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27 mag 2005MOSTRE: Al Vittoriano "Le radici della Nazione"

ROMA - “Una nazione vive di memoria, ma la memoria è un processo selettivo e sceglie i propri ricordi in base a categorie di significanza – così Rocco Buttiglione, ministro per i Beni e le Attività Culturali, alla conferenza di presentazione de  “Le radici della nazione” – ogni generazione compie questa selezione ed è dunque necessario che ogni volta ricostruisca la propria identità. Le nazioni hanno bisogno di raccontarsi e lo fanno soprattutto quando si trovano di fronte a delle sfide. Oggi le sfide sono il localismo e il rapporto con l’Europa. In che modo la nostra identità si confronta con altre identità? E come si preserva, oggi, questa nostra identità nazionale? Raccogliendo e raccontando,  non cancellando. Vale la pena, dunque, di prepararsi all’anniversario del 2011 con una serie di importanti iniziative come questa, perché gli italiani devono riprendere coscienza di se stessi ricostruendo la loro storia”.
Il ministro Bottiglione  si riferiva alle celebrazioni , nel 2011, del  150° anniversario dell’Unità d’Italia, una ricorrenza importante che verrà solennizzata con un ricco ciclo di eventi raccolti ne “Le radici della nazione”, il progetto voluto dal ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati. L’iniziativa vuole evidenziare come, attraverso i secoli, dalla nascita delle prime comunità cittadine fino all’Unità raggiunta nel 1861, nel nostro paese siano emersi caratteri specifici rappresentativi delle singole realtà territoriali, e come questi elementi non siano cambiati anche dopo l’Unità nazionale, seppur assumendo di volta in volta un diverso valore.
Sette le mostre che verranno realizzate nell’ambito dell’iniziativa “Le radici della nazione”, una ogni anno fino al 2011, prima delle quali sarà “Simboli d’Appartenenza”, che potrà essere visitata nel  Complesso Monumentale del Vittoriano, dal 2 giugno al 18 settembre, tutti i giorni dalle 9.30 alle 18.30, e che affronta il problema dell’identità e della carica significativa del simbolo. “Non è un percorso facile quello della simbologia italiana – spiega Giuseppe Galasso, curatore della mostra - perché facilmente si ricorre ai simboli più diffusi (il Tricolore, l’inno nazionale), ma l’Italia è un paese ‘multinazionale’, formatosi riunendo una serie di stati, precisamente sette al momento dell’unificazione, che avevano una storia millenaria, nell’ambito della quale si erano consolidate tradizioni civili e ‘nazionali’”.

Così, se l’articolo 12 della Costituzione Italiana recita che “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso”, la storia d’Italia appare costellata di simboli d’appartenenza locali e diversi: dalle insegne delle comunità cittadine del Medioevo agli stemmi gentilizi delle grandi signorie civiche, dai simboli e le raffigurazioni dei santi patroni ai monumenti cittadini e nazionali. Per questo, “Simboli d’Appartenenza” affronta tematiche quali l’identità e l’appartenenza, attraverso un percorso espositivo che parte da una vasta selezione di antiche bandiere storiche che hanno accompagnato l’Italia dal Regno d’Italia alla Repubblica, ai simboli della città e agli stemmi dei capoluoghi di provincia; dalle bandiere degli stati preunitari al Tricolore; dalle opere di artisti italiani tra Ottocento e Novecento che illustrano l’evoluzione dell’immagine dell’Italia e del Tricolore (da Canova a Balla, da Fattori a Giò Ponti), alle immagini dei due santi patroni d’Italia, San Francesco e Santa Caterina, con le tavolette degli ex voto e i vari simboli della tradizione popolare.

La mostra comprende anche fotografie, libri, monete e francobolli, onorificenze e medaglie ed una documentazione visiva che  secondo Luciano Sovena, amministratore delegato dell’Istituto Luce è  “frutto di un certosino lavoro dell’Istituto, che ha ricercato ed estrapolato filmati, anche inediti, che riguardano la storia del nostro paese, e che grazie a questa iniziativa possono tornare ad essere patrimonio di tutti i cittadini e non solo dei pochi che hanno accesso agli archivi dell’Istituto”.




 
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