Raggiunto il limite di rottura in una situazione di crisi montante, ora a Roma si leva dalla Farnesina la voce dei coordinamenti sindacali di CGIL, CISL e UIL del Ministero degli Affari Esteri per denunciare: “Gli stanziamenti per il funzionamento dell’amministrazione centrale e della rete diplomatico-consolare sono stati ridotti mediamente del 50 per cento... In mancanza di interventi correttivi è facile prevedere una paralisi di molte sedi all’estero già a metà anno... A rischio anche la manutenzione ordinaria degli immobili demaniali all’estero (inclusi il complesso dell’ambasciata a Canberra e l’Istituto di Cultura a Melbourne, n. d. a.) che, in alcuni casi, necessitano di indispensabili e urgenti lavori di ristrutturazione”.
Non vengono meno solo le strutture e attrezzature logistiche, ma è decurtato, in taluni casi di più del 50 per cento, anche l’organico degli uffici diplomatici e consolari, dove al superstite personale s’impone la resistenza dei condannati ai lavori forzati ed al pubblico la pazienza dei santi. Dal dramma alla commedia il passo è breve. Si direbbe che il ministro dell’Economia Tremonti, dopo aver realizzato colossali “cartolarizzazioni” o svendite che dir si voglia di beni pubblici e prospettato anche la vendita delle spiagge, si stia orientando ora verso la privatizzazione delle rappresentanze all’estero. Nella fase di transizione, si potrebbe anche organizzare una colletta pubblica per il personale di servizio.
Non dovrebbe meravigliare neppure se nelle classiche “valigie diplomatiche” o nelle più ordinarie borse che accompagnano i funzionari fra casa e ufficio si dovessero trovare ora fra incartamenti vari anche un tegamino per farsi un ovetto a pranzo, qualche bottiglia d’acqua minerale e uno sfilatino al prosciutto. Non è poi tanto un’esagerazione, giacché per un’Italia che s’appiccica ancora addosso l’etichetta di “potenza economica mondiale” la nota sindacale di cui sopra aggiunge testualmente: “E’ mortificante continuare a tenere aperte sedi il cui personale, ambasciatore compreso, ha gravi difficoltà ad assolvere le funzioni istituzionali a causa dell’impossibilità di far fronte alle spese correnti: elettricità, telefono, riscaldamento, collegamenti informatici e pulizia dei locali”. E si aggiunga pure per classica completezza e senza timore di sbagliarsi come detti “servitori dello Stato” debbano provvedere di persona (o come direbbe un personaggio di Andrea Camilleri “pirsonalmente di pirsona”) a caffè, penne, notes, carta igienica, saponette, salviettine, asciugamani e biglietti del tram. Senza contare ancora che il capitolo di spesa per le missioni all’estero risulta abbattuto, per volontà di un Tremonti tipo “muoia Sansone con tutti i filistei”, del 60 per cento, col caso di funzionari costretti a viaggi aerei di 20-24 ore d’andata e altrettante di ritorno in classe economica, con in mezzo altre 24 ore per il disbrigo di “affari di Stato”. Immaginarsi con quale scattante presenza fisica e lucidità mentale potranno disimpegnarsi con gli interlocutori stranieri.
Come se tutto ciò non bastasse, la denuncia delle tre confederazioni sindacali pone anche l’accento sulla riduzione del 40 per cento, da 10 a 5,9 milioni di euro, del bilancio per la sicurezza e protezione del personale e delle sedi all’estero, in un momento – commenta la nota – in cui “è irragionevole pensare che siano diminuite le ragioni di ostilità al nostro Paese”. E questo è proprio il colmo. Ora resta solo di darne debita comunicazione a Bin Laden. E meno male per l’Italia che i suoi mezzi d’informazione di massa si sono guardati dal pubblicare e trasmettere le vignette di matrice scandinava su “Maometto bombarolo” o che intima “Basta kamikaze, siamo a corto di vergini!”, altrimenti non le sarebbe stata certo risparmiata la “fiammeggiante” grigliata riservata alle rappresentanze diplomatiche danesi, norvegesi e francesi in Medio Oriente.
Via, né il personale in carriera diplomatica né gli italiani in patria e all’estero meritavano questo trattamento da pesci in faccia. Ce ne sono di settori della pubblica amministrazione dove fare serie economie senza fare guasti irreversibili, a cominciare dalla pazzesca e farsesca politica di “devolution”, di passaggio scriteriato di poteri e risorse dallo Stato alle Regioni, che parecchie delle stesse Regioni, quelle più deboli e discriminate, contestano e respingono nelle forme e nelle misure disegnate dalla Lega Nord.