa Italiana all’Estero (uno); organizzazione più rappresentativa dei lavoratori frontalieri (uno). Per chi non ha familiarità col termine frontalieri, è bene chiarire che si tratta dei lavoratori che risiedono in Italia, ma tutte le mattine attraversano la frontiera per andare a lavorare in un paese confinante e tutte le sere la riattraversano per tornare a casa.
Il procedimento di nomina è lungo e macchinoso. Il Ministro degli Esteri invita, con lettera raccomandata, nei venti giorni che precedono lo svolgimento delle assemblee elettorali, gli enti interessati a proporre, entro un termine di trenta giorni dalla ricezione della richiesta, le designazioni di loro competenza. Nei successivi trenta giorni il Presidente del Consiglio nomina i ventinove Consiglieri con un decreto cumulativo. Per evitare che le nomine vengano fatte – per così dire – a piacere, la legge istitutiva del CGIE ha precisato alcuni criteri generali, in particolare quelli che riguardano proprio i rappresentanti delle confederazioni sindacali e dei patronati. Come ben sappiamo, anche negli Stati Uniti sono moltissimi i sindacati, legati o meno all’AFL – CIO – a Organizzazioni sindacali internazionali, a Organizzazioni locali. Vi sono sindacati autonomi, sindacati spontanei, relativi ad una sola impresa e così via. Il quadro italiano, che ha antica e nobile tradizione, è in parte simile a quello americano. Ecco dunque che, nel 1998, il legislatore – su suggerimento dello stesso CGIE e dei rappresentanti sindacali e di patronato, che facevano allora parte del CGIE – nella modifica alla legge istitutiva del Consiglio ha fissato paletti precisi per la nomina dei nove Consiglieri espressi da sindacati e patronati. È ovvio che devono essere garantiti pluralismo e rappresentatività.
È interessante notare che i termini per la richiesta delle designazioni precedono le assemblee elettorali in cui Com.It.Es. e mondo associativo locale eleggono i Consiglieri «esteri», ma le designazioni e la nomina formale sono successive allo svolgimento delle assemblee. Chi volesse pensare male – e fare peccato – potrebbe dire che in questo modo chi è al governo ha l’agio di riequilibrare un eventuale risultato delle votazioni che sia andato in senso contrario alla maggioranza in carica. Lungi da noi il sostenere una tale tesi, perché non vogliamo commettere peccato. O sì?
Sia quel che sia, le assemblee elettorali si tennero il 27 giugno 2004, il Decreto del Presidente del Consiglio fu firmato il 15 luglio, il CGIE si insediò il 26 luglio. Il resto dovrebbe essere storia. Non è così. Il 5 agosto 2004 la CNA – Confederazione Nazionale Artigianato e Piccola Impresa e l’EPASA – Ente Patronato Assistenza Sociale, fanno ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio chiedendo l’annullamento del decreto di nomina, adducendo la violazione della legge istitutiva del CGIE, l’eccesso di potere sotto vari profili, la violazione del principio pluralistico e in subordine, altre eccezioni.
CNA ed EPASA hanno anche chiesto la previa sospensione del decreto, che non è stata accordata o non ci troveremmo in questo limbo. Pertanto il CGIE si è insediato ufficialmente, ha funzionato regolarmente per un anno e mezzo, lavorando sodo e dimostrando crescente maturità politica, riuscendo perfino, molto spesso, a raggiungere «una sofferta unitarietà» in parecchie materie di grave importanza per le nostre comunità. Finalmente il TAR, nella camera di consiglio del 26 ottobre 2005, ha accolto il ricorso, annullando il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e lo strumento della sentenza è stato pubblicato il 13 dicembre dell’anno scorso. La sentenza non è stata ufficialmente comunicata al CGIE, che ne ha avuto notizia dalle agenzie di stampa dell’emigrazione quasi un mese dopo. Poiché il decreto di nomina è cumulativo sono decaduti tutti e ventinove i rappresentanti in esso indicati.
E sono cominciate le interpretazioni della sentenza stessa, quanto più estensive, tanto più paralizzanti dei lavori del CGIE, che mai come in questo momento ha bisogno di essere presente a Roma, per monitorare l’assoluta imparzialità di tutti gli aspetti della prima campagna elettorale degli italiani all’estero: informazione, par condicio, pubblicità degli adempimenti, rapporti con gli Stati esteri interessati, condizioni delle anagrafi, divisione dei dodici (alla Camera dei Deputati) più sei (al Senato) seggi nelle quattro ripartizioni continentali, in base agli ultimi dati dell’AIRE e mille altri dettagli, a garanzia della trasparenza e correttezza delle elezioni. La materia è delicatissima e tutto vogliono gli italiani all’estero, tranne che si possano impugnare le prime consultazioni politiche che consentiranno una loro rappresentanza diretta.
Il Segretario generale del CGIE si è appellato al Presidente del Consiglio. Il Governo ha presentato ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza, chiedendo la sospensiva del provvedimento in attesa del verdetto definitivo, soluzione chiesta anche dal CGIE. Le interpretazioni estensive e paralizzanti hanno avuto come conseguenza la cancellazione della riunione straordinaria – e utilissima – della Commissione Informazione, fissata a metà di gennaio, e l’assemblea plenaria prevista per la prima settimana di febbraio.
Le interpretazioni estensive e paralizzanti affermano che gli organi del CGIE sono decaduti. Inutile cercare di dire che la sentenza parla di annullamento del decreto, e che la richiesta di annullamento parla di atti «preordinati e connessi» al decreto stesso, quindi dell’istruttoria delle nomine, di cui la sentenza cita tutti i particolari che secondo il TAR non si sono conformati a lettera e spirito della legge. Il TAR non si indirizza mai – annullandole – alle decisioni assunte dal CGIE che aveva la legittima certezza di agire nella piena legalità. In nessun punto la sentenza afferma che il CGIE – di fatto – non esiste più. Sto ovviamente semplificando. La chiave sta nello stabilire, con il conforto dei giuristi discuteranno se gli effetti della sentenza devono ritenersi validi «ex tunc», vale a dire retroattivamente, dal momento in cui è stato emesso il decreto, oppure «ex nunc», cioè dal momento in cui la sentenza è stata emessa. In questo secondo caso, poiché i sessantacinque eletti del CGIE costituiscono maggioranza e quorum, che consentirebbe al Consiglio di continuare a funzionare, il CGIE potrebbe (dovrebbe?) essere convocato.
C’è un’altra questione aperta e questa mette in pericolo un alto funzionario dello Stato. Il legislatore, infatti, non accettò la nostra richiesta che il CGIE gestisse direttamente i propri finanziamenti, previsti invece in un apposito capitolo di spesa del Ministero degli Affari Esteri, affidato al «funzionario delegato», un funzionario della carriera diplomatica di qualifica non inferiore a consigliere d’ambasciata, cui è affidata la segreteria del Consiglio. Il funzionario delegato è responsabile «in solido» delle spese effettuate durante la sua conduzione. Il Comitato di Presidenza ha soltanto il potere di indicare le priorità. Nessuno di noi può mettere in pericolo la vita e la carriera di un dipendente dello Stato, che si troverebbe costretto a rimborsare con i suoi beni personali tutto quanto venisse speso «contra legem». Il funzionario delegato ha certamente chiesto lumi all’ufficio legale del MAE. È stata scelta la strada più protettiva dell’unica persona che si troverebbe direttamente e finanziariamente esposta.
Forse bisognerebbe accogliere il suggerimento fatto ad un collega da un famoso amministrativista, che preferisce mantenere l’incognito. L’unico organismo la cui composizione è estremamente simile a quella del CGIE è il Consiglio Superiore della Magistratura, eletto per due terzi dai magistrati ordinari e per un terzo nominato dal Parlamento in seduta comune. Ci saranno pure state situazioni nelle quali sono state impugnate anche le nomine del CSM. Come ci si è comportati? Si è paralizzato il CSM o si è continuato a farlo funzionare con la maggioranza dei Consiglieri la cui appartenenza all’organismo non era contestata?
Torno quindi alla domanda iniziale: a chi porta giovamento la paralisi del Consiglio generale degli Italiani all’Estero? Certamente il TAR del Lazio non ha potuto prendere in considerazione la potenziale portata della sua decisione, avvenuta proprio ora, a poco più di due mesi dalle elezioni. Certamente le interpretazioni troppo cautelative delle conseguenze della sentenza hanno giustificazioni accettabili. Ma la questione è squisitamente politica. A chi danno fastidio l’esistenza e il lavoro del CGIE? A chi fa paura il monitoraggio di tutti gli aspetti delle elezioni che il CGIE avrebbe proposto? In parole povere: chi ha paura del lupo cattivo?
                     Silvana Mangione



 
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