79 d.C. Nella notte tra il 24 ed il 25 agosto la città viene seppellita da una coltre di materiali vulcanici alta fino a 20 metri.
1710 Lo scavo di un pozzo ad opera di un tal Ambrogio Nucerino, noto con il soprannome di Enzechetta costituisce l’esordio dell’archeologia vesuviana. Il pozzo era infatti in corrispondenza della scena del teatro di Herculaneum e il contadino recuperò molti frammenti di marmi pregiati che, come solo più tardi si sarebbe capito, appartenevano al prezioso arredo dell’edificio scenico. Della scoperta fu informato Emanuel-Maurice di Lorena, principe d’Elboeuf, comandante delle armate austriache, insediatesi a Napoli nel 1707. Egli acquistò il pozzo e per circa nove mesi vi condusse a proprie spese scavi per cunicoli, che gli fruttarono fra l’altro il recupero di nove statue, delle quali si servì per omaggiare alcuni potenti del tempo. In particolare, egli inviò a Vienna, come dono per il suo potente cugino Eugenio di Savoia, le statue note nella letteratura scientifica come la Grande e le due Piccole Ercolanesi, attualmente conservate nel Museo di Dresda. Alla morte di Eugenio le tre sculture giunsero alla corte di Augusto III, grande elettore di Sassonia, re di Polonia e padre di Maria Amalia Cristina, moglie di Carlo III di Borbone, appassionato collezionista di antichità, il quale avrebbe fatto dello scavo dell’antica Herculaneum uno dei programmi culturali più rilevanti del suo regno, considerandolo non come un diletto personale, ma come un’autentica attività pubblica, finanziata dall’erario regio e condotta con gli ufficiali del Genio, utilizzando soldati ed ergastolani.
1738 Iniziano le esplorazioni sistematiche. Rocco Gioacchino d’Alcubierre, capitano del genio militare iniziò a praticare nuovi cunicoli a partire dal pozzo di Enzechetta ed in vari punti ella città antica. Per raggiungere il livello delle strutture antiche si praticavano dei pozzi verticali lungo i quali gli scavatori, i cosiddetti “cavamonti”, si calavano legati a corde di canapa. L’argano con il quale gli scavatori venivano calati nel pozzo serviva anche per riportare in superficie gli oggetti rinvenuti. Raggiunto il livello della città antica si procedeva quindi con lo scavo dei cunicoli, larghi mediamente 80-100 centimetri e alti meno di due metri. Lo sterro procedeva senza un piano preciso, lentamente, a mano, alla flebile luce di una lanterna appoggiata entro nicchie appositamente scavate nella parete dei cunicoli. Quando si individuava una struttura ricca di reperti si intensificava la maglia dei cunicoli, riempiendo quelli già esplorati con i materiali provenienti dallo scavo delle nuove gallerie e, se necessario, costruendo anche pilastri di rinforzo con pietre. Le operazioni di scavo erano sorvegliate dai militari borbonici che annotavano scrupolosamente tutti gli oggetti riportati alla luce: reperti mobili, ma anche pitture e pavimenti tagliati e strappati dai contesti originari; quelli di particolare pregio venivano trasportati nel Museo ricavato in un’ala della Reggia che Carlo III aveva costruito a Portici, affinché visitatori di rango e studiosi, previo permesso regio, potessero ammirarli. Alla direzione del Museo Ercolanese di Portici, che sarebbe stato inaugurato nel 1758, fu preposto Camillo Paderni, che, con l’aiuto dello scultore francese Canart, aveva anche il compito di selezionare le opere degne di entrare a far parte della collezione.
1750 Viene scoperta la Villa dei Papiri. Gli scavi, sotterranei, sono seguiti dall’ingegnere militare svizzero Karl Weber, che dal 1749 lavorava al fianco dell’Alcubierre e che di sua iniziativa intraprese l’esecuzione di accurate planimetrie di tutto quanto veniva esplorato della lussuosa residenza. Lo scavo fu condotto negli anni 1750-1761, con una breve ripresa fra il 1764 e il 1765, anno in cui le esalazioni di gas imposero l’abbandono definitivo degli scavi e la chiusura dei pozzi di accesso. Furono recuperate 87 sculture - repliche realizzate nella seconda metà del I secolo a.C. da originali greci prevalentemente dei secoli IV e III a.C. - e di più di 1000 rotoli di papiro.
Morto Karl Weber nel 1764, le operazioni di scavo per cunicoli furono in seguito dirette da un altro ingegnere militare, Francesco La Vega, ma furono definitivamente interrotte nel 1780 a favore degli scavi di Pompei, ove lo sterro risultava molto meno faticoso per le diverse condizioni del seppellimento vulcanico.
1828 Vengono per la prima volta intrapresi a Ercolano gli scavi “a cielo aperto”. Su proposta del Soprintendente Michele Arditi e con il sostegno dell’Accademia Ercolanese, costituita fin dal 1755 per volere di Carlo di Borbone con il fine di illustrare scientificamente i monumenti vesuviani esplorati, fu acquistato dallo Stato un appezzamento di terra di circa 900 metri quadri e in quella limitata superficie furono condotti gli scavi, diretti fino al 1855 dall’architetto Carlo Bonucci. La generale scarsità dei ritrovamenti determinò una nuova interruzione, cui seguì una breve ripresa fra il 1869 e il 1875, per iniziativa di Giuseppe Fiorelli e grazie a un contributo personale del re d’Italia Vittorio Emanuele II. La porzione di città che con enormi sforzi era stata messa in luce (gli operai, infatti, scavavano a mano gli immensi strati di materiale vulcanico solidificatosi e poi, riempito un cesto, lo portavano a spalla lungo la rampa che delimitava l’area di scavo, fino al carretto che era in attesa alla quota di Vico di Mare) era nel complesso molto modesta e corrispondeva alle attuali insulae II e VII, separate tramite l’arteria stradale che in seguito sarebbe stata denominata cardo III dalle attuali insulae III e VI, scavate solo per una minima parte rispetto alla loro reale estensione. Al di sopra dello scavo, condannato a un rapido e inesorabile degrado, incombevano le abitazioni della moderna Resina.
1907 Viene istituita una Commissione di tecnici e architetti con il compito di redigere quello che oggi chiameremmo uno “studio di fattibilità” per la ripresa degli scavi; la relazione fu consegnata due anni dopo, ma non fu intrapresa nessuna azione consequenziale, considerati gli ingenti costi dell’impresa.
1924 Amedeo Maiuri diventa Soprintendente agli Scavi e alle Antichità della Campania. Egli provvide subito ad arrestare l’espansione della moderna Resina al di sopra dell’antica Ercolano imponendo una serie di vincoli sulle aree ancora libere. Con fondi straordinari venne reso possibile l’esproprio di una superficie di oltre sette ettari nella quale condurre lo scavo estensivo dell’area sud-orientale della città antica; il problema era, e tuttora permane, quello della porzione settentrionale, già invasa dalle abitazioni moderne e per la quale si confidò in una progressiva e graduale acquisizione, e quindi demolizione, di immobili, per lo più fatiscenti.
1927 I Nuovi Scavi, iniziati nei primi giorni di aprile del 1927, furono ufficialmente inaugurati il 16 maggio di questo stesso anno dal re d’Italia Vittorio Emanuele III che diede il colpo di piccone inaugurale con uno strumento sul quale era inciso il motto “Herculaneum effodiendum est”. La gigantesca impresa, condotta con abili maestranze e con un’eccezionale organizzazione dei cantieri di lavoro, si protrasse fino al 1958, ma già nel 1942 quasi tutta l’area che costituisce l’attuale parco archeologico era stata riportata alla luce e contestualmente restaurata e coperta.
1960 – 1969 Ulteriori lavori vengono condotti nella zona settentrionale dell’insula VI e del decumano massimo, con la messa in luce della Casa del Colonnato tuscanico, della Sede degli Augustali e del quartiere dell’atrio della Casa del Salone nero, di cui Maiuri aveva scavato soltanto il settore posteriore, mentre negli ultimi venti anni è stata esplorata l’antica spiaggia, coincidente con la fascia più meridionale dell’attuale parco archeologico. In questa zona sono stati riportati alla luce 12 ambienti con ingresso ad arco, i cosiddetti Fornici, ricoveri per barche e magazzini, ove avevano cercato riparo molti Ercolanesi in fuga dall’eruzione. La straordinaria scoperta delle vittime dell’eruzione, grazie alla collaborazione di archeologi, antropologi e vulcanologi, ha permesso di condurre uno studio interdisciplinare mirato a chiarire la dinamica dell’eruzione e i suoi devastanti effetti su cose e persone. Da questa stessa area proviene la barca di legno, attualmente sistemata in un padiglione adiacente al moderno edificio che ospita gli Uffici della Soprintendenza e il costituendo Antiquarium e dove verrà eseguito il complesso lavoro di restauro con conseguente musealizzazione e apertura al pubblico.
1996-1998 In questi anni sono stati infine eseguiti scavi a cielo aperto nell’area della Villa dei Papiri e delle cosiddette Insulae nord-occidentali. Il gigantesco scavo, che ha interessato una superficie di circa 14 mila metri quadri, è stato condotto a ovest del moderno Vico Mare e, per distinguerlo dal parco archeologico propriamente detto, è stato convenzionalmente denominato area degli “Scavi Nuovi”. In questa zona sono per ora distinguibili due diversi complessi, nessuno dei quali scavato nella sua interezza: 1) le cosiddette Insulae nord-occidentali, comprendenti parti di edifici ancora appartenenti alla città e fra cui si impone un complesso termale provvisto di piscina calda e 2) la suburbana Villa dei Papiri; di quest’ultima sono stati messi in luce il settore occidentale del quartiere dell’atrio (ca. 750 mq), già noto dalla planimetria settecentesca, un’ampia porzione del prospetto del primo piano inferiore e una minima parte di quello di un secondo piano inferiore e infine i resti di una struttura monumentale posta a una quota molto più bassa e nella quale si potrebbe riconoscere l’ingresso alla villa dalla parte del mare. Il livello delle strutture antiche portate alla luce si trova a circa 30 metri di profondità rispetto all’attuale piano di calpestio, ma la situazione ambientale è resa ancor più complicata dal fatto che, per effetto dell’eruzione del 79 d.C. e degli sconvolgenti fenomeni ad essa collegati, la linea di costa antica è sprofondata di circa 4 metri al di sotto dell’attuale livello del mare. Per queste ragioni, la conservazione in secco dell’area può avvenire soltanto grazie a un sistema di pompe idrovore perennemente in funzione.