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22 dic 2005 Fenomeni di razzismo con radici storiche

Editoriale di Nino Randazzo su"Il Globo" di Melbourne e "La Fiamma" di Sydney
MELBOURNE- 15 DIC.(Italia Estera) -  L’Australia di colpo si trova a confrontarsi con un tipo di emergenza che spinge in secondo piano lo spettro del terrorismo internazionale. E’, infatti, un’emergenza interna di natura e portata destabilizzanti l’incendio razziale esploso domenica 11 dicembre sulle spiagge di Sydney, che con fulmineo passaparola ha dal primo momento minacciato di estendersi ad altri centri del continente australiano e che solo un massiccio spiegamento di circa tremila agenti di polizia lungo 200 chilometri di fascia costiera del New South Wales e nei sobborghi a rischio della metropoli, riesce in questo momento appena a contenere grazie ai più eccezionali poteri mai concessi in tempo di pace, varati giovedì dal governo statale di Morris Iemma e fatti approvare in poche ore dal Parlamento in seduta straordinaria.
 
 Il terrorismo internazionale non ha finora fatto una sola vittima né scalfito un solo lembo di struttura su suolo australiano. Le rigide misure di vigilanza e prevenzione, sostenute da una legislazione federale ad ampio e financo eccessivo respiro, hanno funzionato. Invece in questo marasma civile, provocato e predisposto con criminale strategia sotterranea, si riscontrano i più inquietanti elementi di un fenomeno di dissesto sociale insorto come un cancro in una nazione assorbita da ben altri timori e priorità: un miscuglio micidiale di ignoranza, razzismo, alcol, droga, manipolazione politica e ideologica, armi da fuoco e da taglio e oggetti contundenti, da barre di ferro a mazze di legno, bottiglie molotov, folle scatenate di migliaia si giovinastri, disonoranti appelli via sms e volantini al patriottismo e alla “difesa della bandiera e della democrazia”, striscioni e magliette con incendiari slogan e incitazioni all’odio etnico, e persino (le parole diventano pietre e fuoco) l’edificio di una chiesa anglicana dato alle fiamme.
 
 Solo interventi recisi e coordinati dei governi federale e statali potranno bloccare alle prime manifestazioni un movimento eversivo che, venuto alla luce col pretesto di vendicare l’aggressione di un surfer purosangue anglo-australiano da parte di un paio di presunti libanesi ed episodi di violenza attribuiti a gruppi organizzati di immigrati mediorientali, ha radici ben più profonde in un angolo buio della psiche popolare. Non sono certo tutte scomparse le decine di migliaia di elettori che appena un decennio fa mandavano rappresentanti del partito xenofobo e razzista di Pauline Hanson al Parlamento federale ed ai Parlamenti del Queensland e del New South Wales.
 
 L’asserzione del primo ministro Howard che gli episodi di Sydney non dovrebbero significare un tendenza “congenita” al razzismo nel popolo australiano, è vera solo a metà. E’ vero che la politica del multiculturalismo contraddistingue in maniera forte ed evidente la convivenza civile dell’ultimo mezzo secolo in Australia. Ma è altrettanto vero che nelle pieghe della storia australiana sono racchiuse terribili manifestazioni d’intolleranza razziale che da due secoli a questa parte hanno lasciato tracce e semi avvelenati in successive generazioni. Anche senza rivangare la sistematica decimazione, fino al limite del genocidio, delle popolazioni aborigene e la persecuzione degli immigrati cinesi dell’Ottocento, basta ricordare la sommossa di Kalgoorlie, nel Western Australia, del 1934 quando un migliaio di italiani ebbe le proprie abitazioni incendiate e venne cacciato nel deserto fino all’arrivo di rinforzi di polizia da Perth.
 
 Una certa corrente d’intolleranza razziale è rimasta latente, ha continuato a serpeggiare sotto pelle nell’organismo della nazione, ha provocato una catena di episodi più o meno eclatanti di xenofobia ed ha talvolta trovato sbocchi ed espressioni di natura politica. Il movimento “Australia First” di Pauline Hanson degli Anni ’90 aveva avuto un precedente storico nel gruppo fascista della “New Guard” di Sydney degli Anni ’30, che fra l’altro organizzò manifestazioni popolari culminate con la caduta del governo laburista di Jack Lang nel New South Wales. Oggi l’Australia avverte l’analogo disagio di alcune delle maggiori democrazie occidentali dove l’onda di risentimenti e prevenzioni nei confronti di comunità immigrate di altra razza, cultura, lingua, colore della pelle e credo religioso viene cavalcata da agitatori populisti, tipo i leghisti italiani di Bossi o i sodali francesi di Le Pen. Un motivo in più per non chiudere un occhio su un fenomeno che presenta insieme i caratteri di rancido razzismo ed estremismo politico, tuttora operante in una frangia marginale della società nazionale ma in grado, se lasciato espandersi, d’infangare il volto della democrazia australiana.

                                                                                                                                                          NINO NINO RANDAZZO




 
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