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03 nov 2005Teheran, manifestazione davanti all’ambasciata italiana contro Israele

ROMA –(Italia Estera) -  A Teheran è stata organizzata non una fiaccolata come avverrà a Roma in serata, ma una manifestazione  alla quale hanno partecipato circa  150-200 studenti iraniani che questa mattina si sono radunati davanti alla sede dell'ambasciata italiana a Teheran per protestare contro la fiaccolata in programma stasera a Roma. ''La manifestazione si è svolta in modo tranquillo, pacifico, hanno detto  fonti dell'ambasciata italiana a Teheran. C'erano circa 150-200 persone, che hanno urlato slogan contro i soliti Paesi, Stati Uniti e Israele''.
Non parteciperanno alla fiaccolata in programma questa sera nella capitale, oltre il premier Silvio Berlusconi ed il capo dell’opposizione Romano Prodi, anche i ministri degli Esteri Gianfranco Fini e quello della Difesa Martino.
Il rischio era di precipitare definitivamente la crisi diplomatica italo-iraniana in una spirale dagli esiti imprevedibili, forse il ritiro reciproco degli ambasciatori, forse persino atti di violenza contro gli italiani a Teheran. Perciò, dopo Berlusconi e Prodi, anche Fini e Martino hanno deciso di non partecipare alla fiaccolata pro-Israele promossa dal quotidiano "Il Foglio" davanti all'ambasciata dell'Iran a Roma. Una decisione "sofferta" quella dei due ministri, dettata dal "senso di responsabilità istituzionale", come ha fatto sapere la Farnesina, per non dare pretesti, "per quanto immotivati", ai fautori dell'istigazione all'odio. Del resto, non si è mai visto il capo di una diplomazia e un ministro della Difesa protestare in corteo sotto un'ambasciata straniera: la cosa poteva suonare come una dichiarazione di guerra, proprio mentre governo e opposizione stanno tentando di riannodare i fili del negoziato con il regime di Teheran. Strategia peraltro assai complessa e che dovrebbe prevedere un'azione congiunta dell'Europa. Ma finora tutte le trattative sono fallite e le cancellerie occidentali hanno ben presente la crisi che nel 1979 portò i "guardiani della rivoluzione" di Khomeini a irrompere nell'ambasciata Usa e a sequestrare per oltre un anno il personale diplomatico americano. La crisi è talmente grave da aver indotto Prodi a mettere in campo una diplomazia parallela nel tentativo di individuare strade alternative: il Professore ha visto dapprima l'ambasciatore israeliano, ribadendogli la solidarietà dell' Unione, e poi l'ambasciatore iraniano, al quale ha espresso ferma condanna per le parole del presidente iraniano sulla cancellazione di Israele dalla carta geografica e anche per la ripresa del programma nucleare. L'iniziativa si aggiunge a quella ufficiale del governo italiano: ieri Berlusconi, durante l'incontro con gli ambasciatori dei paesi islamici, ha spiegato la linea dell'Italia, basata essenzialmente sulla road map in Medio Oriente e la stabilizzazione della nascente democrazia irachena. Tuttavia non è un caso che la crisi si sia aggravata proprio mentre il terrorismo dà segni di rinnovata vitalità sia sul fronte interno che internazionale.
La notizia di un tentativo di attentato al premier durante una partita allo stadio, confermata dal ministro degli Interni Pisanu, dimostra che l'Italia è più che mai nel mirino: "Siamo esposti ad attacchi micidiali del terrorismo e perciò evidenzio la mia assoluta disponibilità al dialogo con i paesi islamici", ha detto il premier. Un'ammissione indiretta del fatto che l'Italia é in prima linea. E in questo scenario anche il pacco esplosivo recapitato a Cofferati è la spia di un attacco concentrico alla democrazia del nostro Paese. Il sindaco di Bologna ha ricevuto la solidarietà di tutte le forze politiche contro il grave tentativo di intimidazione, unanime è la condanna della violenza.
Eppure è chiaro che esiste per i due poli un problema speculare: l'impegno in Iraq e il sostegno al processo di pace israelo-palestinese che colloca l'Italia in prima linea tra gli obiettivi del fondamentalismo islamico; e il risorgente pericolo non solo degli anarco-insurrezionalisti ma anche dell'estremismo radicale ed extraparlamentare. Il primo obiettivo è dunque quello di svelenire il clima interno alla vigilia di una campagna elettorale che si preannuncia molto infuocata. Casini invita a fare del rispetto reciproco la parola chiave del confronto politico. Si vedrà nei prossimi giorni se ciò sarà possibile.
 Intanto Franco Frattini, il vicepresidente della Commissione europea, da Bruxelles  commentando gli ultimi sviluppi in Italia - con le relative accuse lanciate da Teheran a Roma - ha affermato: ''Bene ha fatto l'Italia a dare una risposta forte alle minacce dell'Iran nei confronti di Israele, con la manifestazione di questa sera. Occorre portare la questione davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che non dovrà limitarsi a puri incoraggiamenti''. Se tutto questo accade, ha proseguito Frattini, è perché ''la risposta dell'Italia, della politica, del governo, del Paese è stata una risposta forte''. Naturalmente, ha concluso il vicepresidente della commissione Ue, ogni nazione ''si regola come ritiene, ma credo che in Italia si sia fatto bene a reagire con fermezza''.  Frattini ha anche spiegato di aver firmato per l'iniziativa ma di non poter partecipare per impegni istituzionali a Bruxelles.
Ed Enrico Jacchia, già responsabile del controllo di sicurezza dell'UE , in una nota afferma che "La reazione delle forze politiche italiane di entrambi gli schieramenti a quanto ha detto il Presidente iraniano è benvenuta. Il vero problema, però  è riuscire ad impedire che l'Iran si faccia la bomba atomica prima che sia troppo tardi". E questo - prosegue Jacchia - è estremamente difficile". "Un'azione aeroterrestre per distruggere i siti in cui si processa il materiale nucleare a fini militari - secondo Jacchia - è impensabile. Chi la farebbe? Gli europei continuano a credere nel negoziato. Gli americani, dopo l'Iraq, dal Presidente all'ultimo ufficiale del Pentagono, sono contrari ad intraprendere nuove iniziative nella regione. I paesi arabi moderati, cioé quelli che sono i più minacciati da un regime iraniano rivoluzionario ed integralista che disponga dell'arma atomica, non osano muoversi. L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica di cui tanto si parla è un'organizzazione che possiede unicamente personale civile e che, se spinge la sua audacia al massimo, può solo sottoporre la questione al Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Nel frattempo, e sarebbe un lungo lasso di tempo, gli iraniani, che dispongono di ottimi scienziati e di siti sotterranei ben protetti, porterebbero a termine il loro lavoro. L'unica via di uscita per bloccare rapidamente gli iraniani sarebbe quella che fu dibattuta duramente tra gli scienziati e gli stati maggiori israeliani, prima che riuscissero nell'incredibile impresa di infilare un missile nel camino del reattore nucleare Osirak, largo appena un metro: un'azione di sabotaggio con professionisti volontari votati al suicidio.  Ma con questi chiari di luna - conclude Jacchia - non si vede chi lo farebbe".
A comunicare la sua adesione alla fiaccolata di stasera anche il segretario dei Ds Fassino : ''Oggi parteciperemo alla manifestazione davanti all'ambasciata iraniana con lo spirito di chi pensa che in Medio Oriente la pace e la sicurezza si realizzano non con uno Stato in meno, come dice qualcuno a Teheran, ma con uno Stato in più, quello palestinese'', ha detto a margine di una conferenza stampa a Montecitorio.
La Farnesina  ha reagito immediatamente alle dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che, il 26 ottobre scorso, ha invocato la cancellazione di Israele dalla carta geografica. E' quanto chiariscono  le  fonti del ministero degli Esteri, ricordando che già il 27 ottobre ''avevamo reso noto'' di aver espresso ''sconcerto e preoccupazione'' all'ambasciatore iraniano a Roma, Bashar Ghasem, nel corso di una conversazione telefonica.
''Il caso di una mancata reazione della Farnesina alle dichiarazioni di Teheran non esiste, perché non c'è un codice rigido per le convocazioni e le proteste che vengono inoltrate agli ambasciatori'', spiegano le fonti. Un rappresentante diplomatico può essere convocato al ministero oppure si può parlare con lui telefonicamente, dipende se in quel momento si vuol privilegiare ''la forma piuttosto che la rapidità''. E ''la nostra reazione è stata immediata'', ripetono alla Farnesina, osservando che la cena offerta ieri sera dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rappresentato ''un'occasione di dialogo con i Paesi dell'area: questo era lo spirito e non avrebbe avuto senso ritirare un invito'' tra l'altro mandato molti giorni prima dell'esplosione della crisi con Teheran.
Nel braccio di ferro tra Teheran e la comunità internazionale hanno perso il posto 40 tra ambasciatori e capi missione iraniani, che il nuovo regime ultraconservatore considera troppo allineati con le posizioni occidentali. A confermare la 'purga', anticipata dal 'Times' di Londra, che aveva dato in partenza gli ambasciatori a Londra, Parigi, Berlino e all'Onu a Ginevra, quelli più in prima linea nelle trattative sul nucleare - è stato il ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki. La 'purga' degli ambasciatori considerati troppo moderati dal nuovo governo di Teheran avrebbe colpito anche il rappresentante diplomatico iraniano a Roma Bashar Ghasem,  lo rivela sempre il 'Times', che oggi pubblica la lista completa di tutti gli ambasciatori che verranno rimossi nei prossimi mesi. Secondo il quotidiano britannico, dovranno fare le valige e rientrare a Teheran in totale 30 ambasciatori: quelli a Londra, Parigi, Berlino, Pechino, Buenos Aires, Roma, Sofia, Praga, Ottawa, Kuala Lumpur, Giacarta, Seul, Pyongyang, Nuova Delhi, Lahore, Kuwait, Amman, Mascate, Hong Kong, Dushanbe, Tokyo, Baghdad, Tunisi, Caracas, Santiago, Singapore, Dublino, Berna e presso le missioni diplomatiche dell'Onu a Ginevra e New York.
Fonti della rappresentanza diplomatica di Teheran hanno però informato che ''la nostra ambasciata non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale'' relativa al rientro in patria dell'ambasciatore iraniano a Roma Bashar Ghasem. ''Di solito, il mandato di un capo missione dura tre anni. In alcuni casi può essere prolungato, se, per esempio, ci sono le elezioni e un cambio ai vertici del governo'', spiegano le fonti. Sarebbe questo il caso dell'ambasciatore Ghasem, che sta a Roma ''da quattro anni e mezzo (le credenziali sono state presentate al Quirinale il 29 maggio del 2001, ndr), per cui è normale che debba rientrare in patria''. (Italia Estera) -



 
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