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14 lug 2005RASSEGNA / Il Riformista: Un articolo del Ministro degli Esteri Gianfranco Fini: Caccia all'ultimo voto l'Italia saprà difendersi

ROMA - (Italia Estera) - Caro direttore, il dibattito sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta entrando in una fase decisiva. Nei giorni scorsi i rappresentanti di Brasile, Germania, Giappone e lndia hanno depositato formalmente presso il Segretariato un progetto di risoluzione che delinea un percorso in tre fasi per l'ampliamento del Consiglio da quindici a venticinque membri. Di questi sei dovrebbero essere permanenti ma privi del diritto di veto, riconosciuto solo teoricamente e «sospeso» per almeno 15 anni, e quattro non permanenti. I quattro paesi hanno manifestato l'intenzione di chiedere rapidamente il voto.

L'Italia dissente dalla sostanza della proposta dei 4 paesi e dal metodo prescelto per portarla avanti. Non da oggi riteniamo che istituire nuovi membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza non rappresenta un'opzione adeguata alla sempre più complessa realtà dei rapporti internazionali del tutto diversa dal 1945, quando l'Onu fu fondata soprattutto su impulso degli attuali 5 membri permanenti che rappresentavano effettivamente le potenze dominanti (o che ci si attendeva lo sarebbero state), in un mondo da ricostruire.

Ancor più criticabile è il metodo prescelto dai paesi definiti del "G4": le divisioni nell'ambito di tutti i gruppi regionali, lungi dall'attenuarsi, sono state esacerbate dalla pressione esercitata per forzare una decisione che palesemente non è ancora matura Nell'arco di pochi giorni, importanti vertici regionali, quelli dell'Unione africana e della Comunità caraibica, e la riunione ministeriale dell'Organizzazione della conferenza islamica, hanno affrontato la questione. astenendosi dal fornire un chiaro sostegno alla proposta del G4. Per quanto concerne gli attuali membri permanenti - il cui potere di veto in materia di riforme Onu si esercita in sede di ratifica degli emendamenti alla Statuto (entrano in vigore solo se ratificati dai due terzi degli Stati membri, inclusi tutti i permanenti) - alla nota opposizione della Cina si è ora affiancata quella altrettanto esplicita degli Usa.

Il rilancio delle Nazioni Unite, di cui tutti avvertono la forte necessità, passa per l'Italia attraverso una riforma del Consiglio di Sicurezza largamente condivisa, che consenta di rafforzare la legittimità -più volte messa in dubbio - della sua azione. Non è il caso di una riforma il cui successo si gioca, come purtroppo sta avvenendo, sulla caccia all'ultimo voto, in cui è la disparità dei mezzi finanziari a disposizione che può fare la differenza. La vicenda dei referendum francese e olandese sul Trattato costituzionale europeo ci insegna quanto imprevedibili possano essere le reazioni dell'opinione pubblica, quando gli Stati sono chiamati a ratificare decisioni che incidono sugli interessi nazionali e talvolta sugli elementi portanti della sovranità nazionale.

Da questo punto di vista, l'eventuale adozione della risoluzione proposta dal G4 avverrebbe contro la volontà di una significativa fascia di paesi che raccolgono, in tutti i continenti, alcuni fra i maggiori contributori alle Nazioni Unite e che costituiscono uno dei principali motori- evidentemente non da soli - del Palazzo di vetro. Una prospettiva di questo tipo presenterebbe quindi il rischio concreto di determinare un indebolimento complessivo delle Nazioni Unite, invece dell'auspicato rilancio, e di restare a lungo un elemento critico nei dibattiti interni di numerosi paesi che hanno una visione delle Nazioni Unite improntata ai valori di democrazia e di uguaglianza.

All'azione del G4 si contrappone da tempo quella portata avanti dall'Italia insieme a un numero crescente di altri paesi di tutti i continenti. Il movimento Uniting for Consensus ha diffuso a New York una propria proposta di riforma del Consiglio di Sicurezza, centrata sull'ampliamento di seggi elettivi. Il nostro progetto prende atto della crescente importanza della dimensione regionale perle attività del Consiglio di Sicurezza e lascia ai relativi gruppi ampia flessibilità nel gestire, in base a criteri condivisi, la propria rappresentanza in Consiglio di Sicurezza. Da questo punto di vista, l'indubbia rilevanza di alcuni paesi nelle singole realtà regionali può trovare accoglienza attraverso meccanismi di rielezione immediata. Verrebbe così salvaguardato il controllo democratico da parte della membership attraverso il processo elettorale, dando tuttavia la possibilità ai paesi più impegnati a favore dell'Onu di contribuirvi con maggiore continuità.

Intensi negoziati stanno avendo luogo in queste ore. Cruciali saranno i contatti a New York con i rappresentanti dell'Unione africana, che intende presentare a sua volta un progetto di risoluzione. I 53 voti degli Stati africani potrebbero rivelarsi decisivi, qualora il G4 riuscisse a persuadere i rappresentanti dell'Unione africana a unificare i rispettivi progetti di risoluzione. Per questo motivo è a New York il sottosegretario Mantica, che, grazie ai suoi ottimi contatti con le diverse leaderships africane, potrà richiamare l'attenzione di queste sul carattere aperto della proposta del movimento Uniting for consensus, che meglio si presta a offrire una risposta efficace alle istanze espresse dall'Africa.

E' nostro vivo auspicio che in tutti si faccia strada il convincimento che la riforma del Consiglio di Sicurezza non può essere il risultato di una prova di forza. Vi è ora un ampia e diffusa consapevolezza della necessità di riformare il Consiglio; in una parola vi è il «momentum» necessario. Gli eventi di questi giorni, e il progressivo chiarirsi di molte posizioni, in particolare di quella americana contraria ad artificiose accelerazioni e quindi alla risoluzione dei G4, potrebbero rivelarsi di grande utilità nel favorire, infine, una soluzione concordata. Vi sono tutti i presupposti e da parte nostra non manca certo la disponibilità. Un prezzo, tuttavia non potremo mai pagarlo: quello di dividere la comunità internazionale con il pretesto di riformare il Consiglio di Sicurezza. Sarebbe davvero un pessimo affare.

                                                                   Gianfranco Fini




 
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