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23 feb 2005CINEMA ITALIANO ALLA BERLINALE ++di Gherardo Ugolini++

(Italia Estera) - BERLINO - . La 55esima edizione del Festival del cinema di Berlino si è conclusa con il successo inatteso di U-Carmen del regista Dornford-May: un adattamento del mito di Carmen ambientato nella bidonville di un città africana di oggi. L’Africa è stata il Leit-motiv della kermesse berlinese con ben due pellicole (Hotel Ruanda di Terry George e Sometimes in April di Raoul Peck) dedicate al ricordo della guerra civile del 1994 in Ruanda, allorquando nel giro di poche settimane un milione di Tutsi furono sterminati dagli Hutu. Anche il nazismo è stato un tema centrale: il giovane regista tedesco Marc Rothemund ha dedicato un film all’eroina della “Rosa bianca”, il gruppo di studenti bavaresi che si oppose a Hitler (Sophie Scroll-Die letzten Tage), mentre l’ungherese Lajos Koltai in Fateless narra la vicenda di un ragazzino di 15 anni deportato a Buchenwald.

         E l’Italia? Il bilancio non è dei più lusinghieri anche per il mero dato quantitativo. Un solo film italiano è stato presentato in concorso quest’anno, Provincia meccanica dell’esordiente Stefano Mordini, ed è rimasto all’asciutto di premi. Nato nel 1968 e segnalatosi finora per i suoi buoni cortometraggi e per qualche reportage televisivo, nel suo primo film narrativo Mordini racconta la storia di una famiglia outsider, squattrinata ma felice, che sceglie di vivere in un modo un po’ particolare, al di fuori degli schemi borghesi e senza capire perché la società si intrometta nelle loro libere scelte ed intervenga a reprimerle. L’idea di partenza è dunque quella di rappresentare uno spaccato di vita con i desideri, le pulsioni, le fantasie dei protagonisti in contrasto con una società alienata e alienante, dove le strutture sono ispirate ai principi della gerarchia e dell’autorità. Marco (Stefano Accorsi), operaio notturno un po’ svagato, e Silvia (Valentina Cervi), taciturna e timida, vivono nella periferia di Ravenna con i loro due bambini, un cane e un iguana verde che si aggira tra scrivanie disordinate e montagne di piatti sporchi. Sembrano felici i due coniugi, ma la loro esistenza è sconvolta dall’intervento ciclonico di assistenti sociali e della madre di lei, che giudicano e condannano, fino a togliere loro Sonia, la bambina più grande. E qui comincia la catastrofe. Silvia piomba nella depressione e poi trova uno sfogo tra le braccia di un marinaio dall’aria malinconica (Ivan Franek); lui non sa più cosa fare per riconquistare la moglie e la figlia perdute e giunge al punto di rivolgersi (ovviamente senza successo) a maghi impostori. Il finale riserva la sorpresa di una riconciliazione proprio quando tutto sembrava perduto.

Altra presenza italiana, ma fuori concorso, è stata quella di Ermanno Olmi, un maestro di lungo corso che alla Berlinale ha presentato il film Tickets, articolato in tre episodi, firmati da grandi registi (oltre a Olmi, Ken Loach e Abbas Kiarostami). È la narrazione di un viaggio in treno dal nord al sud dell’Europa, nel corso del quale si intrecciano le singole storie che ciascuno dei tre registi ha singolarmente curato. Vi si narra tra l’altro dell’amore di un anziano farmacologo (Carlo delle Piane) per la bella assistente (Valeria Bruni Tedeschi), di litigi per la proprietà di un telefonino o per la legittimità di una prenotazione del posto, di tifosi ultra che dalla Scozia scendono a Roma per vedere una partita di calcio. Insomma, un film-macedonia che frulla insieme tante storie di emarginazione e di privilegi in un mosaico efficace e ben riuscito.

         Nella sezione “Panorama” è stato presentato l’ultimo film di Giuseppe Piccioni La vita che vorrei. Racconta di Stefano (Lo cascio), un attore affermato, un po’ freddo nei modi e nei sentimenti. Sta per iniziare un film in costume ambientato nell’ottocento e il regista assegna la parte della protagonista femminile a Laura, una ragazza di trent’anni, intensa, spontanea, disordinata, che finora non ha fatto quasi nulla nel cinema e con un passato che le rende difficile credere davvero in se stessa. Piano piano l’iniziale diffidenza di Stefano si trasforma in attrazione, e durante le prove Stefano finisce per farsi coinvolgere perdendo il suo abituale controllo. Quello che i due non riescono a dirsi nella vita può talvolta essere detto sul piano della rappresentazione, e cioè proprio nel film in costume che stanno girando, attraverso la storia d’amore tra Federico e Eleonora. Si determina in tal modo un affascinante e rischioso gioco di risonanze e di intrecci tra vita vera e vita dei personaggi.

         Ma la sorpresa più gradita per la nostra cinematografia è venuta forse da Saimir di Francesco Munzi, presentato nella sezione del festival dedicata ai ragazzi.Dopo una lunga esperienza dei cortometraggi e con una predilezione per le vicende ambientate in contesti di emarginazione, il trentaseienne regista romano racconta qui una storia dell’Italia di oggi, una storia dura di immigrazione e clandestinità. Al centro c’è il turbolento contrasto generazionale tra un adolescente albanese di nome Saimir (il diciassettenne Mishel Manoku, studente di Tirana al suo debutto nel cinema), e il padre (l’attore albanese Xhevdet Feri). Entrambi sono fuggiti dal loro paese e vivono clandestinamente in Italia, in una imprecisata località del litorale laziale, sperando di rifarsi una vita. Il milieu è quello che possiamo immaginare: trasporto illegale di clandestini, lavoro nero malpagato, furti nelle auto e nelle ville, ragazze costrette alla prostituzione. Ma la bravura e l’originalità di Munzi stanno nel raccontare il tutto dal punto di vista del ragazzino, insistendo sia sul conflitto interetnico (Saimir non accetta la nuova compagna italiana del padre ed è respinto dalla ragazza italiana di cui si innamora), sia su quello generazionale col rifiuto delle attività paracriminali del padre. In fondo quello compiuto da Saimir è un classico percorso di formazione. E il punto di svolta è costituito dall’innamoramento per la liceale Michela. Quando Saimir capisce che non potrà mai averla perché il suo essere albanese ne fa un diverso e suscita diffidenza nella ragazza italiana, allora scoppia la ribellione: contro il padre e contro il destino che ha e che sente di non meritare. Il tutto narrato in un’atmosfera ben riuscita di luci crepuscolari e di toni plumbei, che trasmette il senso del disagio e della frustrazione.

        

 

 




 
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