BERNA - (Italia Estera) - Qualsiasi valutazione sulla protesta istituzionale organizzata dai Comites e dal CGIE sabato scorso davanti all'Ambasciata d'Italia a Berna deve partire da un considerazione prioritaria: la rete consolare italiana in Svizzera (e nel mondo) è confrontata con pesanti difficoltà, di cui non si trova traccia nella storia recente e passata. Mi pare una considerazione doverosa per evitare i tentativi di etichettare la protesta con i crismi della politica, con la conseguenza di una lettura assolutamente errata. Non è stata una protesta strumentale, di parte, bensì un grido d'allarme contro una situazione inaccettabile, che oltretutto rischia di deteriorarsi ulteriormente.
In un mondo che cambia a velocità impressionante e in cui le rappresentanze dello Stato centrale sono chiamate a far fronte a problemi nuovi e di grande complessità (basti pensare all'intera materia Schengen), ma anche ai bisogni crescenti dei cittadini, è impensabile che si possano dare risposte qualificate e tempestive rinunciando alla centralità delle risorse umane.
L'efficienza dei servizi erogati non si persegue soltanto con un alto tasso di ricorso alle tecnologie, che in ogni caso sono indispensabili e componente essenziale dei moderni processi di lavoro, ma anche con organici adeguati al volume di lavoro e ai compiti da svolgere.
Compiti che richiedono ovviamente personale con qualifiche adeguate, e in possesso delle competenze sociali e professionali che oggi sono indispensabili nell'area dei servizi avanzati: senso dell'organizzazione, attitudine al lavoro di squadra, polivalenza, socializzazione delle responsabilità, identificazione con il ruolo svolto, ecc. I nostri consolati diffondono all'esterno un'immagine contrastante e per niente univoca della loro attività: vi sono sedi che hanno sviluppato un modello di efficienza ragguardevole, tanto da potere essere portato ad esempio, e sedi che lasciano largamente a desiderare.
La comunità italiana in Svizzera ha sicuramente frequentazioni intense con le sedi consolari, per ovvie ragioni: la vicinanza con l'Italia genera molteplici rapporti con il Paese d'origine, non solo di carattere amministrativo ma anche finanziario. Con i vantaggi per l'erario che non occorre ribadire a ogni piè sospinto, ma che di certo costituisce una ricchezza per l'Italia.
La riduzione del personale consolare, particolarmente grave in questi ultimi anni, ha accresciuto il disagio dei cittadini ed ha reso più acute le inefficienze croniche che a torto o ragione nell'immaginario collettivo vengono addebitate alle sedi consolari. Basti pensare ai corsi di lingua e cultura italiana e alle disfunzioni che da anni si registrano nel mese di agosto, all'inizio dell'anno scolastico, o alla odiosa musichetta che strapazza i nervi di chi tenta di contattare telefonicamente gli uffici consolari.
La protesta civile e vibrata organizzata dai Comites e del CGIE non è giunta come un fulmine a ciel sereno: da molto tempo lo stato dei servizi è stato oggetto di analisi e discussioni, come pure di proposte formulate dagli organismi di rappresentanza. Ma le difficoltà non sono state appianate, anzi si sono aggravate soprattutto per il taglio (in qualche caso azzeramento) delle spese di funzionamento. E così in particolare le sedi più periferiche come le agenzie, oltre alla carenza di personale denunciano anche la mancanza dei soldi per pagare la bolletta dell'elettricità, di non poter accendere la luce o di non avere i fondi per pagare la nafta del riscaldamento.
Non è un'immagine gratificante per la nostra Nazione, ma queste sono le conseguenze di una politica finanziaria che anziché abbattere gli sprechi (esosi) degli apparati "italiani", ha messo in ginocchio i pochi servizi per i cittadini italiani all'estero. Sono tanti gli esempi per illustrare la precarietà della rete consolare, ma a livello di comprensione del problema basta rapportare il numero di dipendenti del comune di una grande città italiana al numero dei suoi abitanti e paragonare tale rapporto al numero di dipendenti occupati nella rete consolare di tutto il mondo rispetto agli oltre 4, 3 milioni di italiani che vivono all'estero (senza evidentemente i 60 milioni di oriundi, che pure si rivolgono alla rete consolare).
E probabilmente il peggio deve ancora venire e avrà il profilo degli ulteriori tagli al bilancio del Ministero degli Affari Esteri ipotizzati nella Legge finanziaria 2006.
*Segretario Generale del CGIE