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12 dic 2005Lyon, Congresso Club Media France L'Intervento di Franco Narducci, Segretario Generale del CGIE

"La comunicazione… nell'epoca della sua riproducibilità tecnica: le esigenze dell'informazione e della comunicazione in Europa tra le comunità italiane"

LYON, 12 dic.- (Italia Estera) - L'importanza che nella nostra epoca ha assunto la comunicazione, è sotto gli occhi di tutti; non vi è ambito sociale nel quale non si possa affermare :"vi è un problema di comunicazione"; non vi è luogo individuale umano nel quale non ci si ponga il problema di comunicare informazioni. Si assiste oggi al paradosso che un qualsiasi evento assume senso ed esiste poiché comunicato, altrimenti rischia in sé di non esistere, se non nella realtà. Voglio dire, che si esiste, si possiede realtà, solo se a sancirlo è la comunicazione sociale, questo è il paradosso. Solo a titolo esemplificativo, proviamo a capire se gli ultimi e sconvolgenti eventi francesi, i fuochi accesi di recente nella banlieue parigina da immigrati di seconda o terza generazione, sono esplosi solo quando se n'è avuta contezza attraverso i media, o se esistevano anche prima, seppure in forma meno eclatante ma altrettanto significante dal punto di vista politico- sociale. Qualunque attento osservatore sarebbe costretto ad ammettere che la realtà densa di problemi di integrazione in quelle periferie c'era anche prima, ma non illuminata dai riflettori e poiché non comunicata in quanto realtà, paradossalmente non esisteva.

Allo stesso modo, a scopo puramente esemplificativo, potremmo citare la questione del costo della vita in Italia e delle condizioni di vita delle famiglie immerse nell'attuale sistema di consumo: bene anche qui la realtà è di un marcato impoverimento di una consistente fetta della popolazione, ma nella comunicazione degli esperti economici del nostro governo spesso ritroviamo toni ottimistici e rasserenanti che non appaiono propriamente condivisi dalla maggior parte delle persone che "realmente" incontriamo.
Piaget sosteneva che l'intelligenza altro non è che " la capacità di adattarsi alle nuove circostanze che ci si presentano"; bene, nel campo della informazione la nostra capacità viene messa a dura prova e la nostra intelligenza finisce per essere sfibrata da una velocità dei processi che la cortocircuitano spesso e con sempre maggiore frequenza. Tant'è, che di fronte ai nostri figli adolescenti immersi in rete, a volte ci sentiamo dei mammut o al massimo degli individui dell'ottocento con in mente i tempi della letteratura con la quale ci siamo nutriti. I tempi sono non sostenibili, e di conseguenza anche la quantità delle informazioni diventa incomunicabile. Una conseguenza di questa velocità è senz'altro l'aumento di distanza dalla realtà e quindi la produzione di eccesso di verosimile.
Lo spazio poi fa il resto. Un altro detrattore illustre di realtà è lo spazio, che nella nostra epoca ci viene ridotto all'infinito proprio dai processi di riproducibilità tecnica della comunicazione.
Ovviamente ad incrementare i problemi della comunicazione vi è anche un dato materiale, e cioè la proprietà dei mezzi di informazione. Alla favoletta del benefattore illuminato che crea le condizioni di indipendenza dei professionisti dell'informazione, sia esso individuo o stato o multinazionale, credo non ci credano più neanche i nostri figli adolescenti. Gli esempi in questo caso sarebbero tantissimi e scontati, per ciò li evito volentieri.
Gli effetti mi interessano, poiché in questo senso sarà importante capire come si evolveranno i processi di comunicazione in Europa nel prossimo futuro. Qui assistiamo ad un fenomeno che io definirei "strategia dell'attenzione"; è di una semplicità disarmante, quasi fanciullesca, ma i proprietari di media la utilizzano continuamente perché efficace.  Si determinano le priorità delle informazioni da comunicare relativamente ai propri interessi  e non rispetto alle necessità della realtà. Si crea in questo modo un'eccedenza di verosimile da fare invidia agli inventori di Matrix (mi riferisco alla trilogia). Si devia l'attenzione dai problemi cogenti, e s'incanta l'opinione pubblica con sempre nuove trovate, o argomenti diversi che sommergono la realtà dei problemi e le emergenze immediate. Si aggiungono informazioni sovrapponendole ad altre, magari più importanti o imbarazzanti, ingolfando così la capacità percettiva dei destinatari della comunicazione. Si frantumano i pilastri della memoria dell'opinione pubblica, portando l'attenzione dove meglio giova strategicamente. Un esercizio talmente abusato dalle nostre parti - in Italia - che ormai non ci facciamo più caso o siamo forse rassegnati a seguire il flusso predisposto come salmoni d'allevamento.
Se tutta la serie sconfinata di questi problemi la applichiamo alla complessa realtà rappresentata dagli italiani all'estero, e vengo al mio campo specifico, riusciamo a comprendere una questione fondamentale: la difficoltà a preservare il senso di Comunità che gli italiani residenti fuori dai confini nazionali hanno trasmesso per decenni e che nemmeno le agenzie di socializzazione della società d’accoglienza avevano modificato. E le politiche d'integrazione messe progettate da vari Governi europei non hanno prodotto i risultati sperati. In alcuni paesi, per esempio in Germania, il processo d’integrazione stenta e crea pesanti problemi sul piano del successo scolastico dei giovani e della loro posizione nel mercato del lavoro. È un processo  emarginante che richiede un ripensamento anche delle politiche di informazione operate dallo Stato italiano.
Frastornati, dal turbinio di comunicazione interna ed esterna, gli italiani, che mantengono il loro legame attraverso la lingua e le emittenti Rai e Mediaset, subiscono un maggior effetto per così dire "deformante" della realtà. La diffusione scarsa e costosa dei quotidiani e settimanali  nazionali, viene spesso sostituita da settimanali e periodici a carattere locale, prodotti in Svizzera, Francia, Germania, Inghilterra.
Le strategie comunicative in internet hanno ancora una penetrazione insufficiente, per cui le agenzie stampa, sono conosciute ma soprattutto nel mondo politico ed associativo, e non riescono a coinvolgere a livello di massa le comunità italiane presenti in Europa. La crisi economica, poi, ha ridotto l'impatto dei medium cartacei che sopravvivono grazie ad una rete di abbonati e ai modesti contributi statali.
Promuovere le comunità italiane in Europa e nel mondo significa anche difendere il sistema di informazione per gli italiani all’estero hanno. Non vorremmo esprimere un giudizio impietoso, ma i ripetuti appelli che il CGIE ha rivolto al Governo e a tutele forze politico-parlamentari affinché venga adeguato lo stanziamento di 2 milioni di Euro l’anno, che devono essere ripartite tra oltre 150 testate che tirano circa 25 milioni di copie ed escono in 21 paesi di quattro continenti sono rimasti regolarmente inascoltati.
Insomma il quadro non è dei migliori ed è difficile sostenere la Comunità, se scarseggia la comunicazione tra italiani. Difficile per via anche della maggiore incidenza delle difficoltà spazio-temporali che noi viviamo, che a sua volta contrasta con le possibilità di velocità che tecnicamente potremmo avere. Paradossalmente però, ciò significa che spesso rimaniamo meno esposti all'eccedenza di verosimile, e riusciamo ad avere uno sguardo meno condizionato dai media italiani, più legato alla visione internazionale che in ogni paese ha la sua peculiarità. Non so se questo è un vantaggio o una difficoltà, ma è certo che di noi si percepisce poco in Italia, nonostante gli innegabili sforzi fatti dal ceto politico per far avanzare i diritti di cittadinanza attiva degli italiani all'estero e per valorizzare le opportunità offerte dalla rete di presenze italiane nel mondo nel quadro della competizione globale, in termini di sviluppo a livello locale e in un’ottica transnazionale. Da noi ci si aspetta l'impulso che abbiamo sempre dato per "fare sistema" nel processo di globalizzazione, un impegno che storicamente ci appartiene perché siamo stati sempre in prima linea sul fronte globale dell'economia internazionale, con le rimesse dirette un tempo, con il turismo di ritorno e con la promozione-diffusione dei prodotti italiani ora.
Da italiani si soffre sul serio quando si leggono reportage come quello sul declino italiano pubblicato dall'Economist la scorsa settimana, ma da italiani reagiamo con determinazione e con ostinazione per far capire che noi siamo pronti a rimetterci in piedi con più forza e vigore di prima, perché non temiamo le difficoltà e sapremo superarle. Certo sembrano tramontati i tempi del prestigio che avevamo in Europa allorquando a guidarla c'era Romano Prodi, e non resta che augurare un rapido ritorno ad atmosfere di rispetto e dignità.
Difficoltà quindi a crescere quale comunità, difficoltà a sostenere l'informazione e la comunicazione, difficoltà che impongono un’azione articolata e concertata dei diversi soggetti istituzionali che hanno poteri di intervento in questo campo, ai quali spetta il compito di concretizzare un rinnovato sistema di rapporti con le nostre comunità all’estero attraverso scelte progettuali e azioni di governo adeguate a trasferire la categoria della “risorsa strategica” dalla sfera delle intuizioni e degli indirizzi di principio a quella della politica e della coerenza amministrativa. E occorre a mio parere un atteggiamento di questo tipo: bisogna sostituire all'eccedenza di verosimile un'eccedenza di buon senso. Si quel sano e profondo valore insostituibile che ci deriva dalla nostra terra e dalla nostra cultura. Quel buon senso che ha fatto avanzare tanti italiani qui in Francia, come in Svizzera in Germania e nel mondo. Quel buon senso invisibile di cui è feconda la nostra coscienza di italiani e che ci ha spinto immediatamente ad interrogarci di fronte alla devolution e allo stravolgimento della nostra costituzione, fino a porre la Riforma dello Stato come area tematica di dibattito nella recentissima Conferenza Stato - Regioni - CGIE.  Un buon senso che spesso ritroviamo nelle parole del Presidente Ciampi, che ci è sempre vicino e verso il quale grande è la considerazione degli italiani all'estero.
Per far ripartire l'Italia occorre mettere a frutto le risorse di rete che il nostro Paese indubbiamente possiede e attivare il suo potenziale circuito sinergico del quale fanno parte 4,5 milioni d'italiani per passaporto e 60 milioni di cittadini italiani d'origine. Un valore che ci rende unici tra le molteplicità di etnie che in convivono questa Europa multiculturale. Un valore che ci porta a scambiare, a comunicare, e che ci rende riconoscibili perché fondato sulla nostra innata capacità di incontro e di ascolto che tanti apprezzano qui all'estero.
Abbiamo un patrimonio culturale, tecnologico e creativo inestimabile,  tra i più "interessanti" d'Europa, dove inter-essanti sta per "essere tra" come nella sua originaria radice "inter - essere". Con umiltà, ma dobbiamo dircelo, perché non possiamo assistere remissivi alla retorica del declino e alla retrocessione dell'Italia.
Dobbiamo prepararci a rinascere, a rimetterci in piedi. Per questo agli eccessi di mistificazione dobbiamo rispondere con eccessi di buon senso, e questo nel mondo della comunicazione è importante più che mai. I giornalisti, sono le donne e gli uomini, badate bene ho detto donne e  uomini, perché si è umanità prima ancora di essere funzione, che in questa partita giocano il ruolo più delicato. Riproducono tecnicamente e con le difficoltà insite già negli strumenti quella distanza tra verosimile e realtà. Incontrano giornalmente la difficoltà di raccontare ciò che accade, dovendo avere come unici padroni i propri destinatari della comunicazione. Devono sopperire o coadiuvare la comunicazione tra le istituzioni e la società confrontandosi con tempi, spazi, modi e "padroni altri", che spesso rappresentano i veri ostacoli. Un compito difficile, coraggioso se svolto con dignità.
Da me e a nome del più alto organismo di rappresentanza degli italiani all'estero, non possono che giungere segni di comprensione, di condivisione delle difficoltà, di sostegno e di solidarietà rispetto alle molte battaglie che l'informazione e gli informatori affrontano quotidianamente. Segni di vicinanza e di ringraziamento, perché se oggi un qualche barlume di luce si intravede nello sviluppo delle comunità italiane all'estero in quanto Comunità, in parte lo si deve al vostro lavoro, poiché non vi sarebbe incontro, non vi sarebbe ascolto se dietro ogni piccolo momento di italianità vissuta qui all'estero non ci fosse un giornalista od una giornalista a raccontarlo.
Franco Narducci



 
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