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10 dic 2002Un intervento del Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, Giuse

- ROMA – Registriamo un intervento molto interessante del Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, Giuseppe Baldocci, su “Ideazione” di dicembre dal titolo:

La diplomazia italiana nell’era globale

Il mestiere di diplomatico viene da molto lontano, accompagna lo svolgersi degli eventi storici, ed è quindi comprensibile che anche i diplomatici italiani considerino le proprie radici e le proprie tradizioni come patrimonio da conservare e trasmettere alle nuove generazioni.

Il nostro punto di riferimento, il mandato, resta sempre costante. E’ quello della difesa degli interessi nazionali del Paese; interessi intesi nel senso più ampio e comprensivi, quindi, del sostegno alle nostre imprese ovunque esse operino ed ai nostri connazionali ovunque essi si trovino.

Come diplomatici ci sentiamo allo stesso tempo chiamati a rappresentare nel mondo i valori dell’Italia, ben consapevoli che i grandi Paesi – specialmente quelli di antica civiltà e tradizione - non hanno soltanto interessi da difendere, ma anche valori da sostenere. Primo fra tutti, una visione delle relazioni fra i popoli basata sul rispetto delle culture, sulla collaborazione in tutti i campi, su una sicurezza da conseguire attraverso la fermezza ma anche il dialogo. Ed infine, è nostro compito far sì che l’immagine dell’Italia sia all’altezza della sua realtà: una realtà di democrazia politica, creatività economica e di vitalità culturale che non sempre riesce a proiettarsi all’esterno come vorremmo.

Se questi sono i contenuti fondamentali e permanenti del compito della diplomazia, è sufficiente guardarci attorno per comprendere quali siano oggi le concrete modalità dell’esercizio di questa importante funzione. Sono modalità improntate alla collaborazione – nel rispetto delle prerogative e dei mandati di ciascuno - con tutte le articolazioni del Paese, nel riconoscimento che ai nostri giorni, e diversamente da quanto accadeva in passato, la proiezione internazionale riguarda praticamente tutti i rami della Pubblica amministrazione e della società, nella quale le imprese, per l’impatto delle loro attività sullo sviluppo del Paese e sull’andamento della occupazione, svolgono un ruolo preminente. Assolutamente centrale è il ruolo del Parlamento, che in una democrazia è chiamato a definire concretamente quegli interessi nazionali che la diplomazia è chiamata a difendere, sulla base delle direttive del Governo, impegnando la propria esperienza e la propria professionalità. Un’altra realtà che caratterizza i rapporti internazionali dell’Italia è oggi – soprattutto sulla base della recente evoluzione del nostro sistema costituzionale - il crescente ruolo delle Regioni, sia sul terreno economico che su quello culturale, che andrà sempre meglio raccordato con le attività della diplomazia, chiamata a sostenerlo fornendo il necessario contributo di informazione e di coordinamento in una visione d’insieme dell’interesse nazionale.

Quindi, se è vero che la diplomazia italiana può essere legittimamente fiera delle proprie tradizioni, oggi la sfida che tutti dobbiamo affrontare è soprattutto quella di una trasformazione accelerata che ci impone un costante, difficile, ma indispensabile processo di adattamento sotto il profilo non solo strutturale ma anche culturale sul piano dell’approccio ai problemi.

Non v’è certo bisogno di insistere sulla accelerazione delle trasformazioni del quadro internazionale. Trasformazioni spesso straordinarie: pensiamo in particolare alla globalizzazione, una dimensione che è tanto più attaccata, spesso addirittura demonizzata, in quanto non se ne esaminano a fondo gli effettivi contenuti. Il superamento delle barriere e delle distanze (qualcuno parla addirittura di “fine della geografia”) ha un significato chiaramente positivo in termini di libertà, di conoscenza, di rottura di un modo segmentato, e quindi inevitabilmente arretrato e stagnante, di concepire la società umana.

Ma nello stesso tempo – e su questo le critiche di certi aspetti della globalizzazione sono non solo legittime, ma utili stimoli alla azione – assistiamo alla trasmissione, spesso destabilizzante, di fenomeni negativi da un punto all’altro del globo: si tratti degli effetti di crisi finanziarie, dell’inquinamento dell’ambiente, delle grandi malattie epidemiche, in primo luogo l’AIDS.

E che dire delle nuove minacce alla sicurezza? Le immagini dell’11 settembre 2001 continuano a colpire la nostra coscienza non soltanto per l’orrendo, inaccettabile scempio di innocenti vite umane in un Paese cui siamo tanto legati da vincoli di amicizia oltre che di alleanza, ma perché tutti percepiamo che quel giorno si è resa evidente una sconcertante vulnerabilità di tutti, come paesi e come singoli, di fronte a un tipo di terrorismo per cui tutto e tutti possono diventare obiettivi. La diplomazia italiana si è mobilitata per dare un proprio contributo a quella che è subito emersa come l’esigenza più pressante: una più sistematica e più efficace collaborazione da realizzare sia su base bilaterale che multilaterale. Una collaborazione tesa non solo a permettere l’identificazione e lo smantellamento di reti terroriste, ma anche a colpire quelle aree di illegalità transnazionale che vanno dal traffico di droga e di armi ai flussi finanziari occulti, e che sappiamo essere intimamente collegate alla minaccia terrorista. Una collaborazione che deve nello stesso tempo consentire l’identificazione di una strategia atta a prevenire le situazioni che alimentano fenomeni che ci troviamo poi a dover combattere.

Ma non si tratta, purtroppo, di una nuova minaccia alla sicurezza che sostituisca quelle precedenti. Essa si aggiunge a altri tipi di minaccia: situazioni di conflitto interno capaci di produrre terribili conseguenze; tensioni fra Paesi limitrofi che addirittura minacciano di sfociare in un confronto nucleare; la proliferazione di armi di distruzione di massa. Minacce che richiedono una moderna capacità nazionale di difesa, la conferma della validità di quella Alleanza atlantica che costituisce sempre il caposaldo fondamentale della nostra sicurezza e nello stesso tempo la costruzione di una capacità europea che ci permetta di prevenire e gestire le crisi disponendo anche di un adeguato strumento militare.

Sicurezza, dunque. Una sicurezza che la diplomazia italiana concepisce in chiave di inclusione di tutti quei soggetti internazionali che siano disposti a contribuire alla stabilità. E’ questa l’idea di fondo che ha portato a quell’incontro di Pratica di Mare che ha fatto risaltare, grazie alla iniziativa dell’Italia e personalmente del presidente del Consiglio, che finalmente e definitivamente l’epoca della Guerra Fredda non solo è superata, ma – terminata una transizione decennale – è stata sostituita da una nuova fase in cui la Russia è chiamata a dare un apporto indispensabile alla funzione di sicurezza svolta dalla Alleanza atlantica.



Stabilità regionale e sicurezza nazionale

Essenziale è stata, soprattutto negli ultimi anni, un’”interoperabilità” fra diplomazia e apparati della difesa che ha raggiunto elevati livelli di efficacia e che ha dato prove molto positive soprattutto nello scacchiere balcanico. Il fatto che i nostri diplomatici e i nostri militari abbiano dimostrato di sapere cooperare e interagire per garantire la stabilità regionale e la sicurezza nazionale costituisce la dimostrazione molto lusinghiera di una capacità di rinnovare i rispettivi modi di operare e, direi, la stessa rispettiva “cultura professionale” tradizionale.

Su questo sfondo, il compito della diplomazia risulta particolarmente complesso e particolarmente essenziale nello stesso tempo. Si tratta – nello stesso momento in cui ci si impegna per difendere gli interessi nazionali - di dare un contributo fondamentale alla governabilità mondiale. Una governabilità fatta di una fittissima rete di negoziati, regole e istituzioni, senza la quale il perseguimento degli interessi si tramuterebbe in una infinita serie altrettanto irrazionale quanto pericolosa di contrapposizioni, controversie, scontri.

Grazie al processo di integrazione europea, il mondo conosce la più forte e convincente alternativa a rapporti internazionali basati sulla rivalità e sui “giochi a somma zero”. Una alternativa alla quale l’Italia – lo ricordiamo con orgoglio e con gratitudine verso i grandi Padri Fondatori – ha dato e continua a dare un contributo da protagonista. Si tratta di un nuovo modo di concepire i rapporti fra Paesi, di impostarli sulla base di convergenze sia di interessi che di valori da tradurre in sempre nuovi traguardi istituzionali (“più Europa”, come ha sottolineato lo slogan della recente presidenza Ue della amica Spagna), di perseguire grandi finalità ideali sulla base di un processo concreto in cui si affrontano i temi dell’economia e della società. Ci sembra molto significativo che, nella sua ricerca di strumenti per uscire dalla terribile morsa dei conflitti e del sottosviluppo, l’Africa abbia deciso di impostare, con la creazione della “Unione africana” un proprio processo di integrazione che ha come chiaro punto di riferimento l’esperienza dell’Europa.

Ma l’Europa non è solo una Unione impegnata a darsi assetti anche costituzionalmente più definiti, a sviluppare l’appartenenza a una cittadinanza europea e a perfezionare le strutture della propria integrazione. L’Unione Europea guarda anche al mondo, e si presenta con sempre maggiore credibilità come soggetto capace di influire su quel quadro di governabilità e collaborazione che è il necessario presupposto non solo della pace ma anche del dinamismo economico. La presenza alla Conferenza degli ambasciatori italiani nel mondo, tenutasi a Roma a fine luglio, di Javier Solana, che di questa crescita della politica estera europea è uno straordinario artefice, ha voluto essere una conferma della convinzione con cui l’Italia si è impegnata nella costruzione di una Europa-soggetto internazionale.

Il 2003 sarà un anno molto importante per la nostra politica europea. Sarà infatti un anno caratterizzato dal nostro semestre di Presidenza che cadrà proprio nella fase in cui giungerà a maturazione il processo di evoluzione istituzionale in cui è oggi impegnata la Convenzione. Ritengo a questo proposito che sia stato di grande interesse e utilità, per gli ambasciatori riuniti nella già citata Conferenza, poter ascoltare dal rappresentante del Governo italiano nella Convenzione, il Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini e dal Vicepresidente della Convenzione Amato quale siano gli aspetti più qualificanti di questi “lavori in corso”.

L’orizzonte della presidenza ha da mesi mobilitato tutte le energie della diplomazia italiana, al centro e nella rete estera, per far sì che ancora una volta il protagonismo dell’Italia nell’Unione europea sia confermato da iniziative mirate ed efficaci, da una combinazione di realismo nell’analisi della situazione, capacità di proposta ed attuazione, visioni per il futuro di grande respiro. Fin d’ora ci riteniamo impegnati in un importante sforzo collettivo che metterà alla prova il funzionamento delle nostre strutture sia centrali che periferiche, il nostro senso politico, la nostra capacità negoziale al servizio della attuazione di una strategia coerente.



Il ruolo della diplomazia in una economia di mercato

La politica estera italiana è fortemente europea, ma anche fortemente globale. Si deve ricordare, al riguardo, come nella fase attuale la diplomazia costituisca, per ogni Governo, uno strumento fondamentale per la gestione della globalizzazione. La mondializzazione del sistema dei rapporti internazionali – con i flussi incessanti di capitali, prodotti, persone, conoscenze e con l’integrazione dei mercati che comporta – ha amplificato la concorrenza tra i Paesi e reso più acuto il rischio dell’esclusione e dell’emarginazione dal mainstream del processo di sviluppo mondiale. Spetta alla diplomazia, nell’era della globalizzazione, fare emergere le opzioni più valide per fronteggiare la sfida della competitività, individuare e sviluppare le partnership più svantaggiose, cercare spazi nuovi nei tavoli dei negoziati internazionali, per permettere al Governo di operare una scelta politica tra le più fruttuose occasioni di progresso per il Paese.

Su questo orizzonte globale, ove il successo nel perseguimento degli interessi nazionali comporta necessariamente una decisa assunzione di responsabilità, le Nazioni Unite costituiscono il quadro fondamentale in cui operare. L’Italia contribuisce in modo sostenuto e determinante alle attività dell’Onu, sia in termini di bilancio della organizzazione (l’Italia è il sesto contributore), sia sotto il profilo della partecipazione a missioni di pace, dove l’Italia è terza fra i Paesi che inviano propri militari a missioni svolte o dalle stesse Nazioni Unite o sulla base di una autorizzazione del Consiglio di sicurezza.

E’ quindi legittimo che a questo impegno corrisponda una presenza italiana nel massimo organo dell’ONU, il Consiglio di sicurezza. Teniamo sempre vive le nostre aspirazioni a promuovere una riforma dell’attuale assetto del Consiglio di sicurezza, un assetto che non può ovviamente continuare a riflettere le stesse realtà che oltre mezzo secolo fa caratterizzavano il mondo al momento della fondazione dell’ONU. Oggi però l’immediata, concreta priorità della nostra diplomazia in questo settore è il sostegno, da inserire nell’intera gamma dei nostri rapporti internazionali, alla candidatura dell’Italia al seggio non permanente per il periodo 2007-2008.

Sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale, quello che oggi è richiesto ad una diplomazia moderna è capacità di analisi innovativa, di azione tempestiva, di forte proiezione esterna anche in termini di comunicazione. Soprattutto in una democrazia, infatti, non basta che gli “addetti ai lavori” operino efficacemente e professionalmente. Essi devono essere anche capaci di trasmettere al Paese nel suo complesso il senso della loro azione e le sue finalità. Ciò al fine non solo di fornire ai cittadini una informazione cui essi hanno diritto, ma anche di coinvolgerli in un progetto complessivo che interessa tutti in quanto si ripercuote su tutti, sulla loro vita quotidiana.

Perché è in questo che forse risiede la necessità più forte e ineludibile di trasformazione: la trasformazione non solo del quadro internazionale, ma soprattutto del Paese. Un Paese che deve essere rappresentato nel mondo in tutta la sua dinamicità, con tutte le sue esigenze plurali e articolate.

Devono quindi considerarsi non in linea con i tempi molte, troppo schematiche, separazioni: fra estero e interno; fra pubblico e privato; fra “affari politici” e “affari economici”.

La riforma della struttura centrale del ministero degli Esteri, entrata in vigore nel 2000, è stato, appunto, un passo importante in questa direzione. Un passo su cui intendiamo innestare un ulteriore, concreto impegno di rinnovamento.

Il terreno su cui, come giustamente richiamato dal presidente del Consiglio, riteniamo che vada identificato un ulteriore impegno riformatore è quello dell’economia, e più concretamente, quello del sostegno a una più incisiva proiezione nel mondo non solo dei nostri prodotti, ma del “sistema Italia” nel suo complesso.

Se è vero, infatti, che la politica estera è una sola - e che abbraccia settori che vanno dalla sicurezza alla cultura, dalla tutela dei connazionali all’aiuto allo sviluppo – è sul terreno dell’economia che si giocano, per il nostro Paese, vitali questioni di innovazione, di competitività, di un rango internazionale che deve essere conquistato nei fatti, e non può essere semplicemente rivendicato a livello politico.

Vi è in primo luogo il sostegno all’export. Una dimensione importante nel lavoro di chi tutela gli interessi dell’Italia nel mondo – ma una dimensione da affrontare in un quadro più ampio. Non vi è alcun dubbio, infatti, che il commercio abbia bisogno di essere in stretto rapporto strategico con gli investimenti. Una presenza puramente commerciale su un determinato mercato, infatti, risulta spesso fragile ed effimera, se non è combinata con una capacità di penetrazione e collaborazione con soggetti locali nel campo degli investimenti.

In una economia di mercato, ovviamente, i soggetti attivi di questa presenza sono le società, gli imprenditori – con un bagaglio di attivismo e di coraggio che spesso, nel nostro Paese, ritroviamo alla base di straordinarie storie di successo.

Ma, come ci insegnano anche esperienze di altri Paesi, in un mondo complesso, e a fronte di realtà locali spesso difficili, è inconcepibile che i singoli operatori possano avventurarsi su terreni sconosciuti senza avere un adeguato supporto da parte di chi rappresenta il Paese nel suo complesso, e da chi essi si aspettano di ricevere servizi più avanzati, moderni, tempestivi.

Mi riferisco alla informazione sulla realtà economica dei vari mercati e sulle opportunità esistenti. Ma mi riferisco anche alla assistenza concreta, mirata ai singoli casi e concessa ai singoli operatori, in particolare nei contatti con le autorità locali: autorità che, anche in sistemi ad economia di mercato, hanno sempre un ruolo nel determinare quadri normativi, priorità, condizioni.

Non da oggi, e con un impegno sostenuto, la rete diplomatica italiana e gli altri organismi preposti al settore (ministero delle Attività produttive, Ice) si sono impegnati per promuovere il “sistema Italia”. Ma al di là dell’impegno e della professionalità dei singoli, quello che oggi è richiesto è una più adeguata struttura operativa. Una struttura che eviti, da un lato, parallelismi e duplicazioni e, dall’altro, lacune nella sfera degli interventi che devono essere operati. Che massimizzi il rendimento delle risorse finanziarie ed umane disponibili. Che, fra l’altro, permetta al cittadino – in questo caso l’imprenditore italiano che guarda ai mercati internazionali – di identificare con chiarezza e univocità gli interlocutori e i servizi capaci di soddisfare le sue esigenze.



Verso il potenziamento degli strumenti della Farnesina

L’obiettivo strategico a lungo termine di questo “complemento di riforma”, chiamato a perfezionare le innovazioni introdotte nel 2000, è quello di una modifica normativa che assicuri una razionalizzazione delle strutture pubbliche di sostegno all’azione delle imprese italiane all’estero. In attesa che maturino le condizioni, anche di ordine finanziario, che permettano la realizzazione di tale obiettivo, la diplomazia italiana è sin d’ora impegnata nel rendere operativo un meccanismo di coordinamento rafforzato, chiamato a riunirsi con frequenza periodica, fra le strutture pubbliche esistenti ed il settore privato.

In questa linea di pensiero si inserisce un’altra sostanziale trasformazione del nostro modo di esercitare le nostre funzioni che mi preme richiamare. Infatti non va dimenticato che queste funzioni sono non solo diplomatiche, ma diplomatico-consolari. Pur essendo necessario continuare l’opera di tutela svolta nei confronti degli italiani nel mondo, risulta oggi sempre più evidente che il nostro compito deve essere anche quello di concepire la nostra “diaspora” come risorsa e non come problema: risorsa in termini di diffusione della cultura e dell’immagine dell’Italia nel mondo, e anche risorsa sotto un profilo economico-commerciale. Ne deriva la necessaria trasformazione (di cui si è discusso in modo approfondito in occasione della Conferenza dei consoli svoltasi significativamente alla Farnesina a ridosso di quella degli ambasciatori) del lavoro dei consolati, che vanno oggi concepiti come capillare rete di centri di raccordo con le nostre comunità e anche di affermazione di una presenza italiana i cui singoli aspetti, in campo culturale e commerciale, vanno visti e gestiti in modo coerente e unitario.

E’ per meglio dedicarci a questi obbiettivi che stiamo procedendo su una serie di impegni che riguardano il potenziamento degli strumenti di cui il ministero degli Esteri dispone. Anche se non vanno certo trascurati gli elementi quantitativi (in primo luogo il completamento di organici rimasti in precedenza scoperti), lo sforzo fondamentale da compiere è stato identificato nel terreno della qualità. Qualità nei mezzi utilizzati - in particolare con il raggiungimento di un livello di informatizzazione molto elevato, e di cui il Ministero va giustamente fiero - ma anche e direi soprattutto qualità nel “fattore umano”, con un impegno per il reclutamento di personale qualificato e in particolare di nuove generazioni di diplomatici da formare in modo nuovo, rispondente alle esigenze di un Paese moderno e di un mondo in rapidissima evoluzione. Non nascondiamo che la nostra ambizione, nel momento in cui confermiamo il nostro impegno per servire gli interessi del Paese e dei singoli cittadini, è quella di vedere riconosciuti al bilancio degli Esteri livelli più in armonia con quelli dei Paesi con cui giustamente intendiamo confrontarci, e comunque al di là di quell’attuale 0,30 per cento del bilancio dello Stato che troppo spesso impone difficili “quadrature del cerchio”.

Vorrei concludere osservando che si parla molto, oggi, di problemi e di sfide, di un mondo difficile e complicato, spesso pericoloso. Ma il lavoro della nostra diplomazia, va subito chiarito, non si svolge in un clima di pessimismo o cupezza.

Non vi sono certo ragioni di spensierata sottovalutazione dei rischi che incombono sulla intera civiltà mondiale. Eppure, se dalla analisi del quadro in cui siamo chiamati ad operare ci focalizziamo sul nostro Paese, sul nostro popolo, sulla sua volontà e sulle sue capacità, allora appare del tutto giustificato improntare la riflessione sulla diplomazia ad una chiave positiva perché attiva, positiva perché basata sulla fiducia di appartenere a una nazione che sa operare, sa costruire, sa aggiornarsi contro ogni tentazione alla chiusura e alla conservazione.


Giuseppe Baldocci, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri




 
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