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29 dic 2005IL GIORNALE DI VICENZA: PADRE LUCIANO SEGAFREDDO : UN FRANCESCANO NEL MONDO DEI “MEDIA”

Servizio di Paolo Meneghini 
VICENZA - Parlando di famiglie di origine vicentina nel mondo, non potevamo tralasciare quello che molti emigrati e discendenti di emigrati veneti e italiani considerano il loro “padre spirituale”. Non potevamo farlo anche perché lui stesso è e si sente un vicentino (il nonno era di Gallio), seppure da molti anni trapiantato a Padova.
Padre Luciano Segafreddo dirige da un quarto di secolo l’edizione italiana per l’estero del “Messaggero di Sant’Antonio”, il mensile che arriva nelle case di 50 mila famiglie italiane nei cinque continenti.
L’Edizione Italiana per l’Estero nasce negli anni Cinquanta dal solco dell’edizione nazionale in un particolare periodo storico nel quale dal Messaggero si sono staccate numerose “costole” che hanno dato vita ad altrettante testate (le edizioni in lingua inglese, tedesca, francese, spagnola, polacca e rumena, oltre alle riviste “Ciao Amici” e “Messaggero Ragazzi”). Per la lingua portoghese, il Messaggero ha due edizioni che vengono stampate direttamente all’estero: quella per il Portogallo a Coimbra e quella per il Brasile dai confratelli di Santo André nello Stato di San Paolo.
Dopo aver trascorso un periodo a Vicenza presso il Tempio di San Lorenzo, Padre Segafreddo ha diretto per nove anni il Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana, struttura antoniana che fino ad allora era destinata prevalentemente ad orfanotrofio, trasformandola in un’opera educativa e formativa aperta al territorio.
Padre Luciano, dal mondo educativo-sociale a quello editoriale legato all’emigrazione italiana nel mondo: com’è stato il passaggio?
Quando sono stato chiamato all’edizione per l’estero del “Messaggero” conoscevo poco il mondo dell’emigrazione e così, con molta umiltà, ho cominciato ad informarmi, a prendere conoscenza con quella che mi è apparsa subito come una straordinaria realtà. In questo cammino di apprendimento mi sono affidato più alle persone e alle esperienze di vita che non alla freddezza delle cifre offerte dalle statistiche sul fenomeno migratorio italiano. Mi sono affidato a degli amici che avevano vissuto in prima persona l’emigrazione e fra questi mi piace ricordare Aldo Loriggiola per l’Australia, Luciano Chemello, primo Presidente dei Veneti di Chicago, Anna Galvan, Bruno Dal Santo e poi Bepi Giacon, presidente dei Veneti nel cuore della “City” londinese… Poi ho voluto andare a vedere e soprattutto ad ascoltare di persona questi nostri conterranei che vivono all’estero, per capire il loro mondo e riuscire a dialogare con loro attraverso le pagine del nostro mensile. Il primo viaggio è stato in Canada, nei primi anni ’80. Ho trovato tanto calore, straordinarie accoglienze, ma il dato negativo che riscontrai in quella come in altre occasioni era una sorta di staticità dell’associazionismo di stampo tradizionale, privo di aperture culturali e incapace di creare delle idee e delle prospettive per il futuro. Soprattutto una scarsa attenzione verso i giovani, i figli - nati all’estero - dei nostri emigrati. Grazie a queste esperienze dirette ho capito quale doveva essere la linea editoriale per un mensile rivolto agli italiani nel mondo: dare continuità all’italianità che i nostri espatriati avevano trasferito nelle Americhe, in Australia e in molti Paesi europei in modo tale che quell’enorme patrimonio non andasse perduto con il passare delle generazioni. A questo proposito, mi piace sempre ricordare il grande insegnamento che mi ha dato la storia di Bruno Spiller. Il padre di Bruno emigrò da Cesuna in Australia nel 1949, assieme a tanti altri vicentini attirati dalle enormi possibilità che offriva il “nuovo mondo”. Nato a Melbourne, il giovane Bruno è cresciuto sentendo parlare in casa il dialetto vicentino. Ma lui voleva essere solo un “Aussie”, un autentico australiano e per questo non ne voleva sapere della cultura italiana, della lingua parlata dai genitori e dai loro amici, dei canti e dei balli tradizionali. Gli appariva tutto così tremendamente kitsch, stantìo, fuori moda. Un bel giorno, all’età di 17 anni, i suoi genitori gli fanno un regalo: un viaggio in Italia per vedere con i suoi occhi i luoghi di origine della famiglia. Quando è arrivato sull’Altopiano di Asiago, che in quel dicembre del 1976 era coperto da un mantello di neve e ha incontrato i parenti e gli amici del papà e della mamma, gli si è aperto un mondo nuovo. Al suo rientro in Australia ha iniziato a studiare l’italiano, è entrato a far parte di Circoli e Associazioni e oggi, che è un uomo maturo, è fra i più attivi rappresentanti dell’italianità a Melbourne.
 
Sulla scrivania di Padre Segafreddo notiamo un personal computer collegato ad Internet in banda larga, registratore, macchina fotografica, CD rom, DVD... Diavolerie elettroniche che non ti aspetteresti di trovare sul tavolo di un francescano, seppure giornalista. E dialogando con il Direttore ti accorgi che è perfettamente a suo agio quando parla di links, e-mail, immagini in jpg e gif, file mp3 e pdf, downloads…
 
“Ah, la tecnologia – ci anticipa con un sorriso – sapesse quanto ho studiato per impadronirmene. Ma ho capito fin da subito che Internet sarebbe stato una svolta positiva nei rapporti con gli italiani all’estero. Una bella e rivoluzionaria scoperta che, però, mi ha portato anche tanto lavoro in più. Vede, se un tempo ti scriveva qualcuno dall’Australia o dal Canada, intanto la lettera ci metteva almeno due settimane ad arrivare e poi potevi rispondere con tutta calma. Oggi, invece, un’e-mail arriva a destinazione in pochi secondi e se vuoi fare bene il tuo lavoro devi rispondere in tempi brevi. Non dico immediatamente, ma al massimo dopo uno, due giorni”.
 
Qualche nome, fra i tanti personaggi di origine italiana che avrà avuto modo di incontrare in tutti questi anni alla guida del “Messaggero” ?
 
“Per ricordare tutti gli oriundi italiani che mi hanno particolarmente colpito, sia dal punto di vista umano che da quello professionale, ci vorrebbe un libro. Solo per restare in Australia, vorrei citare un uomo di grande spessore come Sir James Gobbo, ex Governatore dello Stato di Victoria. E poi gli scalabriniani. Padre Nevio Capra, assieme ai confratelli, è riuscito a dare una risposta concreta al fenomeno dell’invecchiamento dei nostri emigrati in Australia. Grazie ai Padri scalabriniani sono state realizzate sei case di riposo nel Nuovo Galles del Sud, cinque a Sidney e una a Griffith. Strutture avveniristiche che, quanto ad organizzazione e qualità dei servizi offerti, in Italia ce le sogniamo”.
 
Padre Luciano, lei è appena tornato dal suo primo viaggio nel Sud del Brasile dove ha seguito i lavori della Consulta dei Veneti nel Mondo. Che impressione ha avuto di quella realtà italo/brasiliana della quale tanto si parla negli ultimi anni?
 
“Straordinaria. Ho portato di ritorno una valigia carica di emozioni. Veramente non pensavo di trovare un altro Veneto nel Rio Grande do Sul. In quelle terre si percepisce un fortissimo senso di appartenenza, ricco di memorie, che svela i valori dell’identità. E’ un’italianità che si può toccare con mano e che si traduce nello stile di vita, nel linguaggio, nella creatività, nel fare famiglia, negli stessi tratti somatici della gente. Ho incontrato gente orgogliosa delle proprie origini, riconoscente nei confronti dei nonni e bisnonni che seppero creare dal nulla città e industrie, antenati dai quali hanno peraltro ereditato una grande tenacia”.
 
Dei quasi 100 milioni di italiani nel mondo, sono rimasti pochissimi quelli nati in Italia. I loro figli e nipoti sono stati assorbiti dalle culture dei Paesi di residenza o sono piuttosto portatori di un’italianità ancora viva?
 
“Difficile dirlo, in quanto la realtà italiana nel mondo ha infinite sfaccettature a seconda dei luoghi e dei periodi di emigrazione. Tuttavia sono convinto che l’italianità abbia bisogno di linfa vitale e questa non può che arrivare proprio dal contributo delle nuove generazioni. Per questo, ogni qualvolta un gruppo di giovani passa per Padova per soggiorni di studio, stage aziendali o semplicemente per turismo, non perdo l’occasione per avvicinarli, per parlare con loro, per ascoltare le loro esperienze. Le porte del Messaggero sono più che mai aperte, per loro. E la domanda che faccio sempre, prima di congedarli, è: cosa porterete dell’Italia nei vostri Paesi di residenza ?.
 
 Paolo Meneghini /Italia Estera



 
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