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31 ago 2005L’eredità degli emigrati ++di Marco Basti++

 “Tribuna Italiana” del 31 agosto 2005 l’editoriale del direttore


BUENOS AIRES - (Italia Estera) - Domenica prossima si celebra in Argentina “El Día del Inmigrante”, stabilito per celebrare quanti sono arrivati in Argentina in cerca di un futuro migliore e contribuirono in modo determinante a fare di essa un Paese nuovo, sviluppato, che, pur fra mille problemi e contraddizioni, continua ad essere uno tra i principali Paesi del mondo.

Come è noto, del grande movimento immigratorio verso l’Argentina, gli italiani costituirono la maggioranza, superando tutte le altre nazionalità, compreso il secondo gruppo, quello degli spagnoli. Una presenza che si manifesta nel dato, assai noto, della metà della popolazione argentina che ha almeno un nonno italiano. Una presenza quindi, non riscontrabile in nessun altro Paese al mondo.

Una presenza che, al di là del pur importante contributo demografico, soprattutto in un Paese poco popolato come l’Argentina, ha segnato profondamente l’identità della società argentina, della sua cultura, del modo di essere della sua gente. E poi un contributo enorme al suo sviluppo, come esempio del quale basti ricordare che fino a che non cominciò l’immigrazione l’Argentina importava il grano dal Cile e che le colonie agricole, fondate da emigrati europei, specialmente italiani, ampliarono le frontiere della produzione agricola argentina fino a farla diventare “el granero del mundo”. E lo stesso e forse di più vale per l’industria. Senza gli emigrati dall’Europa, principalmente italiani, che in certi periodi sono stati titolari di circa l’80 per cento delle industrie, l’Argentina sarebbe entrata molto più tardi nell’era dell’industrializzazione.

Passati i decenni, cominciata la decadenza argentina (che qualcuno fa coincidere con l’arresto definitivo dell’afflusso migratorio italiano verso queste terre), la data che sarà celebrata domenica 4 settembre è diventata solo occasione di esibizione di gruppi folcloristici, di bandiere multicolori e di sagre gastronomiche, condite con il discorso del funzionario di turno all’insegna della retorica dell’Argentina dell’accoglienza generosa e crogiolo di razze.

Non mancano nemmeno il ringraziamento agli immigrati per il loro contributo alla crescita del Paese e la consegna di diplomi a quanti hanno compiuto cinquanta anni di residenza in Argentina.

Manca però la consapevolezza profonda di quella che è stata l’epopea dell’emigrazione. Nelle scuole non si insegna ai bambini e ai giovani quale è stato il contributo dei milioni giunti dal mare a questo Paese. Non sanno che molti dei quartieri in cui vivono furono costruiti dagli immigranti, che con le loro case, laddove lo Stato non faceva niente, fecero arrivare strade, luce, elettricità, acqua, ecc.

Ai nostri figli e nipoti nessuno insegna, che per esempio la canzone alla bandiera argentina che viene insegnata nelle scuole - Aurora – fu composta come parte di un’opera dall’oriundo Héctor Panizza con testi di Luigi Illica autore tra l’altro di “Tosca” di Puccini. Ebbene “Aurora” che fu la prima opera presentata al Teatro Colón nel 1908 anno della sua inaugurazione - fu interpretata fino al 1943 in italiano, come era nel testo originale, come ha ricordato recentemente Marcelo Pacifico melomane, consigliere del Comites e presidente dell’Associazione Nazionale Italiana di Buenos Aires.

E’ solo una delle molteplici curiosità accumulate in quasi duecento anni di presenza italiana in Argentina. Ma né queste curiosità, né la realtà profonda che esse testimoniano, sono note alla società argentina e men che meno sono note in Italia.

Lo stesso Pacifico durante l’ultima seduta del Comites di Buenos Aires ha proposto - ed è stato approvato - la costituzione di una commissione di recupero del patrimonio storico degli italiani in Argentina. Una lodevole iniziativa che va appoggiata e diffusa. Lo stesso vale per la nuova edizione del Dizionario Biografico Italo-Argentino, originalmente fatto da Dionisio Petriella e Sara Sosa Miatello, che oggi la Dante Alighieri di Buenos Aires si prepara a stampare e i cui dati saranno disponibili, così come lo è oggi la versione originale, sul sito internet del sodalizio. Ed è degna di plauso anche l’iniziativa presa dalla Camera di Commercio Italiana in Argentina, per celebrare i suoi 120 anni, di raccontare in un libro la storia della presenza italiana in Argentina.

Queste e altre lodevoli iniziative prese da altri enti però, sono ancora insufficienti, perché col passare degli anni si rischia di perdere documentazione importante e intanto cresce sempre di più l’ignoranza della società argentina sul suo passato.

E’ chiaro che, al di là del comprensibile scopo autoreferenziale, la necessaria riscoperta dei valori della presenza italiana in Argentina (come del resto dovrebbero fare anche le altre comunità straniere), deve servire a far capire all’Argentina, alla società argentina, qual è la sua identità, da dove vengono i suoi avi, cosa hanno fatto e apportato al Paese che oggi sembra sfilacciarsi, alla ricerca del suo essere. e il tanto che fanno ancora.

Come comunità pienamente integrata nella società argentina, abbiamo la possibilità e la responsabilità di aiutare questa riscoperta. Perché questa è la nostra terra, il posto che nolenti o volenti abbiamo scelto per costituire le nostre famiglie, per fare la nostra vita, per lasciarlo ai nostri discendenti.

“El Día del Inmigrante” quindi dovrebbe servire per rendere omaggio a quanti contribuirono e contribuiscono a costruire l’Argentina del futuro, ma anche per andare a riscoprire le fondamenta sulle quali è stato edificato il Paese. Se non si conosce la propria identità, difficilmente si potrà continuare a costruire qualcosa. Per la giusta celebrazione non basta la retorica!.

                                                              Marco Basti




 
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