ROMA - "Bravo Presidente, siamo fieri di te!"
Uno stile alla Pisanu? Una cifra alla Gianni Letta? Un approccio ai problemi misurato e anti-spettacolare, che prefigura addirittura un’altra destra possibile, oltre l’orizzonte berlusconiano?
Di sicuro, nel suo battesimo di fuoco, il Gianfranco Fini versione ”unità di crisi” segna una discontinuità rispetto ad altre stagioni, anche recenti, della Farnesina. Si racconta che in queste ore, nella sala operativa al quinto piano del ministero, Fini abbia avuto per la prima volta la tentazione di togliersi la giacca e di arrotolare le maniche della camicia. Rinunciando al consueto aplomb. Poi la camicia e l’aplomb non hanno subito pieghe e Fini resta se stesso, ma dando alla propria natura di politico freddo e pragmatico un carattere ancora più marcato.
Lui fa soltanto - è la battuta cattivista che gira a Montecitorio, fra i diessini - il portavoce di Bertolaso, cioè del responsabile della protezione civile. La voce comunque è la sua. Ed è una voce, quella di Fini davanti alla catastrofe, che cerca di non sovrapporsi agli eventi. La tivvù, in questa strategia, non è un salotto ma una finestra dalla quale affacciarsi, per aggiornare sulle dimensioni del disastro e sui piani d’intervento.
In queste esternazioni flash, manca di solito la prima persona singolare (quasi a sottolineare l’impersonalità delle istituzioni) e tanto più il «ghe pensi mi» o immagini iperboliche cui ci ha abituato la retorica nazionale: «C’è un pezzo di Italia fra le onde asiatiche...», «i nostri fratelli nel fango...».
In un lontano congresso del Msi, un cronista di destra ma antipatizzante scrisse che Fini, allora in corsa per diventare segretario, era «un paio di occhiali sul nulla». Ora il «nulla», ammesso che fosse tale, viene riempito da una visione operativa dei problemi, che magari può costituire quell’identità forte che amici e nemici rimproverano al leader di An di non avere. Nel sottotono, Fini racconta di sfuggita che «fra le vittime in Thailandia ci sono anche due miei conoscenti bolognesi». Ma non si precipita a casa loro, o nei tinelli di altri italiani defunti, per piangere mediaticamente insieme a orfani e vedove.