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12 nov 2005TREMAGLIA E TETTAMANZI ALLE CELEBRAZIONI DI MAGONZA

BERLINO, 12 NOV – (Italia Estera) - A Magonza con una cerimonia alla quale hanno preso parte il ministro per gli Italiani nel mondo, Mirko Tremaglia, il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, e l'ambasciatore d'Italia in Germania, Antonio Puri Purini è stato ricordato l’'accordo italo-tedesco del 1955 che aprì la strada alla moderna emigrazione degli italiani in Germania.  
Tremaglia nel suo intervento ha richiamato alla mente le migliaia di "italiani senza scarpe che andarono a cercare fortuna oltre le Alpi" partendo dall'Italia che, nel frattempo, da terra di emigrazione è diventata un Paese di immigrazione. "E allora non si possono dimenticare valori come l' accoglienza, la solidarietà, l'umanità, uniti alla legalità - ha detto il ministro - che un Paese civile deve rendere concreti quando i disperati di oggi arrivano alla ricerca di un futuro migliore, proprio come hanno fatto i nostri italiani in cento anni di emigrazione in altri Paesi".
"L'accordo italo-tedesco del 1955 stabiliva un sistema intergovernativo di selezione e invio dei lavoratori italiani, come intermediatore tra la offerta di lavoro da parte degli imprenditori tedeschi e la domanda di lavoro degli italiani. Ancora oggi molti suoi passaggi e molte sue previsioni sono di grande attualità e ispirate a criteri umanitari: mi riferisco, ad esempio, all'impegno assunto dal Governo tedesco a consentire forme di assistenza italiana, civile e religiosa, a considerare favorevolmente le richieste di ricongiungimento familiare, a permettere le rimesse valutarie". "Questo non avvenne, invece, negli accordi con il Belgio. Se nel 1955 si firmava questo trattato con la Germania, non dimentichiamoci che l'anno dopo si consumava la tragedia di Marcinelle. Tutti ci inchiniamo di fronte al sacrificio dei 262 minatori, di cui 136 di origine italiana, che, in quel tragico 8 agosto del 1956, persero la vita nella miniera maledetta. Il loro sacrificio fu il frutto perverso di un accordo scellerato tra Italia e Belgio, tristemente noto come il patto 'uomini in cambio di carbone', e che assurge oggi a tragico simbolo dei dolori e delle sofferenze che hanno accompagnato, in ogni parte del mondo, i nostri connazionali emigrati".
 "Questi accordi che noi oggi celebriamo - ha detto a sua volta il cardinale Tettamanzi, durante la cerimonia organizzata dalla conferenza episcopale tedesca - furono evento di decisiva rilevanza che ha riguardato nell'arco di 50 anni circa 30 milioni di italiani ed un contributo ad attenuare il distacco dalla propria terra e famiglie". In base a quell'accordo, che fu firmato il 20 dicembre 1955, furono istituti centri intergovernativi di selezione, collocamento e invio di lavoratori italiani in Germania, come intermediari tra offerta di lavoro da parte degli imprenditori della Germania in piena ripresa economica ma ancora priva della manodopera sufficiente, e la domanda di occupazione dei lavoratori italiani.
L'accordo italo-tedesco fu il primo del genere, e venne seguito da quelli con la Grecia (1960), Spagna (1960), Turchia (1961), Marocco (1963), Portogallo (1964), Tunisia (1965) e Jugoslavia (1968).
Attualmente in Germania vivono circa 700 mila italiani, in quella che nel mondo rappresenta la seconda comunità italiana all' estero (dopo l'Argentina) e la prima d'Europa. La composizione è ancora fortemente influenzata dal lavoro dipendente, anche se è in crescita la presenza nel mondo imprenditoriale e finanziario, nella ricerca universitaria e scientifica.
Come settore d'impiego, rispetto alle fabbriche degli anni '60 e '70, oggi prevale quello della gastronomia. Sono 46mila, secondo gli ultimi dati ufficiali, gli imprenditori italiani ed i lavoratori autonomi, alla pari con i turchi (ora la comunità straniera più numerosa in Germania, sono circa 2,5 milioni di persone) e prima dei greci. Una delle maggiori difficoltà strutturali della comunità italiana in Germania resta l'inserimento scolastico e professionale. Circa il 10% degli alunni italiani non completa la scuola dell'obbligo, e questo elemento, insieme con altri ostacoli ad acquisire una formazione professionale, aumenta notevolmente il rischio di disoccupazione.
 
 



 
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