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22 nov 2002Un articolo di Zoratto: Il "libro di Stella": un insulto alla nostra gente emigr

ROMA - "Una rondine non fa primavera": con questo detto comune si può distruggere la filosofia e la logica che ha guidato un avveduto giornalista come Gian Antonio Stella a scrivere e realizzare un libro intitolato "L’Orda-Quando gli albanesi eravamo noi", in cui egli, elencando alcuni aspetti criminali che hanno accompagnato una minimissima parte di italiani che hanno dovuto emigrare, tenta di confonderli con la seria storiografia della nostra emigrazione, che ha scritto pagine di progresso e civiltà in ogni contrada del mondo.
L’autore, generalizzando abbondantemente, ignora totalmente la forza di volontà che ha determinato quel riscatto eccezionale che milioni di nostri connazionali hanno dimostrato di possedere, nonostante le avversità, pagate a volte con il sangue, come nella miniera maledetta di Marcinelle.
Un miscuglio innaturale - quello di Stella - di vicissitudini criminali, diverse fra loro ma comuni a tutti i popoli e a tutte le etnie, che non fanno storia, perché sono sempre monopolio di una ristrettissima minoranza, ma che hanno l’evidente scopo di contribuire ad affermare ai superficiali che, quando gli "albanesi" eravamo "noi", gli altri si comportavano nello stesso modo con cui oggi una parte di opinione pubblica italiana giudica l’immigrazione clandestina e l’invasione dei "vu cumprà" nelle vie centrali delle città del nostro Paese. Quindi, secondo Stella, ricordare queste "pagine nere" della emigrazione italiana ci obbliga a modificare tale giudizio, che secondo noi non è un fatto legato alla intolleranza, come egli crede, ma alla esigenza di legalità che serpeggia in tutte le città italiane ed europee, e che non ledono il giusto riconoscimento dei sacrosanti diritti per chiunque lavori legalmente in Italia, extracomunitari compresi.
Una posizione volutamente ipocrita quella dell’autore che, con ricchezza di dati, cerca di scardinare una verità sacrosanta rappresentata dal comportamento civile e corretto della stragrande maggioranza della nostra gente all’estero, che ovunque ha portato progresso e civiltà, come giustamente non si stanca mai di ripetere, in ogni sede e in ogni consesso, il Ministro per gli Italiani nel Mondo, On. Mirko Tremaglia, il quale, apparso recentemente al "Costanzo Show", su questo tema ha affermato che gli italiani nel mondo, oltre ad essere un patrimonio per l’Italia, sono una ricchezza per i Paesi di accoglimento.
Scrivere la storia degli italiani all’estero scorrendo i casellari giudiziari dei Paesi di forte emigrazione non è né culturalmente, né scientificamente giusto e obiettivo, ma è fuorviante, perché rappresenta semplicemente le vicissitudini di una realtà minoritaria di una componente fisiologica negativa presente in ogni società umana, in ogni gruppo etnico.
Come si fa a sostenere che le "braccia italiane" che hanno dovuto intraprendere il calvario della emigrazione in ogni Continente erano portatrici della illegalità più perversa e più riprovevole, come il losco contrabbando, la prostituzione, il terrorismo anarchico, la mafia, la criminalità organizzata, solo perché qualcuno era dedito a queste attività? La gloriosa storia argentina - chiediamo a Stella - è stata scritta dai delitti di Gaetano Godino oppure è stata fatta da uomini del talento e della tempra del generale Manuel Belgrano, originario di Oneglia, in Liguria, che ha persino disegnato la bandiera argentina, dove a Rosario ancora oggi viene solennemente ricordato in un grande mausoleo?
Portare progresso e civiltà significa anche consegnare i propri figli ai destini della seconda Patria - vedi la guerra nelle Malvine (Isole Falkland), dove la stragrande maggioranza dei caduti furono gli italoargentini. Di questo però nel libro di Stella non si parla. Se si pensa che negli USA il 14 per cento dei sindaci è di origine italiana, e che tantissimi parlamentari che rivestono ruoli importanti nei governi e in ben 38 parlamenti sono di origine italiana, notiamo che ci si trova di fronte ad un importante fatto politico che non si può ignorare, ma che è di rilevanza planetaria perché contribuirà sicuramente alla graduale internazionalizzazione dell’Italia nel mondo, della sua economia, della sua cultura e della sua politica estera.
Si potrebbe continuare all’infinito con esempi e considerazioni simili per smontare o distruggere quella logica criminalizzante, faziosa e fuorviante che è alla base del lavoro giornalistico di Gian Antonio Stella, il quale, illudendosi di interpretare il pensiero del nonno Toni, emigrato come tanti altri friulani, veneti e trentini, nelle fornaci nell’Impero Austro-Ungarico, fa affermazioni banali, condivisibili anche da coloro che pretendono una politica "ordinata" della immigrazione.
La storia della emigrazione italiana è stata accompagnata da fatti e vicissitudini sconosciute che obbligano persino l’autore a ricordare un intervento di Benito Mussolini in difesa di Sacco e Vanzetti. Ma ciò non va confuso con le vicissitudini che hanno caratterizzato alcuni aspetti di "cronaca nera" della nostra emigrazione che riguarda solo, ripetiamolo sino alla nausea, una parte minoritaria, e non prevalente. Non è infatti un caso che si tenti di annacquare la Via Crucis della nostra gente emigrata, limitandosi a ricordarla solo agli "addetti ai lavori". Bisogna voltare pagina, perché siamo agli inizi di una valorizzazione planetaria obbligata, essendo gli italiani all’estero entrati a pieno titolo nella Costituzione della Repubblica italiana con l’istituzione della "Circoscrizione estero" e l’elezione diretta di propri deputati e senatori che verranno scelti fra i cittadini italiani che risiedono all’estero.
Non è un caso infatti che l’8 di agosto di quest’anno sia stata ricordata a Marcinelle - dove la miniera maledetta divorò 262 minatori, tra cui 136 italiani -, alla presenza delle autorità di governo belghe ed italiane con in testa l’On. Mirko Tremaglia, la Giornata del lavoro e del sacrificio degli Italiani nel mondo. Giornata voluta tenacemente, e non a caso, dall’attuale Ministro per gli Italiani nel Mondo, il quale afferma che, ricordare la storia, deve servire affinché essa non si ripeta più con le sue ingiustizie e le sue debolezze. Deve servire per andare oltre, sollecitando anche la scuola italiana a considerare questo aspetto nascosto della nostra storiografia come materia di insegnamento obbligatoria nelle scuole per le nuove generazioni.
"L’Orda" di Gian Antonio Stella, oltre a fare una disordinata elencazione di fatti di cronaca nera, crea confusione perché vuol far sembrare realtà ciò che non esiste. Perchè Stella, ad esempio, non ha fatto la cronistoria degli atti, talvolta eroici, dei poliziotti americani o sindaci come La Guardia, di origine italiana che hanno combattuto la mafia negli USA, o degli alti vertici della polizia canadese dove gli italiani comandano le "Giubbe rosse", o dove la polizia è diretta da un italiano, come a Toronto?
Egli poi, tacitamente, tenta di presentarci una immagine alterata della donna in emigrazione; infatti, le donne italiane nel contesto della nostra gente all’estero non sono quelle "prostitute" che egli cerca di far passare, avendo forse incontrato nelle cronache antiche qualche presenza in qualche bordello del Cairo, ma sono da sempre una colonna portante, insostituibile di quel focolaio familiare invidiato in tutto il mondo, tipico e comune della Italianità, dalle Alpi alla Sicilia, che determina l’educazione, l’attaccamento alla famiglia, la religiosità, la cucina di casa nostra (conosciuta dappertutto), grazie alla loro capacità di rimanere tenacemente legate alla tradizione del proprio focolare. Esse sono, unitamente ai loro uomini, come ha recentemente dichiarato il Cardinale di New York durante la S. Messa per il Columbus Day, parte integrante del tessuto di quel grande Paese.
Paolo Rumiz, recensendo su La Repubblica "L’Orda", non a caso ebbe a scrivere: "Quelli che ci hanno dato lustro altroché se li ricordiamo. I Cuomo, gli Jacocca, i La Guardia. In tanti si sono fatti onore, i loro successi nel mondo li leggi ovunque. Ma gli altri chi li ricorda? Nessuno!"
Nessuno! Ripetiamo, nessuno! Noi aggiungiamo, perché non fanno parte della civiltà e del progresso che gli italiani all’estero hanno saputo con tenacia ed orgoglio da soli costruire in ogni contrada del mondo.
Questa risposta che si è dato Paolo Rumiz fa riflettere e conferma le nostre giustificate osservazioni, perché racchiude con evidenza i limiti del libro che porta come titolo "L’Orda", che vuole essere un tentativo, limitato, di un "excursus" iniziato con i soli dati racchiusi nelle cronache giudiziarie dei paesi di forte emigrazione. Casi che non rappresentano la nostra gente emigrata, impegnata onestamente a cercare fuori dei confini quel pane che l’Italia, talvolta matrigna, non ha potuto o saputo loro riservare.
La realtà è un’altra ed è scritta negli anelli del calvario che milioni di italiani hanno dovuto patire in ogni contrada del mondo, incontrando ingiustizie ed umiliazioni che ancor oggi non sono assopite, troppe volte dimenticate, ma che non vanno in nessun modo confuse con gli atti delinquenziali di qualcuno.
È da questo antico retaggio di civiltà e di progresso, ripetiamo, che bisogna ripartire per fare una giusta informazione, quella informazione di ritorno necessaria ed indispensabile, volta a ricordare e far conoscere quello che gli italiani nel mondo hanno costruito, guadagnandosi la stima dei popoli che li hanno ospitati. Di questo Gian Antonio Stella sembra non volerne prendere atto.
Bene ha fatto, durante una recente trasmissione televisiva, l’On. Tremaglia a regalare a Stella i dieci volumi degli atti della Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo, svoltasi nel dicembre 2000, e che forse Gian Antonio Stella ignorava.





 
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